Koinonia Ottobre 2016


Frammenti di un cammino

 

“Pellegrino chi ti chiama? Che forza misteriosa ti attrae?”. Così recita una poesia sul cammino di Santiago.

Il Cammino è una esperienza di vita, personale, difficile da raccontare. Difficile dire perché si fa, cosa ti lascia. Il mitico cammino mi ha chiamato, mandandomi tanti segnali, prima sparsi qua e là e poi sempre più fitti, nel tempo e nello spazio. È vero quello che si racconta, non sei tu che decidi di farlo, è lui che ti chiama, che ti sceglie in qualche modo.

Non è quindi un caso che nell’anno dei miei 60, sia partito per Santiago. Una volta presa la decisione si è già partiti interiormente. Partire vuol dire lasciare tutte le sicurezze per entrare nella precarietà senza sapere quello che troverai lungo il percorso. Lasciare tutto il superfluo che ingombra la nostra vita per ritrovare l’essenzialità: tutto quello che ti serve sta nel tuo zaino e lo zaino deve essere leggero il più possibile (a me è riuscito solo fino ad un certo punto).

Fatte le dovute differenze, mi è sembrato d’essere come i grandi esploratori del passato. C’è la consapevolezza della difficoltà, ma c’è qualcosa che è più forte che ti attrae e che non riesci a spiegare. Parti senza misurare il tempo e dopo appena tre o quattro giorni di camino, subentra un senso di calma e di pace. Tutto quello che occupava le giornate sembra già lontanissimo. La sola cosa da fare è andare, camminare. Il poeta spagnolo Machado:“Caminante, no hay camino, se hace camino al andar. il cammino si scopre facendolo”. Si parte sempre da un luogo, da qualcuno (ci si congeda o si è congedati) e si arriva sempre da qualche parte per ripartire ancora verso qualcosa d’altro, tempo, spazio o persona che sia, conosciuti o sconosciuti che siano. Quella del cammino è una metafora della vita che mi ha sempre sollecitato e corrisposto.

C’è un inizio, un percorso, delle tappe ed un arrivo. C’è il senso dell’attraversamento del tempo e dello spazio. Ci sono le asperità del terreno, le salite, i tratti sconnessi, ma anche i sentieri pianeggianti, i terreni morbidi, i lievi pendii. Ci sono giorni di pioggia, freddo, vento contrario ma anche sole, la quiete e la brezza leggera che ti solletica la pelle. Ci sono le strade tortuose incerte, sconosciute e quelle dritte ben segnalate e aperte, i percorsi obbligati ma anche gli incroci dove devi prendere decisioni o affidarti a qualcuno o all’istinto. È un inizio ma è anche un arrivo. Forse tutti lo sono. Si arriva sempre da qualche parte nel tempo e nello spazio per ripartire verso qualcos’altro, conosciuto o sconosciuto che sia. Forse è così anche per la nascita e per la morte: i due più misteriosi arrivi e partenze che caratterizzano la vita di tutti, me compreso. Non è il cammino che è difficile, è il difficile che è il cammino (Sören Kierkegaard).

La mia avventura verso Santiago di Compostela comincia a Saint Jean Pied De Port. È lì il primo “sello” (timbro), sulla credenziale. È un’emozione particolare, è la sensazione di esserci finalmente, anni dopo i progetti fatti con Rita e tutto quello che dopo la vita ci aveva riservato. Eccomi, finalmente ci sono, non è più un pensiero ma è realtà: è l’ora di muovere il primo passo nei passi dei milioni che sono passati prima di me su una strada millenaria. La distanza non conta: è il primo passo che è difficile (Marchesa du Deffand). La magia del cammino sta nell’entusiasmo con cui ogni mattina si riparte qualunque sia il tempo, la fatica, i piedi doloranti e qualunque sia la lingua ci si saluta sempre con “buen camino”.

