Koinonia Ottobre 2019


LA BASE NELLA CHIESA:

un modo di dire o un modo di fare?

 

Soltanto degli appunti. Per trarre spunti: a considerazioni mie e, spero, vostre. Li enumero in chiara successione proprio perché aiutino questo confronto di opinioni, questa condivisione di idee.

 

I. Base: è termine compatibile con chiesa?

 

1) Base ha molte accezioni: il mio dizionario registra 14 varianti. Riferita ad un insieme di persone, base si precisa come relativa a vertice: la base e il vertice; qualcuno che sta sotto e altri che stanno sopra o, comunque, una maggioranza che subisce la gestione di pochi. Di qui - con colorazioni forse sessantottine, certamente politico-sindacali - si parla di base che rivendica, esige di essere consultata, reclama diritto di parola e di decisione…

 

2) Questo è applicabile alla chiesa, è compatibile con il fare ed essere chiesa?

Credo che sia importante avvertire subito che ammettere nella chiesa una base è riconoscere alla chiesa il diritto ad avere un vertice.

Cioè è,  proprio volendo il contrario, dare ragione e consolidare una concezione di chiesa sicuramente in grave difficoltà rispetto al modello evangelico che sbarra i rapporti superiori-sudditi, appunto di sopra-sotto, e propone i rapporti fratello-fratello.

“I capi delle nazioni le signoreggiano e i grandi hanno potere su di esse. Tra voi non è così, ma chi vuole tra di voi diventare grande, sarà vostro servitore e chi vuole essere primo tra voi sarà vostro schiavo” (Mt 20, 25-27).

“Voi non fatevi chiamare rabbi perché uno solo è il vostro maestro; ma voi siete tutti fratelli. E non chiamate padre nessuno di voi sulla terra perché uno solo è il padre vostro, quello celeste. Non fatevi chiamare guide perché la vostra guida è una sola, Cristo” (Mt 23, 8-10).

 

3) Ecco: mi interessava dire prima di tutto che la mia sfacciata simpatia per la base della chiesa è a tempo determinato, ed è relativa all’esistente (la chiesa come è) ma non si estende alla chiesa come la sogno: nella chiesa come dovrebbe essere la base non avrà senso in quanto non vi avrà più senso il suo correlativo e cioè il vertice.

Vertice che, è doveroso almeno accennarlo, non è la stessa cosa di diversità di ruoli, di varietà di ministeri.

Il vertice è dato da uomini collocati, nel caso religioso, in posizione intermedia tra Dio e gli altri uomini-donne. Il ministero pone alcuni uomini (e donne) a fianco di altri uomini-donne e alle loro dipendenze.

L’unico potere evangelico è exousìa, che è il potere di guarire uomini-donne dalle loro infermità (Mc 6,7; Lc 9,1; Mt 10,1) cioè di prodigarsi per il loro bene, senza menomare o ledere la loro dignità e i loro diritti (O. Da Spinetoli, Chiesa delle origini chiesa del futuro, Borla 1986, p.83).

 

II. Base: per una storica conversione della chiesa.

 

1)  Base termine inadeguato alla chiesa comunione di fratelli-sorelle. Però termine giusto e decisivo in una chiesa che la base se l’è creata e l’ha subordinata diventando, nei fatti ma anche nei pronunciamenti, chiesa-vertice.

La chiesa di base è storicamente motivata e giustificata dalla chiesa di vertice. E la chiesa-vertice, almeno per i non più giovani, non ha bisogno di faticose dimostrazioni perché è, o è stata, la chiesa, l’unica chiesa conosciuta e vissuta. La storia della chiesa era (ed è?) storia di papi e di vescovi o anche di non papi e non vescovi (santi od eretici, movimenti o avvenimenti dentro o fuori la chiesa...) ma se e in quanto entrati in qualche modo in rapporto con papi e vescovi. Storia di una chiesa dimezzata, limitata ai soli abitanti dei suoi piani alti.

