Koinonia Agosto 2020


 

             

LA CONCRETEZZA DEI VESCOVI DELL’AMAZZONIA

 

Mentre un silenzio carico di imbarazzo copre sui media (ma non sui trash-social) l’ “originale” appello dell’ormai solito mons. Carlo Maria Viganò a difesa dei principi cattolici abbandonati dalla Chiesa (tra cui il sospetto per la scienza e il rifiuto dei vaccini) e per la sua ancor più “originale” lettera di fiducia e plauso al Presidente Trump, i vescovi dell’Amazzonia - il 29 giugno 2020, giorno dedicato ai Santi Pietro e Paolo ma anche  ai “tempi difficili per l’umanità, mentre la pandemia colpisce con forza la regione panamazzonica e le realtà di violenza, esclusione e morte contro il bioma e i popoli che lo abitano reclama un’urgente quanto imminente conversione integrale” - hanno dato forma e vita alla Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia come “risposta opportuna al grido dei poveri e della sorella madre Terra”, “un ponte che animi... unito al magistero di Papa Francesco”, altre “reti e iniziative ecclesiali e socio-ambientali a livello continentale e internazionale.... uno strumento efficace” per realizzare le idee e le proposte uscite dal Sinodo speciale dell’ottobre scorso”.

 

L’organismo, in nome dell’ “unità nella diversità della Chiesa e la sua chiamata a una sempre maggiore sinodalità”, ha eletto come presidente il cardinale Claudio Hummes, arcivescovo emerito di San Paolo e nell’organigramma alti prelati di Perù, Bolivia e rappresentanze del Celam, del Repam (Rete ecclesiale panamazzonica), del Clar (Confederazione latinoamericana dei religiosi), della Caritas dell’America Latina e Caraibi e di tre rappresentanti dei popoli originari. Il Celam ha integrato con una lettera inviata a Francesco, il Papa che esprime una vicinanza “ai bambini, agli anziani, ai malati e ai poveri (come) gesto profetico decisivo in un momento in cui il mondo rischia di disumanizzarsi” e fa respirare “un nuovo clima nella Chiesa... più evangelica e più di Cristo”. Per questo la lettera ricorda “la passione con cui Lei ci esorta ad uscire dall’autoreferenzialità e a camminare verso le periferie geografiche ed esistenziali...(a) evangelizzare con gioia”. Infine si rivolge direttamente a Francesco con “profondo sentimento di gratitudine e di affetto... Santità, quando sente la fatica del duro lavoro che il Suo ministero richiede, desideriamo che Lei sappia che milioni di mani, nel mondo, sono pronte ad aiutarLa; che milioni di mani salgono al cielo pregando per Lei ogni giorno”.

 

A nessuno sfugge, credo, l’enfasi della presa di posizione di una Chiesa istituzionale locale che intende rappresentare la partecipazione laicale impegnata che non è solo latinoamericana: mostra l’ansia di chi non ignora che la “visione” di papa Francesco è in pericolo. Sensibilità poco sentita in altri paesi cattolici. In Italia infatti siamo rimasti alla non più chiarita sentenza di sostanziale condanna dell’esperienza di Bose: Enzo Bianchi - dopo che la richiesta, partita dall’interno della comunità monastica, di un intervento della Santa Sede ha portato tre “visitatori apostolici” ad eseguire il mandato tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 - su ordine del Segretario di Stato Parolin e con il consenso del Papa, è stato allontanato “a tempo indeterminato” dalla comunità da lui fondata, mentre altri tre monaci obbligati “per cinque anni” a restarne lontani e a vivere separati. Condanna grave, accettata con sofferta obbedienza dagli interessati, con forse imbarazzata inadeguatezza dalla Comunità, evidentemente decisa a lasciare nello sconcerto chi ne vuole mantenere memoria in tempi tanto faticosi: finora non ha pubblicato espressioni formali esplicitamente giustificative della severa sentenza, né intende violare il riserbo tradizionalmente dovuto dagli uomini di chiesa; difficilmente si comprende il silenzio tombale del vescovo locale. 

 

Resta l’amarezza di chi vorrebbe sapere il senso di un’operazione che di fatto ammutolisce l’ultima comunità di rilievo dell’orizzonte postconciliare  italiano, ormai privo di centri di grande rilievo ecclesialmente partecipati. Cresce ancor più il senso della crescente fragilità dei principi conciliari dopo l’incognita lasciata dal recupero, a seguito della sentenza del Tar del Lazio, della Certosa di Trisulti da parte di Steve Bannon, ex-consigliere del Presidente Usa Trump, che intende farne un’Accademia dell’Occidente giudeo-cristiano (“una scuola di gladiatori di destra, i soldati delle prossime guerre culturali che dovranno difendere l’Occidente”), anch’essa poco pubblicizzata dai media. Terrorismi verbali a parte, è evidente che si sta sotterraneamente rafforzando l’antica frontiera del cattolicesimo ostile da sempre alla linea pastorale e non dogmatica della Chiesa: i “segni dei tempi” questa volta segnano nebbia.

