Koinonia Febbraio 2020


Dall’intervento di Sergio Tanzarella

 

I NODI DA SCIOGLIERE

 

<...> Rileggendo ciò che è stato scritto su quelle vicende la sensazione è che – pur se sono passati 50 anni – mi sembra appena ieri. E forse il motivo è che probabilmente alcuni dei nodi di quegli anni non sono stati sciolti! E la prova di questo è che ai miei studenti propongo come fonte da leggere quello che ritengo essere uno dei documenti più importanti della storia del Novecento e della storia della Chiesa italiana, cioè la lettera dell’Isolotto del 22 settembre del 1968 sui fatti di Parma. Quando chiedo loro «secondo voi chi ha scritto questo? e quando è stato scritto?» le risposte di questi ultimi anni sono «l’ha scritto papa Francesco!».

 

Soprattutto c’è un passaggio di quella lettera che è straordinariamente drammatico e ancora attuale:

 

«Viviamo in una Chiesa che non ha a fondamento i poveri, gli oppressi, i rifiutati, gli affamati e assetati di giustizia. La Gerarchia e la parte ufficialmente più responsabile della Chiesa non fa parte del mondo dei poveri, dei rifiutati, degli oppressi...».

 

I miei studenti ascoltano e pensano sia stato scritto oggi, o appena ieri. Questo dimostra come c’è una permanenza nella lunga durata che arriva fino al nostro presente con delle istanze complessivamente irrisolte. Vi è una dimensione costantiniano-teodosiana che resta ancora attuale, cioè sistemica. Un regime di cristianità che se è ormai quasi scomparso nelle forme sopravvive nella mentalità e nella percezione diffusa. Il fatto poi che questo frammento venga attribuito a papa Francesco è il segno di come questo papa dia finalmente voce alle analisi compiute cinquant’anni fa da una comunità che proprio per questa coscienza critica fu fatta oggetto di una brutale persecuzione, ma Francesco rappresenta anche la proiezione di una lunga attesa durata decenni e che, nonostante lui, rimane irrisolta come dimostrano le continue aggressioni, palesi e subdole, di cui è oggetto. Quella lettera è così un manifesto di analisi e di responsabilità nella lettura della storia che assume un valore esemplare anche per l’oggi. Quelli che l’hanno scritta e che hanno vissuto il clima di quella stagione probabilmente non sapevano che dopo cinquant’anni avrebbero parlato anche a noi. Ecco che allora il mio debito con l’Isolotto non si ferma ad avermi aperto un orizzonte nella mia infanzia, ma al fatto di darmi anche adesso di che pensare, di continuare a rivolgermi domande decisive. Scrivevano nella lettera:  

 

«Si tratta invece di sapere se quella che si proclama la Chiesa di Cristo è veramente crocifissa con lui sul legno della maledizione, sul legno della disoccupazione, del disadattamento sociale, della privazione di dignità umana, della fame ecc. O se piuttosto sta a guardare il Cristo che vive nei poveri, esortandolo, consolandolo e confortandolo con una spugna inzuppata nell’aceto. Si tratta di sapere se la Chiesa è “uscita fuori delle mura di Gerusalemme per sopportare con lui l’ignominia […]”, se è decisa ad uscire dalle strutture oppressive, fuori dal sistema iniquo che si fonda sullo sfruttamento dell’uomo su l’uomo, fuori dall’imperialismo del denaro che crea lo squilibrio paurosamente crescente tra i popoli della fame e quelli dell’opulenza fuori dalla cerchia dei privilegiati, dei rispettati, dei temuti…».

Riconsiderando questo frammento mi metto dalla parte degli studenti, di questi giovani e meno giovani che leggono la lettera e non sbagliano di molto dicendo che è stato scritto ieri, anzi che è stato scritto oggi. Infatti, ci sono dei puntini sospensivi, c’è un eccetera e allora potremo metterci tutto quello a cui assistiamo in queste ultime settimane e in tutta questa estate con la chiusura dei porti, con le navi lasciate in mezzo al mare per settimane, con decine di naufraghi senza un porto, con lo spettro di ritornare nell’inferno dei lager libici. E di fronte a tutto questo ancora calcoli e diplomazie per verificare se conviene parlare, se è opportuno smentire le mistificazioni e abbandonare la neutralità, se è il caso di uscire da Gerusalemme o rimanervi comodamente protetti tra privilegi e incenso. A me sembra che la lezione dell’Isolotto in quel 1968 sia stata proprio in questo superamento dell’equivoco della moderazione e del collateralismo. E questo si può realizzare solo a patto di imparare a guardare fuori.

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