Koinonia Gennaio 2019


Ricordando Amos Oz per il “Giorno della memoria”

 

D’un tratto nel folto del bosco (*)

 

Il libro di Amos Oz, pubblicato da Feltrinelli con l’eccellente traduzione di Elena Loewenthal, non è altro che una favola allegorica con finalità pedagogiche. È una favola per adulti che può essere apprezzata e capita anche dai bambini, godibilissima, scritta magistralmente con un linguaggio metaforico ed apportatrice di un messaggio, anzi di un ammonimento per gli uomini che hanno dimenticato i sentimenti più nobili come l’amore, la compassione, l’amicizia, la comprensione, la generosità e si sono chiusi in un mondo egoista, selvaggio, spietato. Agendo così hanno commesso un grave peccato e Dio li ha puniti privandoli degli animali e condannandoli a vivere un’esistenza cupa, insicura e carica di minacce.

Il villaggio di cui parla l’autore non ha nome né collocazione geografica ben individuabile, è solo un agglomerato di case situato ai margini di un bosco e circondato da alte montagne. I suoi abitanti sono tristi e malinconici perché una notte tutti gli animali se ne sono andati, spariti senza lasciare traccia alcuna e dunque il cielo sopra di loro è vuoto e muto, nell’acqua del torrente non guizzano i pesci né si ode più da tempo il gracidio delle rane. Anche il bosco non dà segno di vita animale e così il suo aspetto è tetro e l’atmosfera greve, si ode solo lo stormire sommesso delle foglie. Nei cortili delle case non zampettano indaffarate le galline, nelle stalle non ruminano le mucche, nei prati nessuna pecora bruca l’erba fresca e verde. Perfino i cani ed i gatti così affezionati a casa e padrone sono scomparsi. Sembra che un incantesimo abbia imprigionato il villaggio. Gli adulti non amano parlare di ciò che è accaduto ed ai figli che chiedono spiegazione rispondono evasivamente.

I bambini conoscono gli animali solamente dai disegni della maestra, ma sono semplici figure senza vita e senza voce. Tutto il paese vive come sospeso nel terrore. Guai ad attardarsi fuori dopo l’imbrunire! Guai ad inoltrarsi nel bosco! Ed i piccoli hanno logicamente paura del buio, temono la notte, le tenebre perché gli adulti invece di rassicurarli trasmettono loro i propri timori e così al calar delle tenebre tutti si rifugiano nelle case sprangando porte e finestre.

Ma perché tanto terrore? E soprattutto di chi o di che cosa? Si sussurra che durante la notte esca dal bosco uno spirito demoniaco di nome Nehi, il quale si aggira silenzioso ed avvolto in un mantello nero per le vie del villaggio soffermandosi presso le case a spiare attraverso le finestre ben chiuse. È lui che gli animali, molti anni prima, hanno seguito per non fare più ritorno ed è lui che i bambini hanno imparato a temere.

Ma tutti i fanciulli di questo luogo sono così tremebondi e anche così docili da accettare passivamente le spiegazioni strane e confuse degli adulti? Oh no! Maya e Mati sono amici e compagni di scuola, durante il giorno giocano e trascorrono insieme il tempo libero. La bambina è intraprendente, volitiva e curiosa, vorrebbe indagare sul mistero che avvolge il villaggio, non è soddisfatta delle spiegazioni ricevute, non le trova convincenti. Mati invece è fragile, incerto, timoroso, ma molto affezionato alla piccola amica e così cede facilmente accettando di buon grado le sue decisioni ed assecondandola nelle sue imprese.

Un giorno, durante una gita esplorativa al torrente, i due ragazzi scorgono un pesciolino dalle squame argentate che guizza veloce nel fondo. Ma è mai possibile? La vitalità, l’armonia di movimenti, l’occhio rotondo e lo sguardo un po’ stupito del piccolo animale suscitano nei due amici meraviglia e curiosità, al tempo stesso tale scoperta accende la loro fantasia e suscita il forte desiderio di saperne di più perché hanno anche percepito in lontananza, oltre la cupa cortina degli alberi, dei suoni simili a latrati. Maya è decisa a scoprire cosa si cela nel folto del bosco. E se ritrovassero gli animali scomparsi? E se si imbattessero nell’orribile mostro che tutti temono? Mati esita, non è tanto coraggioso da affrontare l’ignoto, Maya invece vuole partire in esplorazione.

Così, dopo alcuni giorni di attesa e di dubbi, i due ragazzi si mettono in marcia dirigendosi verso il bosco, ne seguono il limitare e poi, fra mille timori, cominciano ad inoltrarsi nella macchia piena di ombre minacciose. Spesso sono tentati di tornare indietro, ma poi proseguono il cammino. Il viaggio di Mati e Maya attraverso il bosco non è altro che un viaggio iniziatico per ascendere al Bene. Lungo la via incontreranno Nimi, il bambino che, disprezzato da tutto il villaggio per la sua deformità e diversità, se n’è andato come hanno fatto gli animali ed ora vive felice e sereno cibandosi dei frutti della terra, il dileggio dei suoi simili non lo ferisce più. I ragazzi, dopo aver goduto della sua cordiale ospitalità, riprenderanno il cammino irto di difficoltà e di ostacoli, ma anche di ripensamenti ed esitazioni specialmente da parte di Mati che si rivela un po’ codardo. Alla fine giungono ai piedi di un alto muro oltre il quale odono strani rumori, Maya più intrepida del compagno non esita a varcarlo. Nello spazio che le si apre davanti agli occhi scoprirà gli animali, ma anche colui che gli abitanti del villaggio considerano un demone pericoloso cioè Nehi. In realtà è un bel vecchio dai capelli bianchi e fluenti e dallo sguardo dolce ed al tempo stesso penetrante il quale accoglie paternamente i due nuovi arrivati.

