Koinonia Ottobre 2019


Postfazione al libro “Da Ippocrate al budget”   

                                      

L’ATTENZIONE PURA

 

Un titolo forse insolito a conclusione di un  libro, scritto da un medico che ha scelto di professare la chirurgia, intenzionato a sollecitare una riflessione sulle conseguenze di uno smisurato sviluppo tecnologico estraneo alle reali esigenze primarie della vita quotidiana. Un proposito di riflessione sulla possibile costruzione di un poderoso edificio tecno-tecnocratico ed autocratico svincolato ed autonomo rispetto alla ricerca del bene comune, il cui peso crescente tende a sopravanzare la Politica, le Scienze naturali ed umanistiche, la Medicina e le Istituzioni che si trovano gradualmente sospinte ad assumere ruoli tecnici e subalterni.

Il rischio esiste ed è attribuibile al forte crescente connubio fra lo sviluppo impetuoso, a volte addirittura afinalistico, dell’apparato tecnologico e l’affermazione soverchiante di logiche economicistiche e consumistiche che, insieme e sempre più, costringono ad un processo di graduale emarginazione dell’impegno intellettuale ed allo snaturamento dell’ideale baconiano di una ricerca scientifica, negli ambiti delle Scienze naturali ed umanistiche, libera da condizionamenti di poteri pubblici e privati e non dominata da sole finalità commerciali prestabilite.

In questo quadro di radicali cambiamenti nel sistema dei valori, che tanto hanno inciso sui percorsi culturali e sociali, si sviluppano le crescenti contraddizioni del Medico, in qualsiasi specialità e posizione agisca, che risiedono principalmente nella progressiva restrizione professionale in una sorta di funzionariato subalterno, fin dall’acquisizione e dalla trasmissione del sapere, in un’attività equivalente ad un terminale di un sistema tecnico-tecnocratico-autocratico che lo esonera dall’aderire al principio fondante di “Scienza e Coscienza”.

Nessuna sorta di neo-luddismo in queste pagine. È evidente, infatti, a chiunque voglia soffermarsi sui secoli ed i millenni trascorsi, che la tecnologia è nata e si è sviluppata dall’intelligenza dell’essere umano e che mai si è collocata all’esterno della sua storia, nel bene e nel male, ed anzi sempre è rimasta, per necessità ed opportunità, la propria stessa essenza a causa della sua debole intrinseca dotazione strutturale ed istintuale, inadeguata all’elevato grado di intelligenza e coscienza di sé stesso rispetto alla crudezza dell’ambiente in cui vivere e all’inevitabile relazione conflittuale con le altre forme di vita con le quali necessariamente è dovuto entrare in stretto contatto.

La tecnologia ha pertanto condizionato ogni momento dell’essere umano, ne ha marchiato l’identità, perfino forgiandola sul piano culturale ed antropologico fino a emendarne la soggettività primitiva. In ragione di quanto constatato si può addirittura ritenere che in assenza delle millenarie infinite invenzioni e realizzazioni tecnico-tecnologiche, a partire da quelle che oggi potrebbero apparire fin troppo elementari ma che furono determinanti per lo sviluppo ed il progresso compiuti, l’Umanità intera non avrebbe potuto neppure sopravvivere, svilupparsi e progredire fino ai nostri giorni, non senza contraddizioni.

Il problema che qui si pone è in sostanza sollecitato dall’attuale sviluppo tumultuoso e, per certi versi, quasi casuale ed anarcoide della tecnologia e dei suoi imponenti apparati ed il rapporto inedito e subalterno che si va ponendo con la persona e l’organizzazione sociale nel suo complesso. È comprensibile, pertanto, che la loro inaudita espansione e  capacità di penetrare in ogni piega della società déstino alcune preoccupazioni qui riassunte:

         in primo luogo, un rischio consiste nel produrre una profonda alterazione del rapporto quantità-qualità, nel senso che la tecnologia, di principio intesa come mezzo posto al servizio della persona, possa gradualmente divenire una finalità per sé stessa e per giunta dominante o addirittura controproducente, come qualvolta accade, ad esempio, per il denaro che da mezzo di scambio viene a trovarsi trasformato in  bene supremo;

         in secondo luogo, l’intera realtà materiale ed ideale che ci circonda, compresi il pensiero, le istanze di giustizia ed in genere le qualità non direttamente e materialmente percepibili, potrebbe essere considerata del tutto misurabile e valutabile con un semplicistico algoritmo e con procedure strumentali elette a criterio unico di giudizio nella ricerca di un orientamento, di una verità;

         in terzo luogo, la Politica, le Scienze naturali ed umanistiche, la Medicina, le Arti, nel loro più alto significato culturale e civile, rischiano di trovarsi ridotte al rango di una  amministrazione tecnico-tecnocratica-autarchica, ad essa medesima subordinate: in definitiva, entità amorfe incaricate di un routinario esercizio di tecnicalità contabile e rendicontabile;

