4 giugno 2023 - SANTISSIMA TRINITÀ (ANNO A)

Guido Reni (attribuzione alternativa: Francesco Gessi): Trinità (prima metà sec. XVII)

Marino (Roma), Chiesa della Santissima Trinità

PRIMA LETTURA (Esodo 34,4-6.8-9)

In quei giorni, Mosè si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano.

Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà».

Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervìce, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità».

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Daniele 3,52-56)

Rit. A te la lode e la gloria nei secoli.

 

Benedetto sei tu, Signore, Dio dei padri nostri.

Benedetto il tuo nome glorioso e santo.

Benedetto sei tu nel tuo tempio santo, glorioso.

Benedetto sei tu sul trono del tuo regno.

Benedetto sei tu che penetri con lo sguardo gli abissi
e siedi sui cherubini.

Benedetto sei tu nel firmamento del cielo.

 

 

SECONDA LETTURA (2 Corinzi 13,11-13)


Fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi.

Salutatevi a vicenda con il bacio santo. Tutti i santi vi salutano.

La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.

 


VANGELO (Giovanni 3,16-18)

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».


 

In altre parole…

 

Il mistero della Trinità è quanto di più presente ci sia nel linguaggio liturgico e della pietà cristiana: basterebbe pensare al segno della croce e al “Gloria al Padre”, e ricordare che siamo battezzati “nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.  Ma al tempo stesso è quanto di più assente ci sia nella sensibilità e nella spiritualità dei cristiani di tradizione cattolica. Sarà anche perché questo mistero è diventato appannaggio di disquisizioni teologiche, piuttosto che essere vissuto nella sua carica comunicativa. Il fatto stesso di prevedere liturgicamente una solennità a parte - in un contesto non più di “cristianità” - lascia pensare a qualcosa di celebrativo e non a quanto è la nostra stessa fonte di interiorità, il nostro ambiente esistenziale in cui “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17). Siamo troppo abituati a pensare a quello che serve e non siamo più abituati a tener conto di ciò che ci precede e ci costituisce!

 

Per dare ragione di questa nostra provenienza trinitaria basta ricordare quanto ci ha detto la prima lettera ai Corinti (12,4-6) una settimana fa: “Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti”.  Da questo rilevamento che Paolo fa della comunità di Corinto ci è dato di capire quale è l’azione trinitaria nei nostri confronti e come siamo coinvolti in questa comunicazione di vita che nasce dal Padre, che passa attraverso il Figlio e che arriva a noi col dono di quello stesso Spirito che si sprigiona dalla relazione interpersonale intra-trinitaria. Poiché è abbastanza chiaro che l’agire è unitario, ma non si possono nascondere aspetti specifici e autonomi che rivelano personalità diverse.

Dal nostro punto di vista Dio rimane quell’”Essere perfettissimo” con cui potersi rapportare con la nostra intelligenza e col nostro sentimento religioso, per cui diventa “oggetto” di indagine e di culto. Ma non è certamente questa l’unica prospettiva da avere, perché le cose sono andate e vanno diversamente, appunto come iniziativa personale nei confronti dell’uomo e nella storia del mondo. È una storia che viene alla luce con Abramo, che inaugura un rapporto di fede col Dio dei Padri, per diventare per sempre “Padre dei credenti”, l’amico di Dio che ci fa strada nella ospitalità e nella disponibilità totale: una storia che si ripete nel tempo nella stessa linea. Potremmo riconsiderare l’apparizione del Signore alle “Querce di Mamre, mentre egli sedeva all'ingresso della tenda nell'ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui” (Gen 18,1-2): quando appunto la promessa del figlio e della discendenza viene stipulata.

È quanto di più profondamente interiore si dia, ma non di intimistico, perché questo evento ha una sua risonanza storica incalcolabile, non di potere o di sistema, ma di alleanza e di manifestazione. E se da una parte chi lo vive non può appropriarsene, dall’altra nessuno può disconoscerlo nel suo verificarsi pubblico attraverso persone, per cui si dirà Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e via di seguito.  Si dicono tante cose di Giorgio La Pira - come in questi giorni di don Lorenzo Milani! -  ma si dimentica che fonte di ispirazione e di speranza era per lui la “famiglia abramitica”.

