11 giugno 2023 - SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO A)

Guido Cagnacci: Processione del Santissimo Sacramento (1628)

Saludecio (RN), Museo di Saludecio e del Beato Amato Ronconi

 

 

PRIMA LETTURA (Deuteronomio 8,2-3.14-16)

 

Mosè parlò al popolo dicendo:

«Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi.

Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore.

Non dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri».

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 147)

Rit. Loda il Signore, Gerusalemme.

 

Celebra il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.

Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce.

Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun’altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.

 

 

SECONDA LETTURA (1Corinzi 10,16-17)

Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?

Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.

 

VANGELO (Giovanni 6,51-58)

In quel tempo, Gesù disse alla folla:

«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».

Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

 

In altre parole…

 

Stiamo attenti a non mettere tutto sullo stesso piano: il ciclo pasquale si è chiuso con la Pentecoste, con la rivelazione piena dell’opera di Dio per la salvezza. Se poi nell’ordinamento liturgico troviamo la festa della santissima Trinità prima e del Corpus Domini poi, teniamo presente  che  siamo già su un piano diverso, quello storico  della elaborazione ecclesiale del dato rivelato: la Trinità come formulazione dogmatica e dottrinale, il Corpus Domini come risposta alla questione della realtà e del simbolo nella Eucarestia. Ma basterebbe ricordare che è su questo punto e sul discorso del pane di vita che abbiamo la ribellione e la discussione più accesa nel vangelo di Giovanni (cap.6). All’interno di questo dibattito secolare possiamo dunque muoverci anche noi, consapevoli che non mancano neanche oggi interrogativi, dissensi, e divisioni,  mentre peraltro processioni e infiorate continuano ad aver luogo nelle nostre strade in tutta la loro ambiguità di manifestazioni sacralizzate al di sopra di ogni criticità. Non sarebbe il caso di interrogarci e di dire a che punto siamo nella celebrazione del mistero eucaristico? E di chiederci se ci sia più fede nel ripensamento di queste tradizioni storiche o nel lasciarle scorrere per il loro verso spettacolare?

 

L’immagine di Guido Cagnacci Processione del Santissimo Sacramento ci riporta in pieno all’epoca post-tridentina, quando tutto il contesto religioso di Controriforma poteva rendere significative e alternative queste espressioni di vita ecclesiale. Il fatto è che si pretende oggi di riproporre lo stesso stile di chiesa, quando nei piani alti (sedi ufficiali e teologiche) si continua a dichiarare la fine della cristianità e quindi dell’epoca tridentina, mentre viene giustificato e favorito lo stesso andamento di sempre alla base, dove il Corpus Domini rischia di apparire come il tutto della fede della chiesa. Per chi in realtà esso è messaggio? Cosa vuole riaffermare pubblicamente della comunità dei credenti in Cristo?

 

Se immaginiamo una Processione nelle nostre città, abbiamo uno spaccato della situazione attuale, opportunamente velata: ci sono quanti procedono tra invocazioni e canti, e ci sono magari ali di folla che si godono lo spettacolo nella rispettosa indifferenza o estraneità. A fronte di un chiesa bardata di tutto punto e sicura di sé fino all’eccesso, c’è gente a cui dovrebbe arrivare la parola del vangelo allo stato puro e non in una tradizione storica concentrata sul Santissimo Sacramento come assoluto della fede, che è una contraddizione in termini. Come dirci che il problema non esiste, e semmai è tutto degli altri! Ma a nessuno sfugge l’incongruenza dei fatti, ed è strano che l’unico problema della “Messa” sia quello della “frequenza” e non della sua qualità.

Là dove la liturgia di questo giorno sarà celebrata e le relative letture saranno proclamate forse manca la consapevolezza che l’Eucarestia e il relativo problema del ministero ordinato è una delle questioni all’ordine del giorno, anche se questo non è dato scorgerlo dietro gli apparati mentali e pratici di una chiesa tutt’altro che “inquieta”. Va bene che singoli fedeli si dedichino alla “adorazione eucaristica”, ma forse non è del tutto positivo che la pastorale nel suo insieme si concentri su questa pratica come fattore centrale della fede ecclesiale. Siamo ad un cristianesimo che sopravvive a se stesso attraverso simboli ancora in uso, ma è chiaro che essi hanno una funzione interna di rassicurazione, mentre hanno perso la loro carica di annuncio. Lo sbilanciamento - a volte compiaciuto - verso l’esteriorità e la spettacolarità dovrebbe trovare la sua misura interiore in queste parole di san Tommaso nell’inno eucaristico Adoro te devote: “La vista, il tatto, il gusto, in Te si ingannano, / Ma solo con l'udito si crede con sicurezza: / Credo tutto ciò che disse il Figlio di Dio, / Nulla è più vero di questa parola di verità”.