E la stessa definizione della chiesa di uso comune consacrava questa chiesa di soli chierici: la chiesa cioè il papa, i vescovi, i preti.

 

2) In questa situazione storica (storia cristiano-cattolica plurisecolare!) il risveglio della base è risultato (e risulta) correttivo essenziale per restituire la chiesa al suo tutto, per ricondurre la chiesa ad assemblea, popolo radunato dalla Parola che chiama tutti alla libertà e nessuno a subordinazioni e soggezioni.

Insomma: se base è anomala nella chiesa come deve essere, diventa provvidenziale per la conversione di una chiesa anomala, di una chiesa storicamente smarrita.

La base ha una benefica funzione storica e non dovrebbe disturbare il fatto che abbia attinto spinte, sollecitazioni o anche ispirazione da situazioni storiche esterne (l’accusa di politicizzazione è stata ricorrente ed insistente!).

A parte il fatto - non trascurabile - che sarebbe arduo escludere dall’organizzazione piramidale della chiesa influenze di modelli politico-societari, bisogna saper dare prova di fede non selezionata nello Spirito che soffia dove vuole e  anche mediante cosa e chi vuole. Ciro l’”infedele” che diventa liberatore dei “fedeli” (gli israeliti sottratti alla schiavitù babilonese) non è così strano ed eccezionale!

 

III. Base: il Vaticano II è (quasi) dalla sua parte.

 

1) La base e il sessantotto. Nel 1968  il Vaticano II era già finito da tre anni. E il Vaticano II testimonia che la chiesa viveva fermenti se non esclusivi certo collaterali e in sintonia  con quelli sociali.

Il Vaticano II oggi è “documentato” ma va oltre i documenti prodotti. Leggo le sue costituzioni e i suoi decreti, ma temo le sue costituzioni e i suoi decreti. Tutto ciò che è scritto cade in una qualche fissazione e finisce facilmente nelle mani di scribi, esegeti, interpreti e, quindi, in nuove possibili dipendenze.

Il Vaticano II è una seminagione: qualcosa è penetrato nella terra dei pensieri e delle responsabilità, cioè è entrato nella vita e la vita è libertà, sorpresa, imprevedibilità. Nonostante tutto e tutti il Vaticano II andrà oltre se stesso per essere fedele a se stesso, evento di uomini e donne e non roba da archivio o da accademia teologica.

 

2) Il seme del Vaticano II è, sostanzialmente, una chiesa diversa. Anzi: una  chiesa rovesciata. L’immagine più usata è stata quella della piramide: la punta (il vertice) sotto e la linea bassa (la base) in alto. Ciò che troneggiava diventa sostegno, aiuto, servizio. Ciò che faceva da piedistallo, diventa monumento vero e proprio. Una vera “rivoluzione copernicana della chiesa” diceva M.-D. Chenu.

È la riscoperta del “popolo di Dio”, della sua priorità ed è riscoperta decisiva (anche se popolo di Dio mi inquieta molto: gli altri popoli di chi sono?).

 

È nota la significativa successione adottata dalla Lumen gentium, la costituzione sulla chiesa. Chiesa che, capitolo I, nasce e dipende dal disegno di Dio per la salvezza di tutti i viventi. Chiesa che è fondamentalmente e primariamente popolo, ed è il capitolo II. È conservato un posto anche per la gerarchia ma la gerarchia non è lasciata al suo posto: non più prima ma dopo e nel popolo di Dio, ed è il capitolo III. Uno spostamento che se non declassa la gerarchia, la ricolloca nel popolo sovrano e non sopra il popolo suddito.

Non tutto è così chiaro. Anche in questo caso il Vaticano II concede qualcosa (o molto!) alla difficile composizione di posizioni diverse: la gerarchia viene collocata dopo e nel popolo credente ma conserva le sue antiche attribuzioni, tra le quali quella di essere rappresentante di Dio e responsabile delle decisioni comunitarie.

