Koinonia Gennaio 2019


La parola  a Daniele Garota

 

FIGURE DEL TEMPO ULTIMO

 

Il nostro moderno correre e affannarci, con l’intento di raggiungere prima che si può ciò che di volta in volta desideriamo, ha a che fare, più di quanto immaginiamo, col cuore della fede e della speranza cristiana: l’attesa di essere salvati da Dio.

È questo è accaduto perché non riuscendo più ad attendere quello che Dio ci ha promesso, abbiamo finito per cercarcelo da soli con quanto sta alla nostra portata. Dunque la salvezza cristiana è diventata per noi qualcosa di solamente umano, “troppo umano” direbbe Nietzsche: d’altra parte il suo “folle uomo” è proprio percependo la morte di Dio all’interno dell’agitarsi di un mercato che è riuscito a cogliere ben oltre cent’anni fa la tragedia dello smarrimento di una umanità senza più Dio.

Ma cos’è davvero quella salvezza in cui non riusciamo più a credere? La risurrezione dei morti, “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2Pt 3,13), tutte cose che solo Dio può realizzare con la sua potenza e che noi possiamo solo attendere.

È una meta altissima, incredibile e folle, certo, per questo i filosofi di Atene risero in faccia a san Paolo duemila anni fa quando gliela proponeva. E dobbiamo pure stare attenti, perché se diciamo con troppa sicurezza di credere queste cose ci immettiamo in un sentiero pericoloso, quello di chi le dà per scontate proprio mentre dovrebbe invece percepirle in tutto il loro scandalo e la loro follia per riuscire a comprenderle davvero. In ogni credente consapevole e pensoso dovrebbe ogni volta uscire dalle labbra questa invocazione che il “padre del fanciullo” malato rivolse a Gesù “ad alta voce: ‘Credo; aiuta la mia incredulità!’” (Mc 9,24). Per questo chi oggi è chiamato a rendere ragione della propria fede cristiana senza prima avere letto una riga di credenti come Pascal, Kierkegaard e Dostoevskji, rischia di cadere nel banale: la fede ha a che fare con la follia di un Dio crocifisso non con le smancerie di una devozione vissuta alla buona.

E tuttavia essendo pensosi e attenti ci renderemmo conto che pur non credendo più in Dio continuiamo però a cercare, a realizzare, tramite scienza e tecnica, quel che in qualche modo Dio ci aveva promesso. Ma non è anche questa una fede e non nasce da aspettative simili a quella cristiana sebbene stravolte? Una fede che ha finito anch’essa per invadere il mondo, seducendo e con molta fretta l’umanità intera? D’altra parte chi può rinunciare, potendolo avere incessantemente in mano e a costo zero, allo schermino con immagini, suoni e rispostine velocissime, a buon mercato e per tutti? E chi non ce la metterà tutta pur di essere dove noi siamo per avere quel che noi abbiamo? Diciamocelo chiaro: più che la fuga da guerra e fame è la seduzione di queste potenze a spingere la gran massa dei giovani africani sui gommoni pronti persino ad affogare pur di avere anche una minima parte di quel che noi già possediamo.

E sono potenze di seduzione che quotidianamente influiscono su tutti noi, al punto che difficilmente potremmo farne a meno, tanto ci hanno preso, ammettiamolo. Ma quanti riescono a vedere dietro a tali potenze il messaggio cristiano di duemila anni fa, sia pure del tutto stravolto, un messaggio che già allora di queste potenze parlava mettendoci in guardia?

Tutto il Nuovo Testamento ci parla di figure e situazioni dietro le quali noi sentiamo agire potenze seducenti e anticristiche. Figure delle quali già i Padri della Chiesa, subito dopo Paolo e Giovanni, avevano in qualche modo parlato, e che a ritirarle in ballo e con un certo vigore sono stati in particolare alcuni grandi testimoni della modernità, tra essi Léon Bloy in Francia, Dostoevskji, Solov’ëv e Berdjaev in Russia. E per venire più a noi, dopo le grandi tragedie del Novecento, teologi come Kitamori e Moltmann, pensatori come Hans Jonas e Sergio Quinzio. Al centro delle loro riflessioni l’eccesso di un Male che ha finito per ferire e persino uccidere Dio stesso, facendolo infinitamente soffrire nel gorgo della sua impotenza. È dunque un Male non solo da intendere come dolore o come semplice mancanza di bene, ma un Male attivo, colmo di malvagità e perversione. Pensiamo anche soltanto a come nel secolo scorso l’umanità abbia fatto esperienza di questo Male attraverso massacri e genocidi che hanno provocato un numero di vittime che supera di gran lunga quelle di tutta la storia precedente. Dunque un Male che va oltre la colpa dell’uomo, un Male di cui già il Libro di Giobbe faceva cenno e nel quale è Dio stesso ad essere chiamato in qualche modo a rispondere, sia come Colui dal quale ogni cosa ha preso principio, sia come Colui dal quale soltanto possiamo essere salvati alla fine.

