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10 settembre 2023 - XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

 

Jean-Baptiste-Siméon Chardin: Il Benedicite (prima del 1740)

Parigi, Museo del Louvre

 

PRIMA LETTURA (Ezechiele 33,1.7-9)

Mi fu rivolta questa parola del Signore:

«O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia.

Se io dico al malvagio: “Malvagio, tu morirai”, e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te

Ma se tu avverti il malvagio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte dalla sua condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato».

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 94)


Rit. Ascoltate oggi la voce del Signore.

 

Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.

Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.

Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere».

 

 

SECONDA LETTURA (Romani 13,8-10)

Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge.

Infatti: «Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai», e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: «Amerai il tuo prossimo come te stesso».

La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità.

 

 

VANGELO (Matteo 18,15-20)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.

In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.

In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».



In altre parole…

Siamo soliti parlare di chiesa “Popolo profetico” o di ruolo profetico all’interno del Popolo di Dio. Siamo meno portati a pensare che il profeta è chiamato anche ad essere “sentinella per la casa di Israele”. Attribuiamo alla Parola di Dio molte funzioni, ma forse meno quella di “correggere”, di richiamare, di risvegliare davanti al rischio di mancare la salvezza: “Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2Tm 3,16). Se fondamentalmente la Parola di Dio ha una sua destinazione pubblica e storica verso il mondo, ad extra, essa ha anche una funzione costruttiva all’interno della comunità, ad intra.

E questo non solo come avvertimento per i singoli, ma come esigenza comunitaria, secondo quella che chiamiamo “correzione fraterna”, qualcosa che si preferisce evitare, perché inteso come intervento personale e correttivo piuttosto che come richiamo ad una fedeltà di fondo a quanto è insieme condiviso e professato. Per cui, chi la esercitasse, dovrebbe essere il primo a rinnovare questa fedeltà: la “correzione fraterna” è di suo un atto comunitario, anche quando avvenisse tra due singole persone. È una precisa e delicata assunzione di responsabilità dei singoli e del tutto.

È quello che possiamo comprendere dal passo del profeta Ezechiele, “posto come sentinella”, chiamato dalla parola del Signore ad avvertire Israele, e quindi suo portavoce nei confronti di chi deve ravvedersi dalla propria condotta malvagia. Richiamarlo o non richiamarlo può non ottenere l’effetto desiderato, ed il malvagio può perdersi comunque. Ma non è la stessa cosa per chi invece o interviene a riprenderlo o se ne dispensa: egli può subire la stessa sorte o invece essere salvato. L’accento non è posto sul peccatore, che è lasciato alla sua decisione, ma sul peccato da togliere come responsabilità di tutti: il nemico non è il peccatore, ma il peccato!

Per questo, l’iniziativa del perdono deve essere presa da chi subisce un torto, una offesa, nei confronti di chi ha qualche colpa contro di noi, dove poter ravvisare qualche motivo offertogli da parte nostra: ecco perché si richiede una chiarificazione a quattr’occhi, e quando non fosse sufficiente si può fare ricorso a una o due persone che siano testimoni di come le cose dovrebbero essere mandate, più che di come sono andate. Davanti ad un nuovo fallimento, si può fare appello alla comunità nel suo insieme non come tribunale di giudizio, ma per interrogarsi apertamente su quanto richiede la fedeltà di ciascuno per il bene comune.

Anche in questo caso però si può andare incontro al fallimento, ed allora nasce il problema di come rapportarsi al fratello o alla sorella che hanno qualche colpa verso di noi, che risulteremmo perciò i veri non perdonati, pur volendo perdonare.  Abbiamo dalle parole del vangelo questa precisa indicazione tutta da decifrare: “Sia per te come il pagano e il pubblicano”. Non una condanna di esclusione o di scomunica, ma una semplice presa d’atto della posizione immodificabile in cui quel fratello o quella sorella si trovano per loro scelta: da rispettare come persone, senza chiusure e con la disponibilità ad una futura accoglienza.

Con sorpresa, infatti, dobbiamo prendere coscienza che il potere di sciogliere e di legare, dato a Pietro con la consegna delle chiavi, è anche dato a noi: è il potere di perdonare se e quando possibile, e di non condannare quando il perdono non è praticabile: “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6,37). Quando si dice “sulla terra e in cielo”, ci viene ricordato che il perdono è un agire teologale, che ha origine e fine nella volontà del Padre, come Gesù ci ha insegnato a pregare! E quello che dobbiamo essere ce lo dice chiaramente: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,36).

A parte il caso della “correzione fraterna”, il perdono è una costante della vita del credente e della chiesa, perché si creino le condizioni di accordo almeno fra due o tre, in modo da poter chiedere al Padre qualunque cosa, che egli ci concederà. E questo perché, ci dice ancora Gesù, “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”. “Nel suo nome” non vuol dire necessariamente rimanere in ambito religioso o cultuale, ma vivere questa unione nelle pieghe dell’esistenza, così come il Benedicite di Jean-Baptiste-Siméon Chardin ci illustra efficacemente. Per la verità siamo in tempi cui cultualismo, celebrativismo, liturgismo fine a se stesso dominano la scena come valori primari della vita cristiana, da cui poi si fa derivare una spiritualità al tempo stesso intimista e di facciata. Essere uniti nel Nome di Cristo sembra ridotto ad appartenenza o a conformismo, mentre dovrebbe essere il DNA della fede e della vita della chiesa: qualcosa sempre da cercare e da raggiungere!

Per fortuna c’è san Paolo che ci riporta a questi livelli di vita, quando ci svincola da ogni forma di dipendenza e ci riporta all’unico necessario e a ciò che rimane per sempre, la carità: “Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge”. Tutt’altro che sentimentalismo, perché essere debitori solo di amore è qualcosa che nasce unicamente da dentro e dalla nostra libertà nella sua espressione massima: ”Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