         in quarto luogo, a fronte di un’Etica e di una Deontologia scarsamente definibili ed incisive per i loro caratteri nel tempo divenuti sfumati, in parte per il ridursi del principio di autorità ed in parte per l’allontanarsi di riferimenti unici tradizionali e per l’inevitabile multiculturalismo diffuso nelle società contemporanee, potrebbero condurre a depotenziare la consapevolezza di intere popolazioni su utilizzazioni tecnologiche in campi particolarmente sensibili quali, ad esempio, la ristrutturazione dei patrimoni genetici, la risoluzione armata delle controversie internazionali, gli approvvigionamenti di energia che possano comportare rischi incalcolabili, la creazione di organismi geneticamente modificati, di cibo ed acqua sintetici, la produzione di sostanze dannose all’ambiente e alla salute, introduzioni di stili di vita pericolosi, incursioni non giustificate nella vita privata, ecc…

         in quinto luogo, l’affievolimento di previsioni e riferimenti rassicuranti per il futuro prossimo può indurre molte persone a difendere senza condizione l’esistente ed a guardare insistentemente al passato, non tanto remoto e in una certa dose fuorviante di nostalgia, rapite dal desiderio di volere compensare le assenze percepite con la ricerca ed il consolidamento di quei vincoli pregressi costruiti e condivisi in epoche lontane, in contesti storici ormai superati dalla contemporaneità.

Va sorgendo ed amplificandosi nell’opinione pubblica, di conseguenza, una diffusa interpretazione pessimistica della realtà futura che tende ad oscillare fra fuorvianti moralismi conservatori ed ingiustificate ostilità verso le tante diversità culturali ed antropomorfiche esistenti nel genere umano, da sempre ricco del suo innato desiderio di conoscenza ancor oggi ben rappresentato dai miti della classicità e da tante vicende storiche esemplari che hanno assunto un valore universale: Prometeo in contrasto con Zeus sul fuoco, Dedalo ed Arianna alle prese con il loro gomitolo di lana, Icaro con le ali di cera, Adamo ed Eva decisi a proseguire nel loro cammino di ribellione davanti all’albero carico di mele, Davide contrapposto a Golia, i sacrifici di Giordano Bruno, di Thomas Moore, di Giacomo Matteotti, la resistenza dei ragazzi della Rosa Bianca, di Dietrich Bonhoeffer, le pericolose provocazioni avanzate da Erasmo da Rotterdam, da Galileo Galilei, da Mahtma Gandhi, da Martin Luther King, da Nelson Mandela e dall’impegno esistenziale di tanti uomini e donne che nella solitudine e con l’impegno delle proprie coscienze hanno perennemente cercato la libertà e la verità nonostante le prevedibili tribolazioni patite, fino alla morte.

Dopotutto, il fuoco, la tecnica, la conoscenza, il libero arbitrio e la facoltà di autodeterminarsi, sono divenute conquiste essenziali e capisaldi della vita quotidiana a disposizione di ogni essere umano libero e consapevole del suo stato d’essere, nonostante l’Umanità abbia dovuto continuare a sperimentare la distanza dal paradiso terrestre e subìto angherie, violenze, sconfitte e tragedie per mantenere alta la propria dignità di uomini e donne.

Ancor più oggi, rispetto al passato ed in piena modernità, all’Umanità intera spetta la decisione sulle modalità e le forme dello sviluppo da adottare, sull’equilibrio da conferire al binomio progresso-sviluppo e sull’uso degli innumerevoli strumenti conquistati a duro prezzo, che, in apparenza colorati di una tinta neutra, nella realtà sono in grado di servire sia il bene comune come il male assoluto. 

Da questa osservazione discende l’auspicata unificazione delle Scienze naturali ed umanistiche in un unico indiscriminato e condiviso sistema culturale, superando l’artificiosa secolare divaricazione. Questa via faciliterebbe l’approdo ad una personale e collettiva coscienza critica più consapevole dei propri diritti e dei propri doveri fondamentali, la riscoperta di uno spazio interiore da rivolgere a tutti, il desiderio di partecipare ad Istituzioni e aggregazioni civili in ogni angolo della Società trasformando il senso del dovere contrattuale in un perenne spontaneo impegno etico e deontologico come disposizione d’animo al bene comune: vocazione, compassione, solidarietà, universalismo. È quanto auspicato da Simone Weil con l’espressione “L’attenzione pura” nei suoi “Quaderni” (a cura di Giancarlo Gaeta, Biblioteca Adelphi 1993), scritti in un periodo catastrofico per l’Europa e per il Mondo intero.

 

Francesco Domenico Capizzi 

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