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1 ottobre 2023 - XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Georg Pencz: La parabola del padre e dei suoi due figli nella vigna (1534-153)

Proprietà privata

 

PRIMA LETTURA (Ezechiele 18,25-28)

Così dice il Signore:
«Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra?
Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso.
E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà».

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 24)


Rit. Ricòrdati, Signore, della tua misericordia.

 

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza;
io spero in te tutto il giorno.

Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
I peccati della mia giovinezza
e le mie ribellioni, non li ricordare:
ricòrdati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore.

Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.

 

 

SECONDA LETTURA (Filippesi 2,1-11)

Fratelli, se c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi.
Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri.
Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:
egli, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre.

VANGELO (Matteo 21,28-32)

 

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».

E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».



In altre parole…

È sulla bocca di tutti che il mondo va alla deriva, senza peraltro sapere cosa meglio fare per rimetterlo in rotta, fino a chiederci col Salmo 10,3: “Quando sono scosse le fondamenta, il giusto che cosa può fare?”. In effetti, disponiamo di soluzioni teoriche e tecniche di ogni tipo - meno di quelle politiche -, ma ancora una volta la salvezza viene da qualche “giusto”, come del resto è sempre stato da Abramo in poi. Viene “sulla via della giustizia”, il che vuol dire che ci coinvolge personalmente, come se fossimo noi i due fratelli che il padre vuol mandare a lavorare nella vigna: quale è la risposta prevalente, quella di dirsi cristiani senza esserlo o quella di esserlo magari dicendo il contrario?

Il fatto è che tra un mondo da salvare e una possibile salvezza c’è ormai un divario incolmabile. Da chi e da cosa in realtà ce l’aspettiamo? Non è un controsenso che mentre si lamenta la deriva del mondo, quello che chiamiamo “mistero della salvezza” venga celebrato “altrove” o al di fuori di un mondo da redimere? Perché queste due sfere sono diventate così estranee e incomunicabili, e tutto sembra risolversi in un universo religioso che parla più che altro della salvezza dell’anima? Non soffriamo forse di schizofrenia della fede?

Se da una parte c’è acquiescenza allo stato di mondi separati e paralleli, dall’altra c’è chi mette sotto accusa Dio stesso, che lascerebbe andare tutto alla deriva, senza muovere un dito per salvarci. Ecco allora il profeta Ezechiele prendere la parola per riferirci ciò che dice il Signore quasi a sua difesa: “Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra?”. A questo confronto non possiamo sottrarci, per sapere come stiano effettivamente le cose e quale possibilità di salvezza sia comunque offerta. Perché da parte nostra possiamo sempre allontanarci dalla giustizia e commettere il male che porta alla morte, ma al tempo stesso ci è dato modo di ravvedersi dalla propria malvagità per compiere ciò che è retto e giusto, e così tornare a vivere. Davanti a questo bivio non possiamo rimanere inerti.

Il fatto è che questa legge fondamentale di vita è come diluita in moralismi vari, da cui rifuggiamo, senza peraltro andare al cuore del problema del bene e del male quale norma intrinseca dell’esistenza, al di là degli stessi pronunciamenti e delle proprie momentanee intenzioni. È l’agire reale che conta e sono le azioni che nascono dal cuore: “L'uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore” (Lc 6,45). È una legge  che ha questa precisa formulazione: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21). A patto che la volontà del Padre non si banalizzi in un pragmatismo efficientista, come spesso succede!

Se vogliamo la rappresentazione plastica di questa necessità umana di scelta e di decisione, di salvezza o di perdizione, ce la offre Gesù quando sottopone i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, singolari interlocutori, a questo dilemma: “Che ve ne pare?”. Devono rispondere alla domanda di quale dei due figli ha compiuto la volontà del padre che voleva mandarli a lavorare nella vigna: quello che non ne aveva voglia ma poi ci va, o quello che si dichiara ben disposto ma poi non ci va? La risposta è formalmente quasi d’obbligo.

Ma quando Gesù stesso passa all’applicazione della loro risposta che li chiama in causa, la verità delle cose è meno accettabile.  Si sentono dire qualcosa che li mette in discussione e li obbliga a riconoscersi nel figlio che dice sì a parole ma poi disobbedisce nei fatti, mentre vengono sopravanzati da quelli con condannati per il loro no: ”I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”. Come discriminante c’è la predicazione di Giovanni, a cui pubblicani e prostitute hanno dato ascolto, mentre essi non si sono minimamente preoccupati di credergli.

Ci viene fatto presente che “Giovanni venne sulla via della giustizia”: quella di una conversione coerente e fattiva sul piano delle relazioni umane e non solo interiore. Siamo in un tempo in cui tutto sembra spiritualizzato e sacralizzato al massimo, ma all’atto pratico tutto è vanificato, e il mistero della salvezza celebrato di continuo è come sale che ha perso sapore ai fini di una incidenza storica del messaggio evangelico. È il rimprovero che Gesù fa ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo, di rimanere rinchiusi in una bolla di ritualismo, di perbenismo, di formalismo, pur avendo sentite e viste le stesse cose di prostitute e pubblicani.

In realtà, come vengono recepite queste parole nel contesto pastorale in cui risuonano? Dov’è la capacità e la forza dell’annuncio per indurre a ravvedimenti effettivi di quanti per varie ragioni dicono “no”? E dov’è il coraggio di denunciare l’ipocrisia e l’inganno di quanti sono per il “sì”?  È incredibile come tutto avvenga quasi in un altro emisfero. Siamo lontani da quanto san Paolo si aspetta dalla chiesa di Filippi, qualcosa però che è possibile anche a noi in condizioni pastorali più o meno favorevoli: sperimentare in Cristo consolazione, conforto, comunione di spirito, in modo da avere un medesimo sentire ed essere unanimi e concordi.

Ci è data la capacità di avere in noi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù, che non sono quelli che noi attribuiamo a lui secondo il nostro sentimentalismo devozionale, quanto quelli che lo portano dalla condizione di Dio alla condizione di servo, dall’essere come Dio a diventare simile agli uomini, in una obbedienza estrema alla volontà del Padre che lo porta fino alla morte, ma anche al punto di ricevere un Nome “che è al di sopra di ogni nome”, e nel quale soltanto c’è salvezza: “In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12). Quale rilievo ha questa verità nella nostra coscienza ecclesiale e nella nostra prassi pastorale? (ABS)


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