Ed è all’interno di questa dura battaglia tra Dio e il Male che emerge la distinzione, nel tempo ultimo, tra i credenti che riescono ancora ad attendere la salvezza da Dio e quelli che invece hanno finito per confidare nelle potenze soltanto umane, dimenticandosi del tutto che Dio ha promesso di vincere tale Male soprattutto in quanto “peccato” conficcato in noi fin dal nostro nascere come “pungiglione della morte”, dell’ “ultimo nemico a essere annientato” (1 Cor 15,26-56).

Le potenze anticristiche seducono dunque proprio perché appaiono molto amiche dell’umanità e diventano assai pericolose nell’ambito della fede quando agiscono all’interno della Chiesa finendo per svuotare il messaggio di fede, quello che incessantemente rimanda a quanto soltanto Dio può compiere. Che sia “giunta l’ultima ora” – dice Giovanni - lo si capisce dal fatto che “molti anticristi sono già venuti” e che “sono usciti da noi”, e questo perché ad un certo punto deve proprio manifestarsi “che non tutti sono dei nostri” (1Gv 2,18-19). L’Anticristo diventa molto pericoloso proprio perché è lupo che si maschera da agnello e nega di fatto, con le sue parole e il suo muoversi, la credibilità e la potenza di Dio, additando se stesso come Dio con soluzioni interne al qui e ora tutto umano del mondo.

D’altra parte del pericolo di una potenza tutta umana che non attendendo più nulla da Dio confidava di raggiungere unanime il cielo con le proprie forze, parlando “un’unica lingua e uniche parole”, lo ha rivelato già da oltre tre millenni il racconto della Torre di Babele riportato nel Libro della Genesi. E il credente avveduto sa che quelle non sono favole, ma Parola di Dio valida anche e forse soprattutto per noi oggi.

Dio dunque ha paura degli uomini e dobbiamo comprendere cosa di essi davvero teme. Non sta lì infatti a guardare come dicendo tra sé: ‘tanto non combineranno nulla da soli poverini!’, ma tremando come terrorizzato, perché quello non è “che l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile”. È dunque la potenza di un uomo che riesce a fare quanto ha in mente di fare da solo che davvero Dio teme fin da principio, e che soprattutto temerà nel tempo ultimo, nel tempo in cui gli uomini vanno durante i nostri giorni accumulando potenze tramite le quali sempre più finiscono prigionieri dell’illusione di salvarsi da soli mentre anche soltanto schiacciando un bottone potrebbero in un attimo autodistruggersi insieme al mondo intero. È questo non altro il motivo per cui a Babele Dio intervenne a confondere la loro lingua in modo che non si comprendessero più tra loro e a disperderli “su tutta la terra” (Gen 11,1-9).

Ma per comprendere a fondo tutto questo, occorre leggere attentamente uno degli scritti più antichi del Nuovo Testamento: la Seconda lettera ai Tessalonicesi. In essa i credenti vengono messi in guardia da certe illusioni, e questo perché la fede non ha a che fare né con l’essere creduloni, né coi facili ottimismi. Il pericolo allora era d’illudersi che ormai si fosse giunti alla méta quasi che il Signore fosse “già presente”. Intanto, dice Paolo o chi per lui, bisogna aprire gli occhi e rendersi conto che il Signore non solo ancora non c’è, ma che potrebbe persino tardare molto ed essere contrastato da potenze non da poco. Un tempo difficilissimo dunque, quello messianico, un tempo che ci riguarda soprattutto oggi avendo la forza d’essere ancora credenti, un tempo in cui facilmente potremmo addormentarci e abbandonare ogni discernimento e attesa. E dico discernimento perché facilmente si potrebbe essere abbindolati da potenze di Male mascherate da Dio quasi fossero loro stesse Dio. Cosa dice in proposito l’antico scritto sacro? Dice che la venuta del Signore nell’ultimo giorno sarà preceduta da eventi e figure che il fedele a Cristo deve essere molto attento a distinguere per non lasciarsi ingannare, perché si tratta di potenze molto seducenti.

