L’ELOGIO DEI FUMATORI
In questi giorni
pre-estivi che per me non sono di giusto riposo dopo le fatiche di un anno
scolastico un po' diverso dagli altri, perché mi incombono le fatiche di
commissario agli esami di maturità e il non meno greve compito di recensire
l'opera di un teologo domenicano spagnolo del 1500, ingiustamente inquisito
perché troppo spirituale; in questi giorni, dicevo, mi è venuto il ghiribizzo
di scrivere un articolo provocatorio e insieme distensivo, dal titolo
erasmiano.
E così, nella pace di un
monastero di Roma, ho preso lo spunto da un articolo di Víttorio Feltri sul
"Corriere della sera" del 15 giugno dal titolo piccante: “Nel ghetto
dei liberi fumatori". E' uno dei più bei campioni di letteratura
ironico-satirica che mi sia stato dato di leggere da tanti anni, molto distante
per "esprit de finesse" dalla letteratura comico-caricaturistica che
va tanto di moda, e che ha i suoi campioni in una coppia inseparabile di autori
torinesi.
Non è il caso di andare
a scomodare la "storia delle mentalità" per delineare una curva
parabolica della moda (e dell'anti-moda) del fumo. Io appartengo ad una
generazione in cui la sigaretta era ancora (ma lo era da tanto tempo) segno di
virilità, per cui i bambini, aspirando la “cicca" proibita, inconsapevolmente
infrangevano il tabù che vietava loro di penetrare nel regno dei grandi. Poi
furono le donne a non volerne più sapere del divieto, manifestando così, ben
prima dell'epoca femminista, la loro intenzione di recuperare un pezzo di
parità con il sesso forte. E infine, anche in questo campo che può apparire
frivolo, si assistette alla restaurazione. Il fumatore, da modello positivo,
divenne esempio da non imitare.
Questo non si può certo
contestare, quando la predica venga fatta da chi non ha mai fumato. Del resto
le nostre madri e i nostri padri ci dicevano le stesse cose. Ma ora sono
soprattutto gli ex-fumatori che sono passati all'attacco, e con sicurezza e
arroganza ci impongono, per il nostro bene, di smettere un “vizio” che accorcia
la vita a noi e inquina l'ambiente. Sono del tutto d'accordo con Vittorio
Feltri che questo manipolo che sempre si ingrossa di moralizzatori è una
categoria monotona e soprattutto antipatica. Così com'era antipatico
Robespierre quando voleva imporre la virtù ai rivoluzionari. Con la differenza
che il suo intento era morale e spirituale, mentre questa è tremendamente
materialista. E qui il discorso perde ogni eventuale frivolezza e si fa
estremamente serio.
Non mi trattengo dal riportare una lunga
citazione dell'articolo suddetto: "Ormai, superbia, avarizia, lussuria,
ira, invidia, accidia sono considerate eccellenti qualità. Soltanto la gola
comincia ad essere oggetto di pubblica esecrazione quanto il fumo. Non a caso,
l'una e l'altro non riguardano lo spirito, ma il corpo, che è diventato una
divinità da adorare, preservare da ogni contaminazione, esibire come una
medaglia. L'anima sia pure nera, ma la pelle occorre che sia rosea, che riveli
un ottimo stato di forma, efficienza, resistenza alla fatica. Anche per gli intellettuali,
che una volta erano ostili all'educazione fisica, ritenendo volgare la cura dei
muscoli, ed avendo quali distintivi il pallore e gli occhiali, oggi
l’imperativo è: scattare. E per scattare sono disposti a qualsiasi sacrificio,
il primo dei quali, normalmente, è la rinuncia al tabacco, che sta uscendo
dalla cultura italiana con la stessa rapidità con cui ci era entrato".
Io non credo che una
cultura possa fondarsi sull'uso del tabacco, ma nemmeno sulla sua rinuncia. Ma
quello che non mi va a genio è che, in nome di tolleranza, pacifismo, ecologia,
ecc. delle falangi di intolleranti costruiscono dei nuovi precetti che erigono
in assoluti (ossia in idoli). Contro il fumo, contro il tabacco, contro le
vivande a base di carne, contro la caccia, contro la pesca, contro le industrie
"sporche" (e chi mai ne ha visto di pulite?), contro le medicine
classiche, contro i deodoranti, contro il verderame, contro la luce al neon, e
chi più ne ha più ne metta. Aboliti i Dieci Comandamenti, vi si sostituiscono
dei comandamenti in negativo, ossia delle proibizioni. In nome della libertà,
naturalmente.
Trovo poi molto
indovinata l'osservazione di Vittorio Feltri a proposito della sublimazione
moderna di sei tra i sette vizi capitali: chi ad esempio - anche tra la gente
di Chiesa ed anche tra i preti - condanna ancora la lussuria, anzi chi osa
ancora censurare i dolci svaghi adulterini? non siamo forse per una liberazione
della sessualità repressa? e chi storce il naso come un tempo quando vi è un
caso evidente di avarizia? avarizia in senso forte, dico, alla toscana, che non
consiste solo nel tenere stretti i propri averi (tale attitudine, scrive
Machiavelli, è quella che caratterizza il “misero”),
ma anche nel voler strappare agli altri le cose loro: le lotte tra le "holdings"
- che hanno conseguenze nefaste per tante povere persone - non sono forse segno
di intraprendenza capitalistica, in un mondo che proclama di credere al
piacere, al sesso, al denaro, a tutto ciò che è materiale?
L'idolatria del corpo,
certo, a scapito dell'antiquata preoccupazione per l'anima. Noi credevamo che
il corpo fosse santificato dall'anima, ora ci spiegano che semmai l'anima è
un'appendice del corpo. Noi ci consideravamo eredi della cultura greca, della
rivelazione biblica, della spiritualità medievale e, perché no?, anche delle
idealità romantiche. Ora è tornata in vigore la morale del "carpe
diem" che caratterizza tutte le
epoche di decadenza.
Come si vede, la
campagna contro il fumo non è che un aspetto di una ben più vasta operazione di
ri-paganizzazione della nostra civiltà. Io ho sempre sostenuto che anche il
paganesimo ha i suoi valori, che però vanno subordinati ad altri che meglio
esprimono le esigenze dello spirito. Nel corso (o nella corsa) della nostra
vita l'auriga che guida il cocchio ha da essere l'anima, non il corpo.
Nel Vangelo inoltre si
dice di non prendersi timore di coloro che possono uccidere il corpo, ma
piuttosto di quanti possono uccidere l'anima, e il corpo con essa. E a me
interessa essenzialmente la salvezza dell’anima: il resto, lo so, è un
sovrappiù che mi sarà dato. Perciò, con buona pace di tanti abolizionisti.
continuerò a fumare senza prendere troppo sul serio i loro noiosi sermoni e le
loro rimasticate profezie.
Ettore De Giorgis