 

Per questo su Bose siamo legittimamente autorizzati a fare supposizioni più o meno arbitrarie: a chi dava fastidio - anche internamente - la libertà della Comunità? Si possono elencare le vulnerabilità evidenti, sostenute finora a livello ufficiale ma sgradite ai conservatori: l’essere un grande centro ecumenico (è stato cancellato, ovviamente non per il Covid19, il grande convegno di tutte le comunità ortodosse), aver sperimentato un monachesimo alternativo formato da cristiani non solo cattolici, la composizione mista di monaci uomini e donne, la non clericalizzazione dei monaci che non sono preti e non celebrano la santa messa quotidiana. Si tratta di caratteristiche che potrebbero aver esposto Bose alla riprovazione dei vetero-fondamentalisti con manovre a cui il Papa non ha potuto resistere. Se, poi, fossero solo beghe di famiglia, la crescita delle vocazioni non avrebbe prodotto grandi risultati e la Comunità dovrebbe ripensare la propria vocazione.

 

Intanto si vocifera un altro caso, quello dei «Memores Domini” di appartenenza CL, l’organizzazione cattolica potente che confidava, dopo gli appoggi ricevuti da pontefici tradizionali come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, di poter arrivare ad avere un papa di famiglia con l’elezione del card. Scola. Se i memores hanno come unità di misura “il Celeste” Roberto Formigoni, il nuovo scandalo non farebbe novità. Appesantirebbe soltanto il ritardo prodotto nel cinquantennio di non-riforme della Chiesa cattolica in una stagione globale che mette in crisi tutte le religioni per insostenibilità dei regimi di conservazione teologica ormai sterili per la stenosi del “sacro”.

 

Continua intanto il tormento senza fine della pedofilia come male intrinsecamente clericale e la contraddizione di un papa che tenta di sradicarla condannando alla giustizia riparatrice civile gli autori del “peccato contro dio” e sconcerta chi ha sempre coperto le vergogne interne di un organismo per definizione immacolato. Un papa che non teme di relativizzare la preghiera condividendola con i “fratelli” delle altre religioni se, davanti alla pandemia e alle sue terribili conseguenze, proprio nella preghiera, nel digiuno, nella penitenza siamo “uniti davanti al dio di tutti, che ognuno prega come sa, come può, come ha ricevuto dalla propria cultura”. Un papa ecumenico che si vede audacemente seguito dal Gruppo di lavoro di teologi evangelici e cattolici tedeschi - di cui non si dà grande informazione - al lavoro per sostenere “una nuova forma concordata di liturgia eucaristica al di là delle tradizioni cresciute nel corso della storia” e trovare fondamento nel “riconoscimento del battesimo come vincolo sacramentale della fede e come presupposto nella partecipazione”, una partecipazione eucaristica che il protestantesimo chiama Santa Cena. Perfino un Giovanni Paolo II redivivo - era polacco, ma in grado di capire come il suo modello va a finire nella società se i polacchi eleggono Orban - rimpiangerebbe di aver bloccato il suo lungo pontificato nelle strettoie di un cristianesimo da imporre sulle ceneri del comunismo già sovietico e del perenne consumismo capitalistico: anche per lui la pace e la fratellanza erano “principi” a cui adeguare il comportamento dottrinale; ma il messaggio restò spirituale, con i “fratelli” mantenuti separati.

 

I responsabili che, non ignorati dai teologi, da sempre hanno usato anche malversando la finanza cattolica e con l’obolo di san Pietro hanno comperato un purtroppo famoso palazzo a Londra, sono contro la concretezza ardita di papa Francesco che usa la scure (almeno ci prova); ma l’intervento subdolo di parte reazionaria si è esteso alla Cei, sia quando ha inviato al governo italiano un documento non troppo diplomatico contro il lockdown delle messe nelle chiese da tenere aperte al culto, sia quando ha replicato l’invio di un messaggio di ripresa dell’antica interferenza nella politica di uno stato straniero (non più secondo la prassi DC di un Buttiglione, ma secondo l’ostentazione del rosario di Salvini) contro la legge che condanna ogni forma di discriminazione transomofobica.

 

Mancavano i laicisti. Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera (10 e 19 maggio) ha manifestato - e ribadito dopo le contestazioni di Sofri e Vattimo - le considerazioni tipiche degli iper-laici per i quali la Chiesa deve essere oscurantista e modellata sulla tradizione lefevriana. Per lui papa Francesco in primo luogo pecca per “diffusa assenza del tema della trascendenza” sì che il suo pontificato è sostanzialmente “politico” e “ideologico”. Infatti sceglie come destinatari “dei popoli oppressi” e “dei movimenti popolari” e tiene “in secondo piano il contenuto confessionale”. Per giunta ha “ostilità per il capitalismo e per gli Stati Uniti”, avversa “tutto ciò che sa di istituzionalizzato, di ufficiale, di formale”, auspica “una sorta di economia natural-comunitaria a base egualitaria”, abbandonando “sullo sfondo...il depositum fidei”. Manca solo la denuncia di eresia

 

Posso chiudere dicendo che nemmeno a me vengono grandi idee, ma non mi piace tanto silenzio attorno al duro lavoro di Francesco, destinato a divenire complice con la reazione se, anche da noi ,nessuno gli fa sapere che milioni di mani, nel mondo, sono pronte ad aiutarlo?

 

Giancarla Codrignani

.

.