La magia sta nella sensazione di camminare con il mondo, di poter parlare senza sapere le lingue, perché tutti uniti da questa meta che è il cammino in se stesso. I passi sono le parole, i segnali le frasi, i paesi e la città che si attraversano i pensieri, Santiago il significato della vita. Così si crea quella solidarietà, che abbatte le barriere, che ti fa parlare della tua vita a chi non conoscevi fino al giorno prima, che ti fa ascoltare storie simili alle tue ma distanti chilometri e chilometri. Non ci si volta indietro. Si cammina da soli, in una sorta di eremo itinerante, ci lasciamo alle spalle e ci lasciamo raggiungere.

Il Cammino ci modella, insegnando al nostro corpo, e lasciandosi condurre dallo spirito. Si trova la pace nella natura, nel ritmo naturale, nel ridurre a poche cose le necessità giornaliere. Non si è in gara con nessuno, sei solo alla ricerca di te o almeno di un pezzetto di te. Roncisvalle e la sua storia, Pamplona e la sua originalità, Puente la Reina e l’alto del Perdon, Santo Domingo della Calzada e i galli in chiesa, piano piano, un paese dopo l’altro acquisti sicurezza, senti di essere parte della strada, le tue gambe i tuoi piedi è come se sapessero in anticipo cosa fare, dove andare. Li terrai di conto, i tuoi compagni, massaggiandoli, curandoli quando serve, lasciandoli riposare quanto serve.

Poi la cattedrale di Burgos e le gesta del Cid, ti dicono che sei di fronte alle mesetas. Un deserto verde, quando l’ho attraversato io, un mare d’erba tagliato da un filo sottile e infinito che è la strada che dovrai percorrere. Poi Leon e la sua bianca cattedrale contro il cielo cobalto, Ponferrada, i templari e la Cruz de Ierro, dove lasciare qualcosa di te a costruire, come migliaia di altri, la collina in cui è piantata. La salita a O Cebreiro, dove il Cammino è rinato, i boschi della Galizia, e la collina del Monte do Gozo. Domani arriverai a Santiago.

E provi una sensazione particolare, vorresti arrivare e vorresti che ancora mancassero giorni per poter prolungare quest’esperienza, questo stato d’animo. Contavi i chilometri all’inizio, levavi le centinaia una ad una, ma adesso che solo una manciata di chilometri ti separa, hai un po’ di nostalgia. “Ritardate il vostro arrivo a Itaca: l’importante è viaggiare” (Anonimo). Le lacrime in piazza, parlare ti viene difficile, solo abbracciarsi, con i compagni di viaggio. Ti guardi indietro come a cercare di vedere la strada che hai fatto, come a cercare il cartello di Roncisvalle che indicava 790 km a Santiago. Come a cercare conferma che ce l’hai fatta. La festa, gli addii, chi torna in Francia, chi in America, chi in Nuova Zelanda, chi in Italia.

Quanta gente, quanta diversità. Ognuno porta con sé il segreto del suo cammino ma tutti alla ricerca di qualcosa. Fuori sulla piazza mille foto e un continuo  susseguirsi di richiami, di esplosioni di gioia per il piacere e la sorpresa di riabbracciare qualcuno che credevi perso. Mille volti restano impressi nella memoria, tessendo un filo che ci lega ad ogni angolo del mondo. Io proseguo.“Ultreya y suseya”, più avanti e più in alto. Fino a Muxia. E lì che lascio la sciarpa arcobaleno che era di Rita. L’ho portata con me per tutto il viaggio. La spinta primaria a questo viaggio, arricchita della mia fatica, della polvere delle strade, adesso riposa nell’oceano. Non posso che sostare a guardare il tramonto sulla linea dell’orizzonte, dai grandi scogli che circondano Nostra Senora de la Barca. Ma devo andare oltre, il cammino mi chiama a proseguire. A Fisterra, al “chilometro zero” il cammino è davvero concluso (38 giorni, 940 km, 1.200.000 passi).

È l’ora di tornare, per altre strade da percorrere nella vita. “E senti allora, / se pure ti ripetono che puoi / fermarti a mezza via o in alto mare, / che non c’è sosta per noi, / ma strada, ancora strada, / e che il cammino è sempre da ricominciare.” (E. Montale).

 

Maurizio Valleri

 

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