Insomma: la conclamata sovranità popolare poi torna ad essere effettiva sovranità gerarchica. Una contraddizione ancora viva. Ed è questa contraddizione che giustifica l’interrogativo: la base nella chiesa è un modo di dire o un modo di fare; è pura proclamazione o pratica ecclesiale?

 

IV. Base: per molti è diventata una scelta di vita.

 

1) Nel dopo-concilio molti hanno preso sul serio la base, la parte bassa della chiesa. Base intesa, in qualche modo, anche nella sua accezione meno sociologica ma applicabile base, cioè, come l’elemento fondamentale di un composto, di un insieme, di un sistema.

Base, comunque, come il luogo in cui abitare, pensare, agire, sperare. Base come collocazione giusta del vivere giusto.

E nacquero gruppi, comunità, movimenti, appunto, di base.

Un fermento che ha attraversato le chiese d’Europa e dell’America Settentrionale, dell’America Latina e quelle ex-coloniali in Asia e in Africa.

Esperienze con tratti comuni e molto di proprio e peculiare in rapporto a diversi contesti ecclesiali. E a diversi contesti politico-sociali.

Perché la chiesa della Lumen gentium (la chiesa al suo interno) è la stessa della Gaudium et spes (la chiesa e il suo contesto esterno): la chiesa non è fuori del mondo ma è mondo, vive nel divenire umano. Per cui non fu (e non è) una forzatura ma un’inevitabile sintonizzazione che la parte bassa della chiesa intrecciasse ideali, aspirazioni e anche lotte con la parte bassa dell’umanità, con tutti gli uomini e donne sotto: con gli sfruttati, gli emarginati, i colonizzati, i senza parola, i senza pane, i senza casa, i senza terra...

 

2) E, questa volta, c’era anche la chiesa che è in Italia.

Quella chiesa italiana che, recalcitrante nei confronti delle aperture del dibattito in concilio, è sempre apparsa più propensa a dire “amen” ai vertici romani che a lasciarsi coinvolgere nei rischi dell’osare.

Bene: anche nella chiesa italiana c’è stato (e c’è) un movimento di base. E qui dovrebbero cominciare i racconti  di tanti spezzoni di esperienze italiane di questo ultimo trentennio. E per qualcuno di noi sarebbe anche un raccontarsi perché sono stati e sono dentro queste esperienze e debbono molto a questa ventata dello Spirito che ha cambiato la loro vita. Mi piacerà sapere di più del pochissimo che so di Querceto e continuazione; di Koinonia come progetto e sogno.

 

3) L’area che mi è familiare è quella delle Comunità cristiane di base (CdB). Potrei raccontarla per esteso. Mi limito a trarne qualche linea portante.

 

a) Le CdB non hanno mai pensato o voluto essere un’altra chiesa ma hanno scommesso sulla possibilità di costruire una chiesa altra. Hanno, in altre parole, cercato di ottenere una chiesa cambiata  senza cambiare chiesa.

Una posizione probabilmente inedita e che ha spiazzato sia la chiesa di appartenenza (quella cattolica: i dissidenti sono meno scomodi dei dissenzienti!) che le chiese (quelle protestanti?) magari speranzose di poter ingrossare le proprie file: i dissenzienti non diventano facilmente dei dissidenti?

A ben leggere questo è un dato di fondamentale importanza per l’affermazione della base. In sostanza si delegittima chiunque si senta tanto padrone della chiesa da poter stabilire chi è degno o indegno di essere chiesa come se la chiesa fosse un territorio del quale si possa concedere e negare la cittadinanza. Un’altra chiesa è accettare di trasferirsi in altro territorio (altra nazione) riconoscendo la legittimità del territorio (della chiesa) abbandonata.

Una chiesa altra nega la chiesa dei confini e rivendica la chiesa evento, la chiesa che è dove si realizza: “dove due o tre si riuniscono nel mio nome lì io sono”. Due o tre... la base!