Ed allora c’è da dire che il “Santissimo sacramento”, per quanto oggetto di adorazione e di devozione intima per alcuni, non smette di essere per tutti “memoriale della morte del Signore”: memoria non di un singolo evento passato, ma di quanto abita e struttura la fede nel mondo. Mosè invita il popolo a ricordare il cammino fatto dal Signore nel deserto perché il Popolo capisse cosa effettivamente aveva nel cuore: o un miraggio di libertà a buon prezzo o sottoporsi ad umiliazioni e prove, come la fame e la sete. Perché in sostanza si rendesse conto “che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore”. E perché ricordasse che era stato fatto uscire dalla condizione servile dell’Egitto, per essere condotto attraverso un deserto grande e spaventoso, terra assetata e senz’acqua, dove però il Signore “ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima” al tempo stesso in cui  “ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri”.

 

È inevitabile chiedersi quale è la memoria del nostro cammino, la storia delle nostre umiliazioni e prove per poter riconoscere se anche per noi c’è stata la manna e se l’acqua sia sgorgata dalla roccia, in modo che la memoria sia poi quella del Signore, non solo quella delle prove o dei benefici. E qui la parola di Gesù proietta il “Corpus Domini” su un’altra prospettiva senza mezzi termini: quella addirittura della ”vita del mondo” per la quale è pronto a dare la propria carne a dimostrazione del fatto  che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive "di quanto esce dalla bocca del Signore”, e anche ricordando che le parole che egli ci dice sono spirito e vita (cfr. Gv 6,63).

 

È una prospettiva di salvezza universale, proprio perché si realizza per i singoli a partire da una offerta di vita che va al di là di simboli per diventare comunicazione vitale. Siamo davanti ad un'affermazione perentoria che non vale solo per i cultori del Corpus Domini come celebrazione, ma guarda alla “vita del mondo”: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Niente di figurato, ma carne da mangiare e sangue da bere del Figlio dell’uomo. Prescindiamo per il momento dalle modalità di questa consumazione, per tener conto che si tratta di una trasmissione di vita che nasce dal Padre e arriva a noi: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me”. Qualcosa che avviene attraverso l’incorporazione e immedesimazione nella fede in lui.

 

Il Corpus Domini, quindi, non può rimanere solenne celebrazione del “sacramento” o segno della Eucarestia, una realtà accessibile solo per via di fede, ma deve portarci al cuore del mistero.  Memoriale della morte del Signore,  pane di vita per il mondo, ma anche evento di comunione: “Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane”. Perché ci sia la partecipazione a quest’unico pane, Paolo ci esorta ad essere circospetti e ad evitare le ambiguità che non si fanno attendere, fin dalle origini. Interpella i credenti che partecipano alla cena del Signore se per loro si tratta di pura e semplice convivialità alla stregua dei banchetti sacrificali dei riti pagani in voga, o se questa condivisione deve nascere dalla comunione col Signore stesso: il calice e il pane della benedizione non sono forse comunione con il sangue di Cristo e comunione con il corpo di Cristo?

 

Non possiamo dimenticare che intorno a questa tradizione celebrativa si sono sviluppati solenni Congressi eucaristici, che nel loro genere tentano di ridare sapore al sale che lo ha perso. Forse sarebbe il caso di dirsi che basterebbe provare a vivere diversamente le nostre Eucarestie domenicali, perché è lì il luogo naturale della maturazione della fede del Popolo di Dio e anche delle modificazioni strutturali della vita ecclesiale. Ma poi l’esperienza ci dice che proprio lì  rimane affisso il cartello con su scritto “Chi tocca muore”. Ma al tempo stesso tutto porta a dire: ”Eppur si muove”! (ABS)


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