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19 novembre 2023 - XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Willem de Poorrer: La parabola dei talenti (1645 circa)

Praga, Galleria Nazionale

 

PRIMA LETTURA (Proverbi 31,10-13.19-20.30-31)

Una donna forte chi potrà trovarla?
Ben superiore alle perle è il suo valore.
In lei confida il cuore del marito
e non verrà a mancargli il profitto.
Gli dà felicità e non dispiacere
per tutti i giorni della sua vita.
Si procura lana e lino
e li lavora volentieri con le mani.
Stende la sua mano alla conocchia
e le sue dita tengono il fuso.
Apre le sue palme al misero,
stende la mano al povero.
Illusorio è il fascino e fugace la bellezza,
ma la donna che teme Dio è da lodare.
Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani
e le sue opere la lodino alle porte della città.



SALMO RESPONSORIALE (Salmo 127)

Rit. Beato chi teme il Signore.

 

Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.

La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.

Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita!

 

 

SECONDA LETTURA (1 Tessalonicési 5,1-6)

 

Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire.
Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre.
Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.

 

 

VANGELO (Matteo 25,14-30)

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:

«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.

Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.

Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».



In altre parole...

 

Anche se per ragioni di difesa da dissesti ecologici vari, stiamo prendendo coscienza che il creato, il cosmo, la natura – a seconda della propria visuale sul mondo – rappresentano un bene consegnato alle nostre mani, per una necessaria salvaguardia, ma anche per un perfezionamento, in osservanza di Genesi 2,15: “Dio il Signore prese dunque l'uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse”. Dove c’è un affidamento di ciò che era stato creato come “cosa buona”, c’è da adoperarsi come co-produttori per migliorare il proprio habitat, salvo però sentirsi dire: “Il suolo sarà maledetto per causa tua; ne mangerai il frutto con affanno, tutti i giorni della tua vita” (Gen 3,17).

Al di là del particolare rapporto con il creato, tutto questo vale ugualmente per l’intera esistenza umana. Quando sempre alle origini viene detto alla coppia appena creata, come cosa “molto buona”, “siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta” (Gen 1,28) non è da pensare solo ad una fecondità genitoriale ma ad una fruttificazione della vita in tutte le sue dimensioni; tutto il contrario dell’inerzia, della rassegnazione, della chiusura, ma passione, generosità, disponibilità, servizio, dedizione, altruismo, accoglienza ecc.: partecipazione operosa alla creazione!

 

Sono la qualità e lo stile di vita che ci vengono prospettati dall’immagine della donna forte, il cui valore è superiore a quello delle perle; ma questo valore non risiede nel suo fascino e nella sua bellezza, quasi fosse lei al centro dell’attenzione. Essa infatti è tutta per la felicità del marito, dedita alla casa e alla famiglia, non però in maniera autoreferenziale, perché al tempo stesso lei “apre le sue palme al misero, stende la mano al povero”. La sua forza nasce dal timore di Dio, mentre verso di lei non mancheranno il riconoscimento e la riconoscenza da parte di tutti. Certamente un bel quadro, dove la donna esprime tutte le sue molteplici prerogative, a fronte dell’uomo a dimensione unica o quasi.

È il messaggio di solerzia che ci viene anche dal passo del vangelo, inquadrato sempre nella visione escatologica o di compimento del disegno di Dio: si ricalca in qualche modo la partecipazione al banchetto nuziale delle vergini sagge, mentre le stolte sembrano trovare un parallelo in colui che va a sotterrare il talento. Per la verità, quando si parla di talenti, siamo portati ad intendere doni, carismi, prerogative personali da mettere a frutto e di cui rispondere singolarmente. In realtà la parabola ha un orientamento sociale e comunitario: i talenti che siamo e che ci vengono dati vanno investiti per il “bene comune” in fedeltà allo spirito della consegna e dell’affidamento che ci fanno compartecipi, ciascuno secondo le proprie capacità, della stessa amministrazione generale della casa, come promossi a figli.

Questa promozione alla libertà dei figli di Dio non da tutti è bene accolta: basterebbe pensare al fratello maggiore del figlio prodigo, che rimane in casa con spirito di schiavo e di autolimitazione a differenza della libertà sfrenata del fratello. È l’atteggiamento di paura davanti a Dio che si rivela particolarmente nella parabola dei talenti, dove la severità e il rigore del padrone paralizza il detentore dell’unico talento, mai fatto proprio o stimato nella propria disponibilità, ma qualcosa di cui soltanto rendere conto e da riconsegnare. Quasi con soddisfazione e quasi con aria di sfida ecco come si esprime: “Ecco ciò che è tuo”. Nell’immagine di Willem de Poorrer riferibile a lui, è facile cogliere un’espressione di autocompiacimento!

Contradditorio comportamento e confessione non richiesta la sua, sulla base della quale però viene giudicato come “malvagio e pigro”, privo di fiducia e di iniziativa: possiamo vederci tutti coloro che si contentano delle cose come stanno e si fanno grandi nel mettere al sicuro quanto hanno ricevuto conservandolo pari pari, senza la preoccupazione di incrementarlo e condividerlo come bene comune. Se il talento che  gli viene tolto è dato a chi ne ha ricevuto di più, è segno che l’interesse è per l’insieme, mentre alla luce di questo particolare forse possiamo capire meglio questo paradosso: “Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha”: chi ritiene di considerare proprio e al tempo stesso per tutti quanto riceve, dimostra di meritare ancora di più; chi invece sente che quanto gli viene dato non è affatto cosa anche propria, e quindi di fatto non ce l’ha, non merita neanche di mantenere a marcire sotto terra quanto gli era stato affidato.

Infatti c’è modo e modo di “avere”: o come puro esclusivo possesso o nella gratuità, come quando ci viene detto della grazia del Signore Gesù Cristo, che “da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor 8,9). E a questo proposito non possiamo non ascoltare le parole dell’apostolo Giacomo: “Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano?” (Gc 2,5). Questi talenti e questa ricchezza altro non sono che la fede e l’eredità del regno, da accrescere nella comunicazione. È la logica diversa del Regno di Dio!

Da notare come il “servo malvagio e pigro” viene alla fine riprovato come “servo inutile” da ricacciare nelle tenebre. Ma in tutt’altro senso questa espressione la troviamo in Luca 17,10, quando ci dice: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Tutto quindi dipende da come si interpreta e si vive la fede: se in maniera viva e feconda o se passivamente come riflesso condizionato dentro un sistema religioso rassicurante e gratificante.

San Paolo ci riporta alla prospettiva escatologica o finale, che ci deve tenere svegli e attenti, infatti sappiamo bene che “il giorno del Signore verrà come un ladro di notte”, e non possiamo lasciarci sorprendere, semplicemente perché ci siamo addormentati nella eccessiva sicurezza e tutto il resto ci sembra solo un sogno tramontato.  (ABS)


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