Koinonia Gennaio 2019


IL BIVIO DELLA CHIESA

 

Nella crisi delle democrazie europee la chiesa cattolica costituisce un bersaglio politico di primaria importanza. Non il Papa: la chiesa. Essa infatti è l’unico soggetto globale che può prendere e dare voce nel riassetto epocale dei grandi imperi; ed è l’unica istanza che davanti al disegno di Russia e America di decostruzione dell’Europa ha qualcosa di decisivo: gli può fornire il carburante per un identitarismo reazionario nazionalista o può fermarlo ponendo come ostacolo il sensus fidei.

Per il ruolo che esercita nella chiesa universale la chiesa italiana è un luogo decisivo di questo confronto globale. Nonostante sia piccina, usata come robivecchi di amuleti religiosi, schiacciata da narcisismi incurabili, essa è l’unica realtà capace di ascoltare tutto il Paese, di parlare a tutto il paese. Parla, la chiesa italiana, a fedeli che votano in modo opposto, come è sempre stato; ma che costituiscono il tessuto unitario del Paese. Questa chiesa, la chiesa italiana, è oggi ad un bivio decisivo per lei, per il contesto europeo e per quello globale.

La chiesa può giocare il suo peso “politicamente”, sostenendo in modo diretto e indiretto tentativi di cui si vedono già i contorni. Si evocano parole d’ordine suggestive (come la sociologica della generatività) da monetizzare politicamente più avanti. Si affacciano partitini di nuovo conio (come

“democrazia solidale” di Mario Giro). Si fanno prove di federalismo associativo (si pensi al convegno sull’Europa di Azione Cattolica, Acli, Sant’Egidio, a cui mancavano però Gesuiti, Cl, Focolari e Opus Dei). E presto verrà il momento delle liste: dove tutti questi sforzi finiranno per fornire cattolici da mettere in vetrina, promettendo pochissimo, anche solo la nomina a sottosegretario alle opere buone. A conferma del pregiudizio che pensa che per i cristiani la politica sia il luogo dove alzare le proprie bandiere ecclesiali, scatenando competizioni interne che sono già costate il papato all’Italia.

L’alternativa per la chiesa italiana è talmente impolitica da essere più politica dell’altra. Cioè far giocare la comunione effettiva della comunità cattolica in un Paese in cui è tutto lacerato. Sono lacerati i partiti (si pensi all’esilio interno di Maroni, Zaia o Calderoli nella Lega, alle interminabili tensioni a cui il Pd si condanna con uno Statuto nato vecchio, alla solitudine di chi in Forza Italia non invoca l’annessione salviniana, agli scricchiolii delle aree Cinquestelle). Ma soprattutto è lacerata una società ingozzata di odio low cost, esposta al rischio che quelle minacce all’ordine pubblico che sono da sempre l’agenda delle destre occulte della nostra storia si riaffaccino, improvvise, puntuali. In questo quadro quel che la chiesa può mettere in gioco di infungibile è la sua capacità sinodale di ascoltare e di parlare, di farsi interrogare dalla storia profonda in questo mutamento di epoca in cui essa ha una responsabilità globale dalla quale non è esonerata solo perché il Papa è argentino.

Al Papa, infatti, non si può chiedere di più. Francesco aveva dato direttive precise a Firenze nel 2015, in un discorso che è stato ignorato, sbriciolato in un “sussidio”, e poi sepolto. Per aiutare i vescovi ha dato loro la guida mite del cardinal Bassetti. Ha avvicendato monsignor Galantino con monsignor Stefano Russo, a cui il brontolio episcopale non potrà rimproverare più niente. Ma più di questo non può fare. Adesso tocca alle chiese, ai vescovi. Possono promuovere libri e libroidi spirituali, fare battute ai giornali, farsi usare nel gioco contro l’Europa senza chiedersi dov’è la linea che separa le istituzioni democratiche dalle politiche (per recuperare potrebbero chiedere una lezione a Sergio Mattarella). Oppure possono far emergere ora, con penitente sobrietà un profilo del Paese i cui contorni non stanno sui social, ma nella società.

 

Alberto Melloni

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