 

b) La chiesa-evento, la chiesa altra, passa, si costruisce attraverso una serie di quelle che le CdB amano chiamare riappropriazioni. Che non significano prendersi ciò che è di altri ma riprendersi ciò che altri si sono indebitamente presi, espropriando diritti altrui o anche altrui.

Difficile comprimere processi di lenta e faticosa conquista.

- Riappropriazione,fondamentalmente, di Gesù di Nazareth. Più attenzione al messaggio che al messaggero; più a ciò che Gesù propone che a ciò che Gesù è; più alla fede di Gesù che alla fede in Gesù. Insomma dal Gesù delle elucubrazioni teologiche e dei consolanti devozionismi al Gesù delle responsabilità storiche (rimando a quanto ho documentato in Gesù di Nazareth, ed.CNT, Roma 1991, pp. 13-56).

- Riappropriazione della Parola. La Bibbia restituita alla varietà e molteplicità di sensibilità ed esperienze: non soltanto di chierici e celibi ma di donne, bambini, sposati...

- Riappropriazione teologica.  Dal definire al narrare...

- Riappropriazione ecclesiale. Dai poteri ai ministeri...

- Riappropriazione liturgica. È nella celebrazione liturgica e specialmente nell’eucaristia che tutte le riappropriazioni sono diventate realtà, concrete attuazioni: la mensa che mette tutti alla pari; la Parola dono per tutti e le parole, restituite a tutti (fine del monologo); l’esperienza che diventa teologia... (si veda il mio Eucaristia raccontata, ed.Borla, Roma 1988).

 

c) La chiesa altra ha il ponte levatoio sempre abbassato: non è la  cittadella murata e separata ma è una piazza, luogo di libero incontro.

Cittadella metafora di tutte le separatezze-contrapposizioni: sacro-profano; spirituale-materiale, anima-corpo...

Spesso rimanere nella cittadella è considerato sinonimo di fedeltà (anche politica) al cristianesimo (al cattolicesimo) e scendere in piazza è ritenuto smarrimento di identità cristiana e svendita al diavolo.

Le CdB hanno pagato a caro prezzo scelte politiche non in linea con il partito unico dei cattolici; scelte per la libertà di coscienza  come la legge per il divorzio e per l’aborto (che è altra cosa dall’essere per il divorzio o per l’aborto!); cammini  comuni al di là di schieramenti religiosi e non.

 

V. Base: un sogno morto all’alba?

 

1) L’abbinamento, legittimo o forzato, del risveglio della base nella chiesa con i fermenti sessantottini autorizza ad ipotizzare un tramonto della base nella chiesa associato al tramonto (vero o presunto; totale o parziale) del sessantotto politico-sociale?

In altre parole: della base nella chiesa si parla al passato o al presente? Anche quello della base della chiesa è stato un fenomeno di una sola stagione? La domanda è nell’aria e non giova eluderla. La risposta? Potrebbe essere una netta smentita. Doverosa una precisazione.

 

2) La smentita è nei fatti: Proprio in questo momento ho il rimpianto di non poter essere qui e, contemporaneamente, alla celebrazione eucaristica di ogni sabato della comunità in cui, da trent’anni, esprimo la mia fede. Una comunità di base che resiste, c’è ancora, non è morta. Capita che proprio amici “sessantottini” scoprano questa nostra sopravvivenza e la trovino... miracolosa.

E ci sono ancora diverse altre comunità di base (insisto a parlare di ciò che conosco ma senza voler accampare esclusive, anzi!) sparse sul territorio italiano: a dicembre celebreremo il XII convegno  nazionale (da sommare ad altrettanti seminari) parlando di giubileo e potere, una proposta di giubileo alternativo, trasferito dal tempo delle religioni ai tempi dei viventi.