Bisognerebbe che la celebrazione della “Santissima Trinità” non avvenisse nel quadro religioso tradizionale a cui siamo assuefatti, ma diventasse essa stessa l’orizzonte, il contesto, l’ambiente, il clima in cui vivere nella fede, e cioè come risposta in prima persona alla gratuita comunicazione di grazia che si rinnova. Ed è proprio la scoperta di questa effusione di amore nei nostri cuori mediante lo Spirito che ci rende credenti, come accadimento originario del tutto immotivato, così come in altro campo è immotivata la percezione dell’essere al mondo come scenario, prima ancora che questo diventi oggetto di scienza o motivo di conquista. Perché non conta tutto questo e deve valere solo quanto utilizziamo o elaboriamo noi su questo terreno dato?

Un anello importante nella interminabile catena storica dei credenti è quello di Mosè, chiamato sul Monte Sinai, dove il Signore si presenta in tutta la sua verità profonda: “Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà”. Tocca a Mosè rendersi disponibile a questa comunicazione e accogliere questo dono di vita, che per lui vuol dire avere a che fare con un Signore che cammina in mezzo a noi. Ed anche se il popolo per il quale è chiamato è di dura cervice e recalcitra, il Signore non smette di farne la sua eredità secondo la sua promessa.  Quando si dice il Dio dell’Antico Testamento!

Ma è chiaro che a darci la visione realistica e compiuta del Padre è Gesù stesso, in quanto Figlio, così come dichiara nel suo colloquio con Nicodemo: un Dio che ama tanto il mondo, al punto di darne prova attraverso il grande mistero della pietà del Figlio: ”Egli si manifestò nella carne, fu giustificato nello Spirito, apparve agli angeli, fu annunziato ai pagani, fu creduto nel mondo, fu assunto nella gloria” (1Tm 3,16). Ancora una volta troviamo la Trinità in azione, perché il mondo sia salvato. E se fino ad un certo punto per essere salvati si doveva mutuare la fede di Abramo e di Mosè, ora la salvezza viene dal credere “nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”.

 

Questa relazione personale del Padre e del Figlio nello Spirito fa sì che anche il nostro sia un rapporto personale col Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. È così insomma che si rivela in noi e per noi questo mistero, che ci coinvolge più di quanto ci rendiamo conto. Qualcosa che è inscritto simbolicamente nel progetto dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio e di cui in Genesi 2,24 si dice: “Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”. Dove appunto la relazione è personale ed unitaria. E se nella nostra prassi giuridica parliamo ad esempio di “persona morale”, che istituzionalmente prevede molteplicità di persone, forse per approssimazione possiamo parlare anche di persona trinitaria! Del resto, quale che sia la nostra partecipazione attiva, quando celebriamo il “mistero della fede” sentiamo di avere una personalità diversa che ci supera e che ci fa impersonare il Cristo stesso!

 

Chiudendo la seconda lettera ai Corinti, Paolo presenta un modello vivente di comunità e di comunione ecclesiale, a cui aveva cercato di dare vita a Corinto: esorta alla gioia, al mutuo incoraggiamento, alla concordia, alla pace. Ma tutto questo a garanzia e in segno che il Dio dell’amore e della pace è con noi.  Ma questo essere “Dio con noi” si rivela come sua presenza e triplice azione tra tutti i santi, per cui il saluto di benedizione ci riporta al mistero stesso della Trinità che opera in noi: “Così la Chiesa universale si presenta come un popolo che deriva la sua unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Lumen gentium, n.4). Ma ecco come il saluto di benedizione di Paolo testimonia quanto l’azione trinitaria sostanzi e strutturi la vita della comunità, e come questa sia il luogo di rivelazione del Dio Uno e Trino: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”. Che ci sia dato di vivere uniti il “mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi” (Col 1,26). (ABS)


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