E c’è una sorta di cronologia, nel loro manifestarsi, valida anche per noi oggi se riusciamo ancora a crederci. Ad arrivare per prima sarebbe intanto “l’apostasia”, l’abbandono dell’autentica fede, quella che ci si è trasmessa fin da tempi antichissimi, di generazione in generazione. Abbandono che faciliterà ad un certo momento l’entrata in scena dell’“uomo dell’iniquità”, dell’Anomos, dell’“Avversario”, di colui che sarà in grado di innalzarsi “sopra ogni essere”, fino a “essere chiamato e adorato come Dio, fino a insediarsi nel tempio di Dio pretendendo di essere Dio” (2Ts 2,4). Il fatto è che “la venuta dell’empio avverrà nella potenza di Satana, con ogni specie di miracoli e segni e prodigi menzogneri e con tutte le seduzioni dell’iniquità” (2Ts 2, 9-10). Potenza che viene dunque dallo stesso che tentò Gesù al principio della sua missione, quando “lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: ‘Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai’” (Mt 4,8-9).

A dispiegarsi di fronte all’Anomos che scalpita nel suo orgoglio, non vedendo l’ora di rivelarsi a tutti e ovunque, ecco ergersi, nel testo paolino e con una certa immediatezza, due forze.

La prima il Katechon, figura che “trattiene” la manifestazione dell’Anomos col suo mistero d’iniquità e che dovrà ad un certo punto per forza di cose essere tolto di mezzo se si vuole che il Signore stesso finalmente intervenga a distruggere l’Anomos col “soffio della sua bocca” (2Ts 2,5-8). Dunque figura negativa il Katechon sebbene sulle prime appaia nel pieno delle sue buone intenzioni. L’Anomos, va lasciato libero di scorrazzare, manifestandosi per quel che è, solo così il Signore potrà a sua volta finalmente manifestarsi al fine di distruggerlo salvando il salvabile rimasto nel mondo, dunque giudicando il mondo. La salvezza è una cosa sola col giudizio ultimo, quello in cui finalmente la “zizzania”, che sono “i figli del Maligno”, andrà gettata nel fuoco mentre il “grano”, che sono i “figli del Regno”, verrà riposto nel “granaio” (Mt 13,24-30. 36-43). E pensiamo qui anche soltanto alla grande e famosissima icona del Giudizio Universale dipinto da Michelangelo nella Cappella Sistina.

E c’è poi la seconda forza, definita da Paolo “forza di seduzione” (alcuni traducono “energia dell’inganno”), una forza addirittura inviata da Dio stesso su “quelli che vanno in rovina perché non accolsero l’amore della verità per essere salvati”. C’è un momento in cui la verità è offerta a tutti e un momento in cui, non venendo più a tempo il rimedio, non si può che abbandonare alla condanna “tutti quelli che, invece di credere alla verità, si sono compiaciuti dell’iniquità” (2Ts 2,10-12).  Salvarsi non è una bazzecola, né per Dio, che pure vorrebbe salvarci tutti amandoci da morire, né per noi così facilmente presi da tutt’altro da mattino a sera: Dio ci salverà alla fine, ma come un avvoltoio che si precipita sul “cadavere” (Lc 17,37), come un “ladro” che arriva d’improvviso nella “notte”, quando nessuno se l’aspetta (Mt 24,43), come un pastore che riesce a strappare con fatica un brandello di pecora dalla “bocca del leone” ( Am 3, 12).

Il Signore non ha nulla a che vedere con quella superba aria di sicurezza che troviamo nelle forze anticristiche imperanti nel mondo. Egli infatti facilmente scoppiava a piangere e non era restio a inginocchiarsi per lavare i piedi ai suoi discepoli. Per questo più che come Signore che già siede nella gloria dovremmo forse attenderlo come colui che è ancora “in agonia fino alla fine del mondo”, come diceva Pascal.

 

Daniele Garota

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