Koinonia Ottobre 2016


La morte della vecchiaia*

 

L’ultimo libro di Armando Matteo, che ci ha già fatto riflettere con La prima generazione incredula e La fuga delle quarantenni, analizza dal punto di vista sociologico-religioso un’altra tendenza della nostra società: la scomparsa della vecchiaia intesa come fase dell’esistenza. Come asserisce l’autore, «di tutto oggi si può parlare tranne che del diventare ed essere vecchi», e, se qualcuno muore anche a settanta-ottanta anni, è opinione corrente che fosse “troppo giovane”. Certamente, l’allungamento dell’età media ha portato a compimento la profezia del regno messianico di Isaia: «Il più giovane morirà a cento anni e chi non raggiunge i cento anni sarà considerato maledetto (Is 65,20)». Dal punto di vista sociale tuttavia si va oltre, tendendo a negare tout-court la vecchiaia e ad allungare indefinitamente la giovinezza, in obbedienza al mito del giovanilismo a tutti i costi. Sempre di più si ritiene di poter vivere senza invecchiare e si è tolto alla morte il suo valore di «questione ultima e decisiva per la qualità della vita». Conseguenza della scomparsa della vecchiaia nella percezione comune è la liquidazione dell’età adulta e del valore che per eccellenza la caratterizza, cioè la maturità, con l’effetto deleterio di rinunciare a educare, cioè a favorire la maturazione delle generazioni successive.

Anche il linguaggio ha seguito l’evoluzione della mentalità dominante, per cui, una volta censurati i termini “anzianità” e ancor di più “vecchiaia”, adesso si arriva fino ad “adultissimi”, senza andare oltre. Gli adulti giocano ad essere perennemente giovani e si comportano come se avessero a loro disposizione più vite, più esistenze, più possibilità, più occasioni, in cui ricominciare sempre daccapo e grazie alle quali potersi sentire sempre giovani e disponibili a nuovi cambiamenti e progetti. L’autore constata amaramente che senza vecchi non ci possono essere più né adulti né giovani, tanto che troviamo in giro «pochi bambini costretti a fare i grandi e tantissimi grandi che si trastullano a fare i bambini».

Da ciò derivano cambiamenti non solo nei rapporti con i figli e nelle relazioni educative e sociali ma anche nella fede, che si esprime nella prassi religiosa. L’autore rilegge infatti, alla luce della cultura del giovanilismo, la successione dei sacramenti nell’arco dell’esistenza (battesimo, cresima, penitenza, unzione…). Questi possono avere un senso solo se visti nella prospettiva della morte e della vita eterna, ma come si fa a parlare di vita eterna a coloro ai quali «basta “eternizzare” la vita nella sua forma giovane»? Cosa potrà più significare credere in un messaggio che parte dall’annuncio della vittoria di Cristo sulla morte, nell’evento della risurrezione, nell’epoca in cui si consuma sempre di più la “morte” della morte?

“Un primo effetto, perciò, della longevità diffusa che andrà opportunamente recensito è la lenta scomparsa negli immaginari diffusi del carattere mortale dell’essere umano, del fatto cioè che siamo esseri limitati, finiti, destinati a restare su questo pianeta per qualche tempo e non per sempre. In tale nuovo contesto la morte - il pensiero della morte - non interroga più nessuno; non è più una questione ultima, ma un’ultima questione, a cui dare risposta solo quando sarà il caso”

Infine, quale modello di adulto credente si può offrire ai giovani, se gli adulti attuali sono «incatenati al mito della giovinezza»?.La diagnosi, in definitiva, non è certo confortante e può dar luogo alla conclusione che non vi siano vie d’uscita. Tuttavia la figura di Gesù può gettare luce su questo nodo apparentemente insolubile. Con la Sua parola e con la Sua vita Egli ci insegna che la ragion d’essere dell’adulto è una sola: dimenticarsi di sé a favore dell’altro. Qui c’è il vero «compimento dell’umano».

L’esperienza dell’autore deriva sia dalla sua attività di docente di teologia fondamentale presso la Pontificia Università Urbaniana, sia dall’incarico di ex assistente ecclesiastico della Fuci. L’analisi da lui portata avanti, precisa e acuta come al solito, è inoltre validamente corroborata e integrata dal confronto con altri autori, quali Marc Augé, Pierangelo Sequeri, Marcel Gauchet, Gustavo Zagrebelsky. Essa interroga in profondità il lettore, credente ma non solo, sui mutamenti sociali contemporanei e sul loro significato socio-antropologico, culturale, teologico e perfino giuridico. Le chiavi interpretative che ci fornisce possono risultare utili in particolare a tutti coloro che lavorano nell’ambito della pastorale e della formazione. La soluzione, qui come nelle altre opere di Armando Matteo, viene individuata a livello di catechesi ma ci si può chiedere legittimamente se non sia possibile agire anche ad altri livelli.

 

Elena Biondi

 

*Armando Matteo: Tutti muoiono troppo giovani. Come la longevità sta cambiando la nostra vita e la nostra fede, Rubbettino, 2016, pp. 108, € 10,00 

 

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