 

3) Movimenti, gruppi, comunità e iniziative mantengono viva la base ecclesiale anche oggi. Ma forse, - ed ecco la doverosa precisazione - in modo diverso da ieri. Diciamolo: probabilmente con accresciute difficoltà e diminuiti  entusiasmi. li entusiasmi sono sempre a breve scadenza. Le difficoltà sono sempre propense ad aumentare. E sono ormai in numero rilevante.

 

- Perdita di leader: le comunità del Sud hanno sofferto mortalmente la perdita del prete “eliminato” dai vertici ecclesiastici e non sostituito dalla debole base.

- Invecchiamento anagrafico: il ricambio generazionale, salvo eccezioni, è scarso.

- Fatica del passaggio dalla contestazione negativa a quella propositiva: più facile la denuncia di infedeltà visibili (connessioni economiche, politiche, di potere...) che una revisione biblico-teologica.

- Stanchezza del “feriale” (la nostalgia degli splendori del tempio che prendeva anche i primi cristiani: vedi la Lettera agli Ebrei) e facilità alla delega (qualcuno che decida e faccia al posto nostro).

- Disagio da minoranza (emarginazione, insignificanza, ghettizzazione...).

 

Moltissime difficoltà. Conseguenza: la base, questo tipo di base, non è morta ma è assottigliata e anche con segni di logoramento.

 

VI. Base: al di là delle “sigle depositate”.

 

1) Mantengo vivo e al presente l’interrogativo: la base nella chiesa è, oggi e ora, un modo di dire o di fare?

Non faccio i funerali a niente di quanto è nato e cresciuto in questo ultimo trentennio ma credo che ogni stagione abbia diritto ad esprimere  i propri colori e credo che eventuali stanchezze e anche l’eventuale tramonto di alcune esperienze di base non significhino necessariamente stanchezza o tramonto della base, del suo esserci ed esserci attivamente.

Rubo ad altri (G.Manziega, Preti operai, 1997, 37-38, p.5), e adatto, un’immagine stellare. Nessuna esperienza è una stella fissa, eterna! Ma ciascuna esperienza, individuale o collettiva, può essere una supernova, corpo celeste che, esplodendo, proietta parte della sua materia nel circostante spazio interstellare, creando nuovi astri splendenti di luce propria. La supernova, insomma, proprio quando si frantuma e subisce una sua dispersione, sopravvive in mille stelle e pianeti.

Perché non supporre qualcosa di analogo per le “vecchie” esperienze di base ecclesiale? Che esse possano generare altre esperienze di vita autonoma, non clonata?

 

2) L’applicazione  non è proprio a vuoto: non mancano segnali di una vivacità di base nuova o  diversa. E meriterebbe fermarsi, indagare nella varietà e complessità dei cattolicesimi (il plurale è già realtà che sgretola l’uniformità tanto gradita dai vertici!) presenti anche in Italia.

Ho già raccontato (L’erba e le pietre, cap. XIV) di una mia esperienza in una parrocchia pugliese. Certamente una bella parrocchia ma, mi domandavo, bellezza di parrocchia o in parrocchia? Cioè: bellezza tipica (sacramentazione, pratiche religiose...) di una comunità religiosa o una bellezza fiorita in parrocchia ma che poteva nascere in altri luoghi o riferimenti di aggregazione? Questo perché era abbastanza evidente l’abbattimento di separazioni tra sacro e profano, tra ritualità e vita, tra parroco e parrocchiani, clero e laici. Una prassi complessiva che accettava l’importazione dall’esterno (formule e gesti fondamentali dei riti...) ma con forte impronta propria. Forse con più di un pizzico di trasgressività. E sufficiente autonomia nei confronti delle centrali diocesane e romane. Che però tollerano oggi (tolleranza calcolata?) più di qualche decennio fa. Mi domandavo: nascono “comunità di base” all’ombra delle istituzioni mentre ieri nascevano dall’estromissione dalle istituzioni? E Firenze offre un esempio significativo: il ponte dell’Indiano divide e unisce l’Isolotto a Le Piagge, don Mazzi a don Santoro: esperienze fondamentalmente uguali ma diverse perché sono cambiati i contesti sociali (dalle lotte operaie alle lotte contro gli spacciatori di droga) e i contesti ecclesiali liberati da crociate antimarxiste e impossibilitati ad indifferenze nei confronti dei mercanti di morte.

