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5 novembre 2023 - XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
 

Dante nella bolgia degli ipocriti (Inferno, canto XXIII)

Illustrazione di Jan Van der Straet (1587)

 

 

PRIMA LETTURA (Malachia 1,14- 2,2.8-10)

Io sono un re grande - dice il Signore degli eserciti - e il mio nome è terribile fra le nazioni.
Ora a voi questo monito, o sacerdoti. Se non mi ascolterete e non vi darete premura di dare gloria al mio nome, dice il Signore degli eserciti, manderò su voi la maledizione.
Voi invece avete deviato dalla retta via
e siete stati d’inciampo a molti
con il vostro insegnamento;
avete distrutto l’alleanza di Levi,
dice il Signore degli eserciti.
Perciò anche io vi ho reso spregevoli
e abietti davanti a tutto il popolo,
perché non avete seguito le mie vie
e avete usato parzialità nel vostro insegnamento.
Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l’uno contro l’altro, profanando l’alleanza dei nostri padri?


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 130)


Rit. Custodiscimi, Signore, nella pace.

 

Signore, non si esalta il mio cuore
né i miei occhi guardano in alto;
non vado cercando cose grandi
né meraviglie più alte di me.

Io invece resto quieto e sereno:
come un bimbo svezzato in braccio a sua madre,
come un bimbo svezzato è in me l’anima mia.

Israele attenda il Signore,
da ora e per sempre.

 

SECONDA LETTURA (1 Tessalonicesi 2,7-9.13)

Fratelli, siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari.

Voi ricordate infatti, fratelli, il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunciato il vangelo di Dio.

Proprio per questo anche noi rendiamo continuamente grazie a Dio perché, ricevendo la parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti.



VANGELO (Matteo 23,1-12)

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:

«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.

Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.

Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.

Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

 

In altre parole…

 

L’anticlericalismo storico è forse finito nella sua forma ideologica di lotta alla chiesa, ma è stato introiettato dentro la chiesa stessa come esigenza di quella che alla fine è stata riconosciuta una “piaga” da sanare. Non è con questo che il male si eliminato, sia perché è multiforme e sia anche perché c’è sempre chi lo favorisce. Il 25 ottobre scorso Papa Francesco si è espresso in questi termini: “Il clericalismo è un flagello, è una piaga, è una forma di mondanità che sporca e danneggia il volto della sposa del Signore; schiavizza il santo popolo fedele di Dio”.

A parte le sue manifestazioni esterne di superiorità, di potere, di dominio sulle coscienze, in realtà si tratta di un modo interiore di essere, e non è da pensare che delle modificazioni esterne possano essere un rimedio. Si tratta di ipocrisia e mancanza di verità come di vizio di sistema, e va vinto con una conversione ecclesiale a tutto campo, altrimenti succede che “la nuova condizione diventa peggiore della prima” (Mt 12,45).

A sollecitarci e abilitarci insieme in questa impresa è la Scrittura. Il problema di fondo rimane sempre lo stesso, anche se per noi resta sullo sfondo e non viene mai in primo piano: darsi premura di rendere gloria al nome di Dio che è terribile fra le nazioni. Le parole del profeta Malachia sono rivolte direttamente alla casta sacerdotale. Invece di essere i vigili custodi dell’Alleanza, essi sono di inciampo a molti, fino a corromperla servendosi del loro insegnamento per mettere avanti se stessi piuttosto che la Parola di verità. E la verità a cui tener fede non è che questa: “Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l’uno contro l’altro, profanando l’alleanza dei nostri padri?”.

Se vogliamo sottrarci alla forza di attrazione del successo e dell’efficienza, e quindi della strumentalizzazione della Parola di Dio, il passo del vangelo è ancor più drastico ed esplicito, e ci dice di sottrarci all’inganno del clericalismo. Gesù ha dovuto confrontarsi con decisione con tutti gli esponenti dell’establishment: capi del popolo, anziani, sacerdoti, erodiani, scribi, farisei, sadducei, dottori della legge…, dovendo in ogni occasione rimettere a fuoco la verità di Dio rispetto alle tradizioni umane.

E lo fa questa volta rivolgendosi indistintamente a tutti, alla folla e ai discepoli, per invitarli a guardarsi dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia, questo sdoppiamento tra insegnamento e prassi, rigorismo e lassismo di gente interessata solo ad avere seguito, consenso e ammirazione dalla gente: esattamente il contrario del modo di essere di Gesù in mezzo a loro. Forse personalmente siamo tutti consapevoli di come stanno le cose, e magari cerchiamo di rimediare nel nostro piccolo, ma poi, quando si tratta di sollevare il velo dell’ipocrisia, dell’ambivalenza, a dominare sono sempre le forze del clericalismo, mentre occorrerebbe trovare in queste parole di Gesù la spinta ad una mobilitazione capillare, che vada al di là di parole d’ordine o formule di accomodamento.

Non basta la denuncia, ormai trasversale, ma non basta neanche un ripudio di massima, se non interviene una decisione di ripartire dal di dentro e dare vita ad una comunità che sia prima di tutto di discepoli e di fratelli, e si guardi bene dall’avere altri padri e maestri che non siano il Padre celeste e il Cristo. Ma da quanti parole così chiare vengono prese in seria considerazione, tale da portarci ad una chiesa “sinodale” per natura prima che per scelta pastorale?

Se così stanno le cose, sembra che non ci siano scuse, e anche i servizi e i ministeri più alti non autorizzano primati o supremazie, e non sono da confondere ruoli e gerarchie umane e sociali col dono della comunione di fede ed ecclesiale. Soprattutto non va motivata questa comunione con principi di autorità. Si torna al DNA di tutto il vangelo, che però possiamo dichiarare solo se ci disponiamo ad agire in coerenza: “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato”. (ABS)


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