Ecco, finalmente il mistero si disvela davanti agli occhi innocenti dei due fanciulli. Questo luogo appartato e segreto raccoglie come in un’arca ogni tipo di animale, tutti quanti convivono pacificamente, la tigre gioca con i capretti, il lupo bada alle pecore. È un luogo di concordia e di pace, il vecchio saggio capisce il linguaggio degli animali e può dunque comunicare con ciascuno di loro. Il recinto scoperto da Maya e Mati non è altro che l’Eden, il Paradiso Terrestre che l’uomo ha  perduto per la sua disubbidienza e Nehi è Dio che ha punito il genere umano a causa del suo cuore indurito dal peccato. Tuttavia Egli continua ad amare le sue creature ed allora, quando cala la notte, scende a valle e si aggira fra le case del villaggio perché soffre a vivere lontano da loro. Non c’è alcun demone che vaga nella notte, è una creazione partorita dalla fantasia degli uomini i quali non sono in pace con la propria coscienza, ma Dio spera nel loro ravvedimento e nel ritorno al Bene. Affiderà ai due fanciulli dal cuore puro il compito di raccontare agli abitanti del villaggio ciò che hanno visto e di esortarli a non praticare più ciò che è male ai suoi occhi, solo quando essi apriranno il proprio cuore all’amore e al rispetto dell’altro Egli potrà riconciliarsi con loro e rimanderà indietro gli animali, così la vita tornerà a sorridere.

 

Il 27 gennaio è la giornata dedicata al ricordo della persecuzione degli Ebrei da parte del regime nazista, giorno di ricordo in memoria di uomini, donne, bambini scomparsi nei campi di sterminio, camere a gas, forni crematori, torture e sevizie atroci, esperimenti fatti sugli emaciati corpicini dei piccoli innocenti e fame, freddo, paura senza fine.

Terminato il conflitto, cioè la Seconda Guerra Mondiale, i vincitori che non avevano fatto niente per fermare quell’orrore e sentendosi colpevoli per la loro indifferenza e silenziosa connivenza decisero di affidare ai sopravvissuti una porzione del terreno palestinese affinché gli ebrei potessero fruire di uno stato loro e così, malgrado la contrarietà delle popolazioni arabe nacque lo stato di Israele, affluì da ogni parte della terra, ma soprattutto da una vasta area dell’Europa, la diaspora ebraica.

Questa gente si rivelò ben presto capace di costruire una nazione e di emergere in tutto ciò che intraprendeva, anche nell’arte e nella letteratura. Si andò formando una classe elitaria costituita da scienziati, pensatori, artisti e musicisti. Proprio in questi giorni è mancato Amos Oz, uno dei più celebri scrittori israeliani. Era nato a Gerusalemme nel 1939, la sua famiglia proveniva dall’Europa orientale, aveva partecipato alle guerre arabo-israeliane del 1967 e del 1973. Scrittore fecondo, le sue opere sono state tradotte in ventotto lingue ottenendo moltissimi premi internazionali. Sposato con due figlie e un figlio, viveva ad Arad in Israele con tutta la sua famiglia. Aveva insegnato letteratura all’Università Ben Gurion del Negev. Si era sempre fortemente impegnato per la realizzazione di una convivenza civile tra Israele e la Palestina. Scrittore di numerosi romanzi, saggi e libri per bambini, Amos Oz era un uomo gentile che aveva affrontato fatti e avvenimenti dolorosi sempre con grande delicatezza desideroso di non entrare in contrasto con i suoi lettori e interlocutori. E’ come se si fosse portato dentro di se la tragedia del suo popolo, ma senza rancore anzi, forse con una nota di tristezza, ma le sue opere rivelano sempre una grande levità di sentimenti.

Durante un’intervista all’allievo e scrittore Eshkol Nevo così si esprime: «Nella mia vita ho ottenuto più di quanto sperassi. Ci sono persone che alla mia età sono amareggiate, si comportano come se stessero per essere cacciate fuori da una festa in pieno svolgimento. Io provo gratitudine. Sono grato per un bel libro. Pe una buona conversazione. Per i miei figli e nipoti, per le amicizie. Trascorro molto tempo con i morti, ripenso alle persone che ho conosciuto e amato nel corso della vita…mi mancano. Vivo come se fossi gravido. Con i morti nella pancia. Di tanto in tanto converso con loro. Pongo domande e ricevo risposte». Non ci sono commenti da fare a queste parole.

 

Sara Rivedi Pasqui

 

(*) Amos Oz, D’un tratto nel folto del bosco, Feltrinelli 2005

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