 

3) L’indagine offre altre possibili piste.

 

a) La base è viva - la contraddizione è soltanto apparente - dovunque e in chiunque vengano superati convinzioni e atteggiamenti da base, cioè di dipendenza, soggezione, subalternità.

La base cresce morendo nel trionfo della coscienza, della responsabilità individuale, dei diritti invendibili. Fate le debite applicazioni in campo etico (morale matrimoniale...) ma non soltanto.

 

b) La base è viva dove cresce democrazia effettiva: non si può continuare a ritenere negativo nella chiesa ciò che è visto come valore in tutte le associazioni umane, a partire dalle famiglie e cioè “il confronto, il pluralismo, la complessità, la critica, il dissenso, l’articolazione e diversificazione di approcci di letture della realtà” (A.Jori, Adista, 1997, 48, p. 10).

Il movimento Noi siamo chiesa, ormai planetario, chiede alla chiesa proprio questo: accettare al proprio interno ciò che la chiesa stessa rivendica come diritto-dovere delle società civili.

E la democrazia nella chiesa non viene per “decreto” ma avviene per “conquista”:

- laici che parlano rompono il monologo clericale;

- donne che prendono la parola iniziano la fine del patriarcato;

- parrocchie che assumono gestioni in proprio smantellano il centralismo;

- parrocchiani che smettono di delegare mandano in pensione il parroco-padrone.

 

 4) Ma la base, e sarebbe omissione grave dimenticarlo, può contare su alcune, decisive  alimentazioni prima bloccate, precluse. Penso particolarmente alla Bibbia e alla teologia.

 

a) La Bibbia in mano al vertice inaridisce la base;  la Bibbia che torna alla base mette in crisi il vertice.

La chiesa del Vaticano II è in gran parte frutto del  movimento biblico che da diversi decenni recuperava il cattolicesimo ad un qualche rapporto con le Scritture, cioè con il progetto di Dio che vuole tutti fratelli. Ed è una costante: ogni ritorno alla Bibbia muove a rinnovamenti ecclesiali.

È successo con Francesco d’Assisi del quale si esalta la fedeltà alla chiesa ma non si può tacere che ha compiuto scelte di vita che hanno fatto arrossire quelli del Palazzo ecclesiastico.

È successo a Martin Lutero che ha pagato una dolorosa lacerazione ecclesiastica partendo da spinte, magari non esenti da ambiguità storiche, ma di sicuro stampo evangelico.

Succede nelle comunità dell’America Latina che dalla e nella Bibbia traggono risvegli umani ed ecclesiali.

La Bibbia all’attenzione della gente (ed è altra cosa dalla Bibbia grazioso soprammobile nei salotti!) sveglia la base, la mette in viaggio verso l’uscita dall’Egitto ormai allergici ad ogni schiavitù e servitù.

 

b) E la vicenda della teologia è analoga: umilia la base se è soltanto servile apologia dei pronunciamenti del vertice, esegesi di regime; vivifica la base se accoglie e interpreta i mirabilia Dei, ciò che Dio non cessa di operare in uomini e donne e nelle loro vicende.

Oggi abbiamo, o riabbiamo, una teologia che scruta le tracce di Dio non nei cieli impenetrabili ma nella storia degli umani e, prima ancora, negli umani stessi. Importante la teologia della liberazione  ma più importante ancora la teologia antropologica (Si veda l’interessante articolo di Juan A. Estrada, “L’altare e il potere”, in Adista, 1997, 28, pp. 12-15).

