Koinonia Febbraio 2019


Algeria, due martiri dell’amicizia*

PIERRE E MOHAMED

 

Adrien Candiard ha reso sotto forma drammatica la storia di Pierre e Mohamed, un vescovo cattolico e un giovane musulmano. Qualcuno potrebbe pensare che è stato un errore: l’autore avrebbe dovuto attenersi a quanto è noto e non ricorrere all’immaginazione. Ma la nostra fede cristiana ci porta dentro un grande dramma, quello di Gesù, che ci chiede di seguirlo: si tratta di una storia di sofferenza, morte e risurrezione. La storia che avete tra le mani, che abbraccia due persone di fedi religiose diverse, ha bisogno di essere raccontata in maniera drammatica e attraverso l’immaginazione.

Ho incontrato per la prima volta il mio confratello a Roma, Ogni volta che veniva nella Città Eterna per incontrare il papa o per riunioni in Vaticano, alloggiava sempre nella nostra casa generalizia domenicana a Santa Sabina. E quando ci raccontava della sua vita in Algeria e come egli pensava sé stesso in quanto «ospite nella casa dell’islam», accendeva la mia immaginazione. Vorrei condividere con voi quanto la storia di quest’uomo mi ha toccato. Il mio ricordo di Pierre è uno delle migliaia di ricordi. Spero che grazie al presente testo di fra Adrien questa storia tocchi milioni di persone.

Quando i monaci di Tibhirine vennero uccisi, andai a visitare i nostri fratelli domenicani in Algeria con Jean-Jacques Pérennès, domenicano che a quel tempo era del Consiglio generale dell’Ordine e che a quel tempo era vissuto per molti anni in Algeria: un grande amico di Pierre Claverie. Il nostro scopo era assicurare ai nostri confratelli che li avremmo appoggiati, qualunque decisione avessero preso: lasciare l’Algeria oppure restarvi. Noi ci rallegrammo del fatto che decisero di restare, proprio come avevano fatto i monaci che erano stati martirizzati.

Pierre sapeva che i terroristi avevano istituito posti di blocco per catturarlo. E, per questo motivo, ogni giorno telefonava per chiedere quali zone fossero meno pericolose per le sue visite. Mentre un giorno Jean-Jacques e io stavamo viaggiando con lui, egli condivise con noi le sue preoccupazioni per la sicurezza di ogni persona della sua diocesi, così come di ogni algerino. La chiesa cattolica in Algeria aveva aperto biblioteche dove i giovani potevano studiare. Lo studio rappresenta di per sé il rifiuto della violenza, dal momento che esso apre la nostra mente a coloro che pensano in maniera diversa da noi. In quei mesi erano stati uccisi due religiosi - suor Paul-Hélène Saint-Raymond e fratel Henri Vergès - responsabili di una biblioteca ad Algeri. Pierre condivise con noi la sua preoccupazione: in che modo sarebbe stato possibile trovare un’altra persona per assumere quel pericoloso incarico? Dal sedile posteriore della nostra auto si levò la voce di un anziano domenicano, Jean-Pierre Voreux: «Manda me. Io sono vecchio e posso far fronte al pericolo». Era una persona libera, qualunque cosa accadesse.

Poche settimane dopo, il 2 agosto, ero nel mio ufficio a preparare le mie cose per prendere un volo per Madrid con Jean-Jacques: eravamo attesi per il lancio del Movimento internazionale domenicano giovanile. Proprio in quel momento ricevetti una telefonata: mi comunicavano che Pierre era stato assassinato la sera precedente. Jean-Jacques ed io partimmo per l’incontro fissato nel Nord della Spagna, ma sapevamo che solo uno di noi avrebbe potuto essere presente al funerale di Pierre, proprio a causa dell’impegno con i giovani. Sebbene Jean-Jacques fosse stato  per molti anni un amico molto vicino a Pierre, comprese che, in qualità di generale dell’Ordine, avrei dovuto essere presente a nome dell’intero nostro Ordine religioso. Da parte sua fu un sacrificio generoso.

Quando arrivai a Orario per i funerali, per prima cosa visitai il posto dove Pierre e Mohamed erano stati uccisi tre giorni prima. Tutta una parte della casa era stata distrutta dalla bomba, posizionata esattamente per uccidere Pierre. C’era ancora all’opera una suora che, con un cucchiaio in mano, stava raccogliendo i resti dei corpi delle due vittime. Alle esequie la cattedrale era strapiena: erano in gran parte musulmani amici dei due defunti. Alla fine del funerale, ad alcuni venne chiesto di dare una testimonianza su Pierre. Una donna musulmana si alzò e disse che era diventata atea, ma che Pierre l’aveva ricondotta alla sua fede musulmana. Soggiunse: «Era anche il mio vescovo». In quel momento la cattedrale si riempì di un forte mormorio, in lingua araba. Chiesi a chi mi era vicino cosa stessero dicendo. «Pierre era anche il vescovo dei musulmani», fu la risposta.

Pierre venne sepolto con una stola sulla quale era scritto in arabo: «Dio è amore», un amore che egli offrì a tanti amici musulmani, per esempio il giovane Mohamed, e che in tanti diedero a lui.

Quando, un paio di anni fa, ho visitato la tomba di Pierre, era coperta di fiori, deposti da criistiani e da musulmani. Quella tomba è diventata un luogo di pellegrinaggio per entrambe le religioni. È come un giardino nel deserto, che promette una nuova vita. Questo è il dramma del nostro tempo, un tempo in cui siamo minacciati da così tanta violenza e odio, spesso tra religioni diverse. E questo dramma ha bisogno di essere raccontato con l’ immaginazione, proprio come è stato fatto in  queste pagine da fra Adrien.

 

Timothy Radcliffe op

 

*È la prefazione  di Timothy Radcliffe al libro di Adrien Candiard Pierre e Mohamed. Algeria, due martiri dell’amicizia, EMI 2018. La riportiamo volentieri come testimonianza dal vivo, ma anche per come ci presenta Jean-Jacques Pérennès.

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