Koinonia Agosto 2016


Ettore e Clotilde Masina in ricordo del P.Dalmazio Mongillo*

 

LE PAROLE DI DALMAZIO

 

Chi lo ha conosciuto sa con quanto interesse (diremmo persino: appassionata e insaziabile curiosità) questo discepolo di San Tommaso d’Aquino seguisse il cammino delle scienze umane. Egli vi ritrovava ad ogni incontro illustrata quella bellezza della Creazione che rendeva smisurato il suo deliziato stupore; o, anche, ne mutuava una ulteriore conoscenza dei delicati o tragici meccanismi per cui la vicenda umana, personale o collettiva, continua a soffrire ai piedi della croce del Cristo. Trovavi padre Mongillo ai convegni degli psicologi, dei medici, dei sociologi e persino dei politici. Qualche volta lo costringevano a parlare. Allora dai suoi interventi emergeva non soltanto la sua capacità di comprensione, la vastità della sua cultura ma anche il rispetto profondo che egli portava al lavoro intellettuale altrui, alle altrui competenze e ricerche. Implicitamente o esplicitamente, nei suoi discorsi annunziava il vangelo ma senza invadere campi che non erano suoi, seminando la parola del Cristo con la castità di chi sa che ognuno, anche per quanto riguarda la fede, ha i suoi ritmi vitali, le sue chiamate, le sue strade, il suo kairòs. Per lui non c’era conflitto fra scienza e fede: in una continua interazione e dialettica insieme rispondevano ai grandi interrogativi dell’uomo.

 La sua passione per il sapere era così nota che alcuni amici lo avevano soprannominato “Frate Scienza”. Questo avveniva, per esempio, nella comunità dei preti-operai di Viareggio che egli frequentava con la stessa amicizia e solidarietà con la quale un suo grande maestro, padre Marie-Dominique Chenu, aveva sostenuto in Francia l‘avventura di questi, come furono definiti in un famoso romanzo di Gilbert Cesbron, “santi scesi all’inferno”: gli “scomodissimi” sacerdoti che avevano lasciato la tranquillità delle canoniche per annunziare il vangelo fra la tensioni del mondo operaio, tradito dalla Chiesa del XIX secolo. Uno dei membri della comunità di Viareggio ricorda: “Ogni tanto, mentre parlavamo, Dalmazio tirava fuori dalla tasca un piccolo taccuino dove scriveva brevi annotazioni (...). Inizialmente mi meravigliava questo suo desiderio di ascolto (...). Poco alla volta ho capito che i suoi interlocutori privilegiati non erano i ‘sapienti’ e gli ‘intelligenti’, ma i ‘semplici’, la povera gente in presa diretta con la vita”.

Testimonianza preziosa ed esatta: perché Dalmazio scrisse una volta che “l’espressione teoretica di un’esperienza vitale è sempre subordinata ad essa”. E del resto questo concetto di importanza dell’ascolto dei poveri è pura eco del vangelo. Nel capo X di Luca, v.21 (ed è l’unico luogo della Scrittura in cui si parla di un Cristo gioioso) è detto che il Signore “esultò nello spirito” quando comprese che vi erano cose che il Padre aveva nascosto ai dotti e ai potenti della Terra e rivelato ai piccoli.

La fedeltà ai poveri - detentori, dunque, di un prezioso messaggio teologico - egli l’aveva nel sangue sin da bambino. Dalmazio sapeva di appartenere a una schiatta di poverissimi emigranti e talvolta nel suo viso che, come accade negli uomini corpulenti, aveva lineamenti quasi infantilmente sereni, compariva fuggevolmente un accenno di pianto o perlomeno di malinconia, come di esilio, di un lutto per qualche lontananza.  La sensibilità empatica di padre Mongillo era così grande che oseremmo dire che egli è stato un teologo della tenerezza e, anche, un mistico della tenerezza. Le sue poesie sull’amicizia offerta da Gesù di Nazareth ai suoi compagni di cammino e le sue pagine sulla circolazione d’amore nella Santissima Trinità sono segnate da questo sentimento di dolcezza, di reverenza ma soprattutto di soavità che egli non soltanto viveva ma cercava di effondere intorno a sé. Dalmazio vedeva nella Chiesa un sacramento di riconciliazione fra gli uomini. Sognava una umanità che si rendesse conto che la grazia di Dio le rendeva possibile lasciarsi abitare dal mistero trinitario, mistero di irradiazione d’amore e dunque di possibile redenzione dei peccati collettivi.

Per servire le speranze dei poveri e dei sofferenti, egli lasciò spesso libri e aule, viaggiando dall’Etiopia al Canada, affrontando spesso fatiche e incomprensioni. Volendo definire la vocazione del cristiano nei nostri tempi, egli si spinse a indagare la storia ecclesiastica per riscoprire le parole più pregnanti, incrostate dalle muffe della storia e irrigidite nel linguaggio dei galatei e del buon senso. Di queste parole germinative, Mongillo diceva che nel lungo volgere dei secoli avevano finito per essere lette da una “intelligenza parassita”, perdendo il significato originale o addirittura assumendone uno del tutto contrario. Esemplificava: “prudenza”- e osservava che oggi la parola sta a dire cautela, attenzione a che a un minimo sforzo corrisponda il massimo risultato. Ma non era in questo senso, ammoniva Dalmazio, che “prudenza” era stata considerata una virtù. In origine “prudenza” era la capacità di vedere “da lontano”, nel modo quanto più possibile oggettivo, politicamente, come servire nel migliore dei modi la comunità umana, provvedere ad essa, lavorare per essa. E ancora Dalmazio diceva “obbedienza” e notava che il significato originario della parola non era quello di prona esecuzione di un dispotico potere altrui, un passivo adempimento di norme, ma il mettersi in ascolto della realtà in divenire, un “audire ab alio”, un udire da un altro, verificare percezioni.

Il suo pensiero oscillava, incessantemente, fra i vertici più alti di una straordinaria immaginazione spirituale mistica, e le basi concrete, sensoriali ed emozionali del suo essere. In questa oscillazione stava anche la forza della “pastoralità” di Dalmazio, la sua capacità di essere fedele alla missione predicatoria dei figli di san Domenico. Chi lo ascoltava, chi leggeva le sue pagine non rimaneva schiacciato dalle vertigini del suo misticismo perché veniva riportato ben presto alla realtà che lo circondava, e, a sua volta, da un esame dei segni dei tempi, che poteva anche essere angoscioso, richiamato alla speranza contra spem che nasce dalla certezza che Dio ci ama. Mongillo era certamente riconoscibile come un maestro anche perchè si sentiva che egli stesso cercava di elevarsi dalla propria terrestrità, con dolore, con fatica, con l’aiuto di una continua orazione.

Per Mongillo ogni uomo è chiamato a perfezionare l’umanità nella progettazione e nella costruzione del bene comune. L’uomo, ogni uomo, è responsabile della storia. Dalmazio citava spesso la preghiera, insieme esaltante e terribile, di san Tommaso: ‘Signore, fa di me uno strumento del tuo disegno nella storia’.

 

Ettore e Clotilde Masina

Workshop San Gallicano (22 novembre 2006 )

 

*Approfittiamo del nuovo contatto con i coniugi Masina per “rivisitare” con loro il P.Dalmazio Mongillo, che è stato per noi un vero fratello, sempre compagno e guida  nel nostro cammino. Il 13 luglio cadeva l’undicesimo anniversario della sua morte.  

 

 

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