Koinonia Ottobre 2019


RICORDANDO SORELLA MARIA:

spingersi al largo (II)

 

La visione cosmoteandrica, che è insieme fede e sapienza dell’abitare umano che reintegra le dimensioni del divino, dell’umano e del cosmico in una prospettiva unitaria. È ovvio che questa visione è tributaria della cosmologia francescana, ma Sorella Maria vi porta una nota di originalità, un sapore nuovo che la rende percepibile all’uomo moderno ed anche il segno di una femminilità raffinata e di una spiccata vocazione materna. Nella vita dell’Eremo si realizza una contemporaneità e una presenza costante ed efficace degli amici assenti, dei morti, degli animali, delle piante che tende ad annullare il tempo e lo spazio, o meglio a farli convergere nel “facere”, nel pregare, nell’accogliere, nell’ascoltare quotidiano. In una circolare agli amici del 5 agosto 1940 Sorella Maria trasmette loro il saluto di ogni creatura dell’Eremo:

Delle colombe che sono (...) un costante richiamo alla pura semplicità e alla pace, (...) le rondini (...) riunite sull’albero della preghiera, (...) gli alberi. Prima l’albero della preghiera, la vecchia quercia, poi «l’albero del silenzio che dà il frutto della pace» (un faggio), i pini, i cipressi, i lecci, gli aceri. Questi fratelli della comunità sono tutti cresciuti: è una gioia, una benedizione. (...) Vi saluta l’albero più sacro e più tormentato, quello che dà la pace, l’olivo. (...) Vi saluta il ginepro, quello più vicino al cancello che dice: «vi è una meravigliosa provvidenza nelle spine». E vi salutano i fiori azzurri di cicoria sul prato della chiesina (...). E Dio ci aiuti in questo sforzo perenne del tenere in vita con la fede e la tenerezza tutto ciò che amiamo, sulla terra e oltre la terra.

Si può sottolineare altresì l’idea e la pratica della compresenza che rende l’Eremo davvero una «famiglia sconfinante», ricca di amici di ogni tempo e densa di relazioni. Per l’Avvento del 1940 la Minore sottolinea come «il vivere insieme, tenendo presenti gli assenti, indefettibilmente, è olio e rugiada». Lo sentiamo, aggiunge Sorella Maria, quando alla fine della giornata laboriosa, «siamo riunite al lucernarium, alla cena, alla veglia ... e a veglia ascoltiamo lettere e tratti di lettere dei nostri Cari, e ne riceviamo viatico». È parte della vita delle sorelle questa attenzione ad ogni aspetto minuto dell’esistenza dei propri amici, le loro condizioni di salute, le difficoltà come le gioie da condividere. La corrispondenza viene curata senza risparmio e defezione dalla Minore stessa, fino all’esaurimento delle proprie forze.

Anche i morti sono a Campello una presenza reale, dentro la comunione dei santi. Il 28 ottobre 1938 Sorella Maria scrive:

Fra noi è così intensa la vita silenziosa e di ricordi. Al tramonto alcune di noi, Jacopa, Rosa, Agnese, Miriam, Paola, Gigliola, Caterina e io minore salmeggiavamo insieme il Vespero dei Defunti, in latino, dinanzi alla finestra e alla meraviglia del cielo. Poi quando scendeva il crepuscolo eravamo tutte presenti nella stanza della comunione. Sulla tavola la tovaglia tessuta da noi, con il ricamo: «riposate in pace», e il pane, la brocca dell’acqua, il ramo d’olivo e la lucerna accesa. Il fuoco nel camino. Lumini a terra, in tutte le parti della stanza splendevano come piccole gemme (...) perché i nostri trapassati vengano nella notte a ristorarsi, ricordando il pane preso insieme e il fuoco che ci ha riscaldate.

