Koinonia Ottobre 2020


 

IN RICORDO DI PEDRO CASALDALIGA,

PROFETA DI UN MESSAGGIO DI LIBERAZIONE

 

L’8 agosto scorso è morto Pedro Casaldàliga, vescovo, teologo, poeta brasiliano. È un personaggio che ho sempre amato moltissimo per la sua dedizione alla causa degli ultimi, e particolarmente dei popoli nativi dell’Amazzonia, da secoli vittime di un vero e proprio genocidio e oggi a rischio estinzione.

Dom Pedro è morto di morte naturale, a novantadue anni: ironia della sorte per uno come lui che, vittima di svariati attentati commissionati dai latifondisti, tutti quanti andati a vuoto, si considerava un sopravvissuto.

Nato in Catalogna nel 1928, sacerdote nel 1952, missionario in Amazzonia nel 1968, vescovo nel 1971 (al tempo di Paolo VI). Da allora in poi dom Pedro esercitò la sua missione a Sao Feliz de l’Araguaia, in Amazzonia, ma la sua testimonianza va ben al di là dei limiti della sua diocesi. All’inizio degli anni ’70, in piena dittatura, redasse, assieme a un gruppo di vescovi, “Ho ascoltato il grido del mio popolo” un documento che resterà famoso, una coraggiosa testimonianza contro Il regime militare e l’oppressione subita dai poveri del Brasile.

Strenuo difensore degli ultimi (indios e contadini “sem terra” in particolare) in breve tempo dom Pedro diventò bersaglio della violenza dei latifondisti che più di una volta tentarono di ucciderlo. Nel 1976, durante un ennesimo attentato, restò ucciso il gesuita Joao Bosco, che frappose il proprio corpo al fuoco degli assassini.

Durante la dittatura militare (1964-1985) Casaldàliga rischiò di essere espulso dal paese, ma grazie alla ferma presa di posizione in sua difesa dell’arcivescovo Paulo Evaristo Arns poté evitare di venire estradato. Coerente fino alla fine al messaggio rivoluzionario del Vangelo, ormai vescovo emerito, già novantenne e malato, levò la sua voce contro le attuali derive autoritarie del governo brasiliano.  

Così scrive di lui, in una intensa testimonianza, Josè Luiz del Roio (1): “Nella sua diocesi di Sao Feliz de l’Araguaia (dom Pedro) si legò con questo popolo, lottò al suo fianco, non lo catechizzò. La sua religiosità e la sua azione nascevano dalle aggregazioni popolari. E così ha continuato per decenni. Dal suo popolo fu considerato un profeta che, partendo dalle sue grida, seppe collegare la dura realtà delle terra alle speranze del Cielo” (2).

Spesso ho avuto modo di confrontare la vicenda umana e religiosa di Casaldàliga con quella del vescovo Romero, ucciso nel 1980 in Salvador per analoghi motivi. Due vite spese a difesa degli sfruttati: entrambi testimoni di un Vangelo di liberazione, entrambi, come Gesù, perseguitati dai potenti, entrambi testimoni di una spiritualità incarnata. Ma al tempo stesso tanto diversi. Romero, “convertito dal popolo”, giunge al martirio nel breve giro di anni, essendo diventato il bersaglio numero uno dell’oligarchia terriera del suo paese. Casaldàdiga, da sempre difensore del popolo oppresso, ha vissuto per decenni come  “un morto che cammina”.

Pedro Casaldàliga è stato anche un poeta, un poeta militante, sempre coerente, anche in questa veste, con la sua testimonianza cristiana, e per questo rivoluzionaria. Come non ricordare, all’interno della sua produzione letteraria, due famose messe cantate, scritte in collaborazione con Pedro Tierra (3) e musicate dal famoso cantautore Milton Nascimento? La Missa da Terra sem Males  (la terra senza mali, il paradiso dei Guarani) è ispirata alla spiritualità dei popoli indigeni; mentre la Missa dos Quilombos trae spunto dalla cultura e dalla religiosità degli schiavi neri fuggiaschi del Brasile.

Queste due opere, a lungo malviste dalla chiesa ufficiale, sono espressione di quella Teologia della Liberazione di cui dom Pedro  fu un esponente di eccezionale valore.

“Questo secolo di cenere e di ribellione / offrirà il volto fuggiasco di quest’uomo / che sfugge ai disegni del mercato / e sempre rifiuterà gli altari degli dei” (4). Questi versi che Pedro Tierra scrive in ricordo di Che Guevara possono rappresentare alla perfezione la vicenda umana del nostro vescovo-poeta, una di quelle figure straordinarie che sanno indicarci la strada verso un Regno di liberazione, il Regno di Dio.

 

Bruno D’Avanzo

 

NOTE

(1) Storico, scrittore e militante politico brasiliano. All’epoca della dittatura partecipò alla lotta di resistenza come “Comandante Francisco”. Fatto prigioniero e poi espulso dal paese, visse per molti anni in Italia.

(2) Testimonianza di Josè Luiz del Roio, 9 agosto 2020.

(3) Poeta brasiliano, nacque nel 1948 col nome di Hamilton Pereira. La sua è un’opera militante, espressione del “grido degli oppressi”. Scrive di lui Pedro Casaldàliga: “La (sua) poesia non è triste. La Teologia Latinoamericana della Liberazione insegna che il contrario della felicità è la paura. <…>. La paura non ha mai posseduto la vita di questo poeta militante, torturato, condannato, libero. Dolorosi, pieni d’ira, questo sì, con un sapore di sangue e pianto a volte, i suoi poemi-testimonianza sanno terminare con un accenno di resurrezione. Tutte le morti vissute resuscitano” (in: Pedro Tierra, Dies Irae, dicembre 2001, p.21).

(4) Pedro Tierra, Dies Irae, dicembre 2001.

.

.