Koinonia Agosto 2020


COERENTI COL VANGELO, RESPINGIAMO LA TENTAZIONE DEL POTERE

 

Boccaccio in una sua novella ci parla di un mercante fiorentino, spregiatore di Dio e ben noto per le sue malefatte, che un giorno decide di andare a Roma. Racconta l’autore che  al suo ritorno quel signore appare del tutto cambiato e si mostra sinceramente pentito dei suoi peccati; ha deciso di cambiare vita.

Interpellato da amici e conoscenti, sbalorditi da tanta trasformazione, dà loro una risposta sconcertante: così grande è la corruzione che ha visto da vicino proprio nel cuore della cristianità     (un clero simoniaco, prevaricatore, sfruttatore dei deboli, disposto a ogni bassezza per il proprio tornaconto) che, se tanti credono e confidano sempre in Dio, ciò significa che Dio deve esistere davvero. Di qui la sua scelta di vivere da perfetto cristiano.

Come esseri umani dotati di ragione, tanto più se credenti, non possiamo, né dobbiamo, rimuovere un passato di ingiustizie di cui anche i vertici della Chiesa si sono resi responsabili, talvolta in conflitto con i settori dominanti della società laica, talaltra in combutta con quelli.

Resta difficile da capire come un Vangelo di liberazione possa essere stato usato per secoli (e talvolta lo sia ancora, a dispetto di papa Francesco) a sostegno delle classi dominanti, laiche o religiose indifferentemente.

Quel Gesù messo in croce e morto sulla croce simboleggia in modo inequivocabile la sofferenza dell’infinito numero degli sconfitti di questo mondo, apparentemente un mondo senza speranza.

Eppure il Vangelo ci dice che il Regno di questo mondo (non solo dell’aldilà) appartiene a loro. Pura illusione?

I potenti per secoli (ma ormai  possiamo parlare di millenni) hanno fatto di tutto per  interpretare il messaggio cristiano come la quintessenza della rassegnazione. Hanno predicato che la vita umana è fatta di sofferenza (dalla quale, chissà poi perché, si sentono esclusi); che se i poveri tentano di cambiare questa loro condizione si mostrano ribelli alla volontà divina, destinati quindi a bruciare in eterno nelle fiamme infernali; che l’unica loro speranza è di confidare nel paradiso, in un’altra vita, a condizione che in questa si sottomettano ai poteri costituiti. E per giunta i detentori del potere ecclesiastico hanno predicato per secoli che “extra ecclesia, nulla salus” che fuori della chiesa (ma quale chiesa?) non c’è salvezza.

Se nel corso dei secoli i cristiani, o almeno coloro che se ne dicevano rappresentanti, da vittime del sistema imperiale e a lungo perseguitati si sono trasformati in sostenitori del potere, e poi “potere” essi stessi almeno fino all’età moderna, la cosa ci può sconcertare e turbare; ma non dobbiamo meravigliarci più che tanto, perché la ricerca del successo, del denaro e del potere è stata sempre un richiamo potente per ogni uomo e per ogni gruppo sociale. L’episodio evangelico delle tentazioni di Cristo è ben significativo a riguardo.

Del resto la storia non fa che ripetere esempi del genere. Quante volte comunità intere, un tempo perseguitate per ragioni razziali o religiose, si sono poi trasformate, e spesso in tempi brevi, in carnefici di popoli innocenti?

Che dire, ad esempio, all’epoca delle guerre di religione, delle comunità evangeliche perseguitate dai cattolici o addirittura da protestanti di altre denominazioni, che, in fuga dall’Europa, cercarono fortuna nelle Americhe o in Sudafrica? Non praticarono forse, proprio loro, una politica di oppressione, di schiavitù, di terra bruciata, addirittura di genocidio nei confronti dei popoli nativi?  E tutto questo per la ricerca del loro “spazio vitale”, espressione cara a Adolf Hitler, uno dei maggiori carnefici della storia dell’umanità.

Questa triste inversione dei ruoli, oggi, è messa in atto dagli stessi governi di Israele (che mai dobbiamo confondere col “popolo” ebraico) che, appoggiati in tutto e per tutto dal presidente Trump, si adoperano in ogni modo per impedire la nascita di un  vero stato palestinese autonomo, in nome della sicurezza nazionale.

È interessante notare che spesso i nuovi oppressori si servono di espressioni e termini dei gruppi politici e sociali sui quali si sono imposti. Molti non ci pensano, ma la parola “nazismo” viene da “nazional-socialismo” e nomi come “fasci da combattimento” o “fronte della gioventù”,di mussoliniana memoria, erano in precedenza espressioni di matrice socialista.

Così oggi la parola “riforme”. Quando sento parlare di riforme mi vengono i brividi. Un tempo significavano miglioramenti economici e legislativi a favore dei meno fortunati. Penso alla riforma agraria, che con tutti i suoi limiti ha rappresentato per l’Italia la fine del latifondo; penso alla riforma della scuola, che ha introdotto l’insegnamento obbligatorio e gratuito, almeno fino a un certo livello di studi; penso al nuovo diritto di famiglia che ha esteso alle donne tutti i diritti civili, alcuni dei quali in precedenza erano concessi ai soli maschi; penso allo Statuto dei Lavoratori, che condanna ogni sopruso da parte dei datori di lavoro e impedisce il licenziamento del lavoratore senza una “giusta causa”.

Oggi viviamo in un mondo capovolto: cambiamenti in atto nella legislazione del lavoro, ad esempio, significano la facoltà di licenziare senza “giusta causa”, a fronte di un semplice risarcimento economico. Oppure poter “delocalizzare” un’azienda per trarre il massimo profitto grazie ai bassi salari e alle tasse spesso irrisorie in vigore in altri paesi. Ma che fine fa l’occupazione?

E che dire della sanità? Le restrizioni economiche nel settore pubblico hanno peggiorato, e di molto, i servizi sanitari nel nostro paese, mentre è stato incentivato il settore privato, al quale non possono accedere i ceti più disagiati.

Oggi l’emergenza del coronavirus mette drammaticamente in luce  (e in tanti, finalmente, se ne rendono conto) quanto i cambiamenti avvenuti siano stati deleteri per la salute dei cittadini. Ma questo risveglio sarà duraturo anche quando la pandemia sarà passata?

Mai come in questo momento di crisi, di perdita di certezze, di diritti messi continuamente i discussione mi sono sentito cristiano: credere, anche contro ogni ragionevole evidenza, nel Regno di Dio che viene.

Non si tratta di un’utopia consolatoria. Saremmo ciechi a non vedere che a epoche di guerre, di atrocità, di ingiustizie che sembrava impossibile potessero tornare, sono seguiti tempi di speranza e  di giustizia ritrovata, tempi di Resurrezione. Questo ci dà la speranza (e se fossimo credenti fino in fondo dovremmo dire la certezza) che sapremo costruire un mondo migliore: perché se la Croce è un momento di passaggio necessario, è la Resurrezione la Parola ultima di Dio sull’uomo.

 

Bruno D’Avanzo

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