 

VII. Base: eucaristia ossia la riprova del nove.

 

1) Eucaristia che, intanto, è ineguagliabile appuntamento proprio con la Bibbia (le Letture) e anche con la teologia (attraverso parole e anche gesti e movimenti).

Appuntamento che si ripete almeno ogni settimana e che raduna un numero di uomini e donne  impensabile in qualsiasi altra aggregazione religiosa e non.

Bibbia  e teologia per tutti in trasmissione  diretta, immediata e nella forma, quella vocale, che aiuta anche chi  non sa leggere o soffre pigrizie nei confronti della lettura. Bibbia e teologia, merita aggiungere, nei contesti ottimali, e cioè quello del pensare agendo, dell’impatto con la riflessione vissuta: la liturgia è fare insieme qualcosa ricolma di contenuti; la liturgia è ri-orientare il nostro agire.

Se Bibbia e teologia spostano la chiesa o verso il vertice o dalla parte della base nella misura in cui sono in possesso del vertice o della base, l’eucaristia è sicuramente il luogo propizio perché questo spostamento  giovi al popolo radunato piuttosto che ai palazzi  o alle accademie dei vertici.

 

2) Sono, comunque, sempre più convinto che chiesa ed eucaristia si specchino l’una nell’altra; che si veda la chiesa guardando l’eucaristia e che si indovini l’eucaristia osservando la chiesa  (Koinonia 1997/5, pp.18-20, ha riprodotto quanto ho scritto per Adista,1997/12,pp.5-7).

Chiunque può verificare. Alla messa si osservi il ruolo che vi ha il prete e se e quali ruoli hanno tutti gli altri presenti e sarà facile risalire alla composizione e alla conduzione parrocchiale: se è parrocchia di uno (o pochi) per tutti o se è una parrocchia, almeno tendenzialmente, di tutti.

E vale il percorso inverso, anche se un po’ più laborioso: dalla conoscenza della parrocchia a che tipo di celebrazione sarà capace di mettere in atto.

 

3) È sempre stato così. Questa specularità eucaristia-chiesa è una costante in tutti i secoli cristiani.

 

a) Alla chiesa assorbita nel papa, vescovi, preti è corrisposta la messa “detta” dal prete e il popolo ridotto a puro “assistente”: nel vecchio rito della messa di Pio V il termine “popolo” è totalmente ignorato; soltanto nel 1963 si comincia a parlare (ri-parlare!) di minister et populus.

Il popolo, nella messa come nella chiesa, guarda ciò che il clero fa. Anche la Bibbia e la teologia rimangono preclusi, ben nascosti nell’inaccessibile latino.

 

b) Alla diversa chiesa del Vaticano II risponde una diversa eucaristia, nelle aperture come nei limiti. Il popolo non è più soltanto giustificazione giuridica da salvare con un solo rappresentante (un inserviente...) o soltanto passiva e muta presenza. L’assemblea, il popolo, torna, almeno nei pronunciamenti, soggetto agente la celebrazione e il prete ritrova il ruolo di presidente dell’assemblea stessa (Sacrosanctum Concilium, 33). Un buon  motivo per il prete per accentuare il suo servizio pastorale e abbassare la sua propensione a tuttofare. Una bella spinta per l’assemblea a vincere pigrizie e passività e far propria la celebrazione, dandole il volto di ciò che è, qui ed ora cioè esprimendosi con formule e gesti “personalizzati” e non soltanto mutuati, eseguiti e letti su copioni mandati dalla capitale.

E va presa nota di un fatto di grandissima e irreversibile importanza: la Parola (Bibbia) e le parole (formule, commenti, ecc.) non sono più imbavagliate. La messa nella lingua parlata è un grande passo perché la messa possa essere del popolo che, qui ed ora, la sta celebrando.

 

Martino Morganti

 

*Appunti della relazione che l’amico Martino Morganti tenne nell’incontro di Koinonia del 31 maggio 1997.

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