In questo sentimento largo della vita, del mistero e della comunione, non vi è nulla di retorico e di estenuato ma una sorta di sesto senso spirituale che coglie, proprio nella essenzialità, la complessa armonia dell’universo, il suo non essere nato e destinato ad una casualità nichilistica ma il suo essere segnato da una impronta che chiama a pienezza tutte le cose. Anche se la pienezza non espunge la sofferenza, le tensioni, gli attriti presenti nel mondo e che, arriverà a dire Sorella Maria, lasceranno il proprio segno, sia pur pacificato e sanato per l’eternità: «sempre vedremo la luce e sentiremo l’ombra della croce, nella vita terrena ed oltre».

A questa visione, ad un tempo infinita e quotidiana della realtà, e a questa comunione delle cose sante non può che fare da riscontro la celebrazione, il ringraziamento, la filocalia (e cioè l’amore del bello), perché «chi ama la vita e la considera sacra la sente sacra in ogni essere».

2) Un cuore liturgico coglie nell’universo i segni che rimandano a Dio.

È utile ricordare alcuni dei tanti riti e simboli inventati o rinnovati dalla Minore nella comunità dell’Eremo. Taluni legati alla ferialità più ordinaria, si pensi al fatto che «alcune sorelle hanno la consuetudine di fare il pane, simbolo dell’agape, in silenziosa preghiera, dopo aver chiesto perdono per essere meno indegne di questa faccenda sacra» o alla presenza dell’altare nel refettorio dove, davanti a una croce, vi è soltanto il pane, l’anfora del vino e ad un lato il Vangelo. Dall’altro lato l’acqua santa e un ramo d’ulivo. Il pane preso dalla mensa-altare viene posto a tavola. C’è, in questi segni, una continuità tra rito e vita concreta, tra sacro e profano nella direzione della santità, in cui tutto è redento. «Dovunque è il senso religioso, scrive Sorella Maria, il sacro si crea. (...) io che amo resuscitare le antichità pagane o cristiane, ho resuscitato anche questa parola: lucernarium», momento della preghiera al calare del giorno, nel quale spesso si commemorano «con riverenza tenera e pensosa» i defunti: «il 18 dicembre la nostra diletta Sorella Shanti indiana e dottoressa, il 19 la povera Arnolfina della posta di Trevi, così gentile con noi, (...) e anche Lupa ricorderemo con fedeltà e gratitudine, e il 29 febbraio il Mahatma Gandhi, il 12 marzo don Orione cui sia venerazione e pace, nel maggio un’adorabile creaturina di due anni».

Un altro aspetto che si può notare nella ritualità di Campello sono i piccoli pellegrinaggi. In un appunto conservato nell’archivio dell’Eremo si illustra quello avvenuto il 15 agosto del 1960 con le soste processionali delle sorelle al luogo dell’Ancilla Domini, alla Madonna che veglia sul Nido e sulla Torre, a quella che veglia sul chiostro, all’Addolorata, alla Madre delle allodole, alla Divina Pastora, alla Madre del Pane. Sono piccoli segni di ringraziamento alla multiforme presenza di Maria nella vita spirituale dell’Eremo come in quella di ogni cristiano. Certo, sulla sacralità della vita celebrata ogni giorno si proietta la luce della Domenica. I cristiani sono fondati sulla domenica. «La Domenica, la Risurrezione! Era tale la fede nella venuta del Signore che i suoi primi quando si riunivano l’aspettavano». Presenza e attesa sono i due capi del filo d’oro della fede cristiana. Avere la certezza che nella koinonia, dove «due o tre» sono riuniti nel suo nome, il Signore è presente (quando siamo riunite è tra noi, lo ha detto Lui) e invocazione che venga il suo regno, sono i due capi ai quali è ancorata la liturgia e, senza dubbio, quella della Minore: rendimento di grazie a Cristo che «ha portato il nostro peso» e «desiderio ardente di giungere alla sua presenza e alla chiara visione di lui». In Sorella Maria non c’è separazione tra rivelazione che ci si presenta nel libro della natura e in quella che ci proviene dalla Scrittura. Non vi è dubbio che ella rappresenta, nel suo tempo, un esempio raro, soprattutto nella religiosità femminile.

 

Mariano Borgognoni

(2. continua)

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