UNA CHIESA PER IL MONDO:
CONVEGNO E.P.U. A TORINO


Nel convegno su "Evangelizzazione e promozione umana" indetto dalla diocesi di Torino dal 21 al:25 aprile i sei gruppi di lavoro, divisi a loro volta in vari sottogruppi, hanno discusso di molte, forse troppe cose: del lavoro e della scuola; della famiglia, delle donne e dei giovani; del pluralismo e della politica; della catechesi, dell'annuncio e della liturgia; di chi soffre e di chi spera, ecc- Non sono stati posti ostacoli alla libertà di parola, il che ha permesso che dal convegno emergesse l'immagine di una Chiesa viva: è stato soprattutto a livello di sottogruppi che si è imposta tale constatazione, mentre le relazioni finali di gruppo, molto succinte, non hanno potuto rendere conto di tutta la ricchezza di argomentazioni e di suggestioni emerse nei dibattiti di base.
Questa Chiesa è apparsa viva in tutte le sue componenti: nei sacerdoti secolari, o almeno in buona parte di loro, che non hanno dimenticato la gran ventata di rinnovamento che ha costituito per la diocesi di Torino l'esperienza pastorale del cardinale Michele Pellegrino; nei religiosi e soprattutto nelle religiose, in cui la generosità si allea sempre di più alla consapevolezza della missione, fondata su una conoscenza biblica più approfondita; nei laici, uomini e donne, che sempre più si rendono conto che "Dio è nella base", che cioè la chiamata ad essere popolo dì Dio è universale e prioritaria rispetto alle vocazioni particolari: fra le varie conseguenze di tale approccio biblico, una riguarda il discorso teologico, che non è monopolio di nessuna categoria di credenti, ma è un diritto e insieme un dovere per tutti.
Occorre guardarsi dalla tentazione trionfalistica, certo, e guardare in faccia la realtà: questa Chiesa viva è una Chiesa minoritaria, una diaspora, intorno a cui sta il primo cerchio dei "cristiani-praticanti-abitudinari", attorniato a sua volta dal più ampio cerchio dei "nominalmente-cristiani-o-effettivamente-neopagani". Questa piccola Chiesa, comunque, porta in sé tanti germi di futuri sviluppi. Pertanto io sono ottimista sul suo conto, o meglio, nutro una fondata speranza (perché la speranza è più cristiana dell'ottimismo ... ). E questo malgrado le note critiche che seguiranno.

(A)
Il convegno ha mancato di dimensione ecumenica, non è che le cose sarebbero cambiate in meglio se fossero stati presenti alcuni "osservatori" (termine detestabile, improntato alla più sorniona diplomazia) valdesi o battisti, e se uno di loro avesse anche pronunziato una relazione inaugurale; e nemmeno è stato un gran malanno che non si sia formato un sottogruppo, o addirittura un gruppo, specializzato in ecumenismo. L'ecumenismo non è un aspetto dell'ecclesiologia, ma è tutta l'ecclesiologia che ha da essere ecumenica. Tutto il convegno, pertanto, andava impostato secondo tale prospettiva: come parlare della presenza delle donne nella Chiesa ignorando quanto avviene al riguardo nelle Chiese non cattoliche? E può esservi da una parte un pluralismo per i cattolici, e dall'altra un pluralismo ortodosso, anglicano, protestante? E l'annuncio delle varie Chiese deve continuare ad andare per proprio conto, con il rischio tutt'altro che ipotetico di aggravare le differenze confessionali?
Il rinnovamento della Chiesa è inscindibile dalla ricerca della sua unità, come ha ricordato anche Giovanni Paolo II in un discorso tenuto a novembre alla sessione plenaria dei cardinali e vescovi membri del Segretariato per l'unità dei cristiani (cfr. "Irenikon", 1979, fascicolo n.4).

(B)
Il discorso ecumenico non è fine a se stesso, ma è necessario per impostare il discorso successivo, quello della missione della Chiesa. Perché, tutto sommato, quale immagine della Chiesa è emersa dal convegno di Torino? Una Chiesa in fase di recupero, forse, che vuol presentarsi come una "certezza" in un mondo sempre più insicuro, sfruttando il "ritorno al sacro" che pare caratterizzare la nostra epoca di tecnologia super-avanzata e super-sofisticata? Se così fosse - non voglio crederlo, ma lo dico per una specie di scaramanzia - si intratterrebbe un'ambiguità pericolosa.
La Chiesa ha da essere una e rinnovata non per proporre agli uomini una salvezza mondana, una "dottrina sociale cristiana", una "ideologia cristiana". Il messaggio di cui essa è depositaria non è un sedativo: fede, speranza e amore hanno il loro inizio in terra, ma il loro compimento si situa al di là della storia. E la Risurrezione - quella di ogni singolo uomo e quella di tutta l'umanità - passa sempre attraverso la Croce.
Verso i nostri fratelli neopagani, che costituiscono la grande maggioranza di coloro che ci stanno intorno, abbiamo il dovere della sincerità: si deve proclamare, piaccia o non piaccia, che Cristo è morto per noi e per loro, e che noi partecipiamo alla sua Risurrezione qualora accettiamo che le nostre sofferenze siano fecondate dalla sua Croce. La salvezza cristiana è tutt'altra cosa che la tranquillità mondana.

Ettore De Giorgis





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