Koinonia Aprile 2016


LA FEDE, INTUIZIONE DELL’INAFFERRABILE

 

Potenzialità e Spirito devono in via di principio essere rappresentati come un tutto non divisibile. Con questa rappresentazione non ci sono difficoltà se con essa pensiamo all’illimitato. Nella potenzialità sta anche però il significato di possibilità-realizzabile di una futura manifestazione materiale-energetica, che indica una dinamica e forse, con un certo coraggio, può essere spiegata come una “volontà di forma disponibile ad apprendere”.

La domanda è allora: disponiamo come uomini di un organo che ci permetta di comprendere le conseguenze a lungo termine dischiudendoci conoscenze che vanno al di là della nostra propria vita, conoscenze che ci siano di qualche utilità per le possibilità future dell’umanità e per l’intera creazione nella sua grandiosa dinamica? Se è così abbiamo bisogno di conoscenze in grado di orientarci e di una saggezza fondata su scienza e fede. La fede in questo caso non andrà semplicemente riferita al non-ancora-conosciuto, ma dovrà fondamentalmente comprendere l’Inafferrabile, ciò che in via di principio può essere solo intuito. Questa fede non sarà un costrutto arbitrario, innalzato senza profonde fondamenta. Questa fede poggerà per tutti noi sul fatto che come partecipanti alla realtà esploriamo mediante la vista interiore le possibilità del futuro in modo differente da come è possibile nella veste di osservatori e attori supposti esterni, ossia come persone che prima di ogni altra cosa provano a dominare la realtà.

Dietro ciò che chiamiamo etica sta una coscienza comune oscura, dalla quale attingiamo in continuazione, avanzando attraverso presagi e intuizioni verso la nostra coscienza chiara e vigile. Senza questo fondo comune ci potremo difficilmente comprendere. Ma, per ottenere una comprensione più chiara e agevole, noi ricerchiamo nella nostra società umana un’etica vincolante per tutti con la quale tentiamo di prestare a questi oscuri presagi una forma definita e un visibile splendore. Poiché l’Inafferrabile in via di principio sfugge al comprensibile, un tale passaggio non può riuscire nelle finezze, però vi potrà riuscire quanto meno con una certa approssimazione. Ogni speciale concretizzazione di un’intuizione scancella innegabilmente altre possibili concretizzazioni. Ogni assolutizzazione è imperfetta ed erronea. Un contemporaneo impiego di concretizzazioni differenti porta in generale a contraddizioni. Tuttavia le contraddizioni in veste di metafore producono valore attraverso la loro validità verbale. Le metafore per la verità sono prevalentemente collegate alle culture nelle quali sono formulate, in quanto tutte le metafore dovrebbero risplendere ed apparire chiare immediatamente come esperienza di tipo “Ah! ho capito”. Una metafora che per essere capita deve essere interpretata intellettualmente, decade dalla sua funzione di metafora. Una formulazione dell’etica in forma di metafora, la ritengo importante per la società, per agevolare e promuovere la comprensione. Ma detta formulazione non dovrebbe dare lo spunto a controversie, perché le metafore non si prestano a discussioni. Dietro di noi sta uno sviluppo del Vivente della lunghezza di oltre 3.5 miliardi di anni, sviluppo nel quale si è dispiegata in certo qual modo una memoria comune alla quale possiamo ricorrere in modo utile per la vita salvaguardando e promuovendo la creazione. Se non avessimo questo comune fondo, allora non saprei cosa potrebbe significare in senso proprio la parola etica. Poiché per me etica è nel suo nucleo qualcosa di più fondamentale delle sue diverse formulazioni non-scientifiche e scientifiche.

 

Esaurimento del moderno e la religione della domenica

Nella comunione costruttivamente interagente del diverso e non nell’angustia della contrapposizione ritroviamo un’immagine del mondo e di Dio, come è anche comunicato dalle grandi religioni. Oggi abbiamo dimenticato di interpretarle correttamente. In misura sempre crescente si mira al successo a breve, invece di predisporsi alla lunga distanza. Ciò ha per conseguenza che si ha l’impressione che le esigenze dell’etica, la visione religiosa e ogni forma di relazione culturale si adottino nel caso migliore soltanto alla domenica e alla sera dopo il lavoro, e non nella giornata lavorativa. Durante le occupazioni ordinarie, in mezzo al turbinio degli affari e al rumore del quotidiano, perdiamo la capacità di sperimentare intuitivamente nel profondo la nostra appartenenza comune e di creare da questa fertile fonte forza e saggezza.

Per comprendere il mondo non dovremmo capire, ma dovremmo soltanto allargare di più le braccia e aprire le mani, per “ricevere” il mondo. Nel momento in cui capiamo, strozziamo ciò che vorremmo veramente afferrare. Perché elemento essenziale del mondo è ciò che si frappone, l’”interspazio”.

Non siamo soltanto in una “crisi dell’immanenza” poiché l’esperienza immediata, di essere come uomini indissolubilmente ancorati al Trascendente - all’Uno, al Non-Duplice - minaccia di andare perduta. Stiamo già nel mezzo di una seconda crisi che qui viene chiamata “esaurimento del moderno”. Questa seconda crisi ci fa notare la fragilità e insufficienza della nostra odierna visione del mondo secolarizzato e materialistico. Essa consiste propriamente in questo: che noi - e mi riferisco particolarmente al cosiddetto mondo “sviluppato” e industrializzato del nord del pianeta - in tutto il rigoglio e in tutta la confusione del quotidiano soffriamo di fame di spiritualità e di senso e anche di un sentimento di solitudine e di abbandono. Di più ancora ci affligge il pensiero che non siamo veramente coscienti delle cause più profonde della nostra frustrazione e pertanto non siamo pronti ad assumere il cibo appropriato.

 

Hans-Peter Dürr

Da Anche la scienza parla soltanto per metafore, Gabrielli  Editori, 2015, pp.120-122

 

.