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27 agosto 2023 - XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Pieter Paul Rubens: Cristo consegna le chiavi del cielo a San Pietro (1614)

Berlino, Gemäldegalerie

 

 

PRIMA LETTURA (Isaia 22,19-23)

Così dice il Signore a Sebna, maggiordomo del palazzo:
«Ti toglierò la carica,
ti rovescerò dal tuo posto.
In quel giorno avverrà
che io chiamerò il mio servo Eliakìm, figlio di Chelkìa;
lo rivestirò con la tua tunica,
lo cingerò della tua cintura
e metterò il tuo potere nelle sue mani.
Sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme
e per il casato di Giuda.
Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide:
se egli apre, nessuno chiuderà;
se egli chiude, nessuno potrà aprire.
Lo conficcherò come un piolo in luogo solido
e sarà un trono di gloria per la casa di suo padre».


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 137)


Rit. Signore, il tuo amore è per sempre.

 

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.

Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.

Perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile;
il superbo invece lo riconosce da lontano.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani.

 

 

SECONDA LETTURA (Romani 11,33-36)

O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!
Infatti,
chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore?
O chi mai è stato suo consigliere?
O chi gli ha dato qualcosa per primo
tanto da riceverne il contraccambio?
Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen.


VANGELO (Matteo 16,13-20)

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti».

Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».

E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.



In altre parole…

 

Nonostante pronunciamenti e testimonianze in contrario, l’immagine di una chiesa piramidale e gerarchica, strutturata come centro di potere, è quasi incancellabile nell’immaginario comune. E, del resto, le tante variazioni storiche del suo modo di essere si misurano proprio in termini di potere: di come lo ha incarnato. Di qui la necessità di una presa di coscienza di quale è la vera posta in gioco, se vogliamo mantenerci alla sequela di Cristo Gesù, che ha segnato la via dell’umiltà e della povertà. Basterebbe ripensare alle tentazioni nel deserto, alla lotta che c’è tra Dio e mammona, tra chi è la Verità in persona e il Padre della menzogna e Principe di questo mondo. Del resto tutto il vangelo è un addestramento a questo conflitto, che va al di là dei meccanismi sociali e istituzionali.

Le poche parole che il profeta Isaia pronuncia a nome del Signore parlano di destituzione e di sostituzione nel Palazzo, probabilmente per conflitto di interessi e per un uso strumentale del potere conferito, che perciò viene trasferito in altre mani.  Tutto questo all’interno del Popolo di Dio e per volontà del Signore: quindi un cambiamento di immagine è previsto e può essere voluto dall’alto, tanto da diventare necessario quando non c’è corrispondenza tra l’esercizio del potere e la sua finalità intrinseca:  essere “padre per gli abitanti di Gerusalemme” e ricevere “la chiave della casa di David”. Avere a che fare con il Regno di Dio che viene!

Ci viene fatta capire la natura teologica del potere, qualcosa a cui devono attenersi prima di tutto coloro che ne sono investiti. “Se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire”: questa definitività sta a denotare l’origine del potere delle chiavi e a ridimensionare il ruolo di chi è chiamato ad esercitarlo, perché non può appropriarsene in assoluto e in esclusiva, ma deve farsene umile “servo”, come del resto tante formule rituali denunciano. L’esercizio di un potere ricevuto non può essere arbitrario come se fosse assolutamente proprio, ma è sempre relativo alla fonte da cui esso proviene in ordine alle sue finalità intrinseche.

Il modo di agire di Gesù è la prova evidente di come una investitura vada vissuta, né da dominatori né da populisti. Ora lo troviamo a Cesarea di Filippo, interessato a sapere come la gente che lo segue percepisca la sua presenza e la sua azione: a parte ascoltare le sue parole e vedere quello che egli fa, chi ritenga che egli sia! I modelli di riferimento sono tutti al passato, in continuità con la tradizione profetica di Israele. Ma è chiaro che tutto questo gli interessa relativamente, almeno non quanto è interessato a sapere a che punto è la consapevolezza dei suoi discepoli riguardo alla sua persona, tant’è che li interpella bruscamente: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Certamente non si aspetta una presa di posizione chiara e definitiva, ma è importante che la domanda rimanga sospesa e tenuta presente dai diretti interpellati, fino a noi, chiamati in causa non solo per riferire le opinioni della gente, ma soprattutto per pronunciarsi nei suoi confronti, e far intendere noi chi egli sia alla gente.

Cosa che fa Pietro con tutta sincerità, ma sempre nei limiti della sua consapevolezza. Egli lo fa anche a nome dei suoi condiscepoli e anche a nome nostro, ma tenendo presente che la sua confessione è più un traguardo da raggiungere con la fede del cuore che una semplice fede delle parole. In ogni caso, Gesù sembra prendere per buona la confessione di Pietro, con tutte le precisazioni del caso: in quella sua dichiarazione - “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” - c’è sì l’attuale presa di coscienza di Pietro, ma c’è soprattutto la rivelazione interiore del Padre che è nei cieli, perché non basterebbero  “né la carne né il sangue” - la propria condizione umana – a consentire un pronunciamento di ordine così diverso. È l’ordine di “quelli che credono nel suo nome, i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d'uomo, ma sono nati da Dio” (Gv 1,12-13). Non dobbiamo dimenticare di muoverci in questo ordine di cose!

E se la confessione di Pietro è prospettica, a maggior ragione lo sono la promessa e l’investitura di Gesù nei suoi confronti: la sua comunità sarà edificata come roccia su Pietro e con Pietro, in modo che possa resistere alle potenze avverse; a Pietro personalmente saranno consegnate “le chiavi del regno dei cieli”, quando già sappiamo quali sono le condizioni e le regole per entrarvi, e quando è chiaro che questa consegna è venuta da chi dice di sé: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo” (Gv 10,9). Siamo molto lontani da una forma di potere totalizzante e assoluto, quanto invece vicini alla responsabilità e cura delle singole pecore e del gregge. Ma come potrà cambiare l’immagine stereotipa della chiesa ad extra, se prima non cambia l’immagine reale di quella ad intra? Se poi vogliamo focalizzarci sul potere di legare e di sciogliere, dobbiamo anche chiederci come mai consideriamo prevalentemente il “legare”, in controtendenza con l’intero vangelo!

Quando viene ordinato ai discepoli di “non dire ad alcuno che egli era il Cristo”, la raccomandazione non ha perso di valore: si tratta di non banalizzare e di riconsegnare alle opinioni della gente quanto nel Cristo si avvera al di là di schematismi e precomprensioni superficiali. Davanti a quanto il Padre realizza mediante il Cristo, ci sarebbe solo da mantenere e tenere vivo il sentimento a cui si lascia andare Paolo nella lettera ai Romani, dopo aver cercato di comprendere e far comprendere il disegno di salvezza di Israele e delle Genti: c’è l’abisso di ricchezza della sapienza di Dio, l’insondabilità delle sue decisioni e l’indecifrabilità delle sue vie. Ma la coscienza della nostra limitatezza a recepire tanta ricchezza, non ci dispensa dal desiderare e dall’accogliere il “pensiero del Signore” così come ci viene comunicato e possiamo recepirlo come terreno buono per il seme della Parola. Di fatto, è trovarsi davanti a tanta ricchezza che ci rende felicemente poveri! (ABS)


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