LA CHIESA ORTODOSSA, NOSTRA SORELLA
In senso etimologico,
“ortodossia" - termine composto derivato dal greco – significa
"giusta opinione”: la Chiesa unita si definiva ortodossa contro gli
eretici, che negavano qualche verità di fede. Dopo la scissione del 1054, la
Chiesa di oriente rivendicò per sé questo titolo a motivo della sua fedeltà
alle definizioni della. Chiesa antica, precedenti la separazione con Roma; ma
gli orientali ammettono che ortodossia e cattolicità sono aspetti inseparabili,
e concordano quindi con la Chiesa romana che divenne, da allora, la
"Chiesa cattolica".
Lo sviluppo diverso
delle Chiese d'oriente e d'Occidente è alla base della loro incomprensione e
dello scisma conseguente. Fu diverso anzitutto lo sviluppo teologico. durante
il nostro Medioevo, il cristianesimo orientale continuò a svilupparsi secondo
una triplice dimensione,
biblica-liturgica-monastica, in continuazione con lo sviluppo dell'età
patristica (orientale ed anche occidentale); questo non fu il caso
dell'Occidente, posto di fronte a nuovi e gravi problemi, connessi con lo
scontro, e poi l'incontro, con la cultura barbarica. D'altra parte, l'Oriente
non fu mai pessimista nei confronti della natura umana e del mondo, a
differenza dell’Occidente, marcato dal pensiero di sant'Agostino e dal suo
“pessimismo storico"; pertanto l'Oriente non poté nemmeno conoscere la
reazione contro tale pessimismo, che iniziò nel secolo XIII e che, attraverso
il Rinascimento, sboccherà poi nella secolarizzazione: la distinzione di S. Tommaso
fra natura e sovranatura è estranea al pensiero orientale, per cui il profano
non ebbe mai una vera autonomia, con la conseguenza che il cristianesimo
ortodosso ebbe sempre un aspetto sacrale e teocratico.
Fu diverso anche lo
sviluppo della giurisdizione: mentre a Occidente si accentuò la
centralizzazione ecclesiastica intorno a Roma, in teoria e nei fatti, a Oriente
si svilupparono sempre più le autonomie religiose locali. e le "Chiese
nazionali". Ciò comporta, per le due parti, una diversa tentazione: l'Oriente
rischia l'anarchia ecclesiastica, il nazionalismo religioso, il disinteresse
per l'evangelizzazione del mondo
presente (questo perché vive ancora in regime di “cristianità” sociologica, in
cui tutti sono cristiani poiché tali sono il padre, la madre, i nonni, ecc.);
la tentazione dell'Occidente consiste invece nel centralismo, nel trionfalismo
e nel temporalismo (ossia la Chiesa sposa con troppa disinvoltura le pratiche
ed i metodi del mondo in cui è inserita). Da una parte quindi un cristianesimo che
rischia di essere troppo soprannaturale ed idealista; dall'altra invece il
rischio è di essere troppo efficientisti e secolarizzati. E' necessario
pertanto cercare l'incontro e la riconciliazione tra queste due dimensioni
ecclesiali, che possono, correggendosi a vicenda, essere più fedeli (o meno
infedeli) al messaggio evangelico.
L'ortodossia dà gran
peso alla tradizione: l'integrazione rivelazione-dottrina-tradizione è alla
base
dell'ecclesiologia delle
“Chiese sorelle", che hanno in comune la fedeltà alla Bibbia ed ai primi
sette Concili ecumenici, nonché a gran parte della tradizione (ma vi sono anche
delle tradizioni locali, proprie dì certe Chiese ortodosse e non di altre).
Una simile struttura
ecclesiale non può che esaltare la collegialità: l'autorità dei vescovi, capi
delle Chiese locali, deriva dal £atto che essi sono i successori degli
Apostoli. Le conferenze episcopali nazionali (ì sinodi) permettono di
esercitare collegialmente l'autorità, e così le conferenze pan-ortodosse (una
specie di Concilio dell'ortodossia, presieduto dal patriarca di
Costantinopoli). Ma la collegialità non va a scapito della sovranità di ogni
vescovo.
E' evidente che tale
ecclesiologia si scontri con quella romana. Il punto di dissenso, che portò
allo scisma nel 1054 e che ancor oggi frena i rapporti ecumenici, sta nella
diversa interpretazione della funzione papale. Il "patriarca
d'Occidente" (come talora è chiamato il vescovo di Roma dagli ortodossi)
ha un primato sugli altri vescovi, di onore, però, e non di giurisdizione:
Pietro, infatti, ha ricevuto il compito di confermare nella fede i fratelli
(gli apostoli), non di imporsi ad essi. Questa posizione - forse alquanto
letteralista e non abbastanza storicizzata - induce però i cattolici
a:ripensare la questione del papato in modo ecumenico, tenendo presenti i
rilievi degli altri cristiani.
La teologia ortodossa è
mistica e simbolica, non concettuale; tuttavia la vera teologia non è quella
dei grandi teologi, ma è la liturgia, suggestiva e misterica, che ha sempre avuto
ad Oriente un ruolo centrale nella vita della Chiesa, ed a cui partecipano con
fervore i fedeli. Tutti i sacramenti sono circondati di rispetto e di
adorazione, ma il culmine della sacramentalità si ha con la Divina Liturgia (la
nostra Eucarestia), in cui si avverte con timore e tremore la presenza di un
Dio Tutt'Altro. L'impostazione - non solo dell’Eucarestia, ma di tutta
l'ecclesiologia e la spiritualità d’Oriente - è meno cristocentrica che da noi,
e più trinitaria.
La liturgia è anche il
luogo privilegiato della catechesi, che avviene anche attraverso il culto delle
icone, proiezioni immateriali del senso intimo che emana da episodi della vita
di Gesù e dei santi, nonché dalla visione mistica della Trinità: non è la
figura in sé che conta, ma il modo con cui l'iconografo percepisce l'aspetto di
mistero che gli si apre dinanzi.
La spiritualità ortodossa si addice all'indole immaginifica dei popoli orientali; essa trascura.alquanto la teologia fondamentale (o dogmatica), che giudica troppo razionalistica. Ora, un discorso ecumenico deve proporsi di integrare le due dimensioni, come hanno ben visto certi teologi ortodossi.che vivono in occidente: se infatti il razionalismo teologico è la tentazione dalla quale si devono guardare gli occidentali, cattolici come protestanti, è non meno vero che gli “spirituali” ortodossi scadono spesso nel fantasioso, nel mitologico, nell'irrazionale. Ogni serio discorso ecumenico deve partire dalla convinzione della complementarietà delle Chiese, nessuna delle quali è autorizzata a porre alle altre dei “diktat”, in quanto tutte sono un lembo della dilacerata tunica di Cristo. Questa complementarietà è sopratutto evidente raffrontando l'Occidente con l'Oriente cristiano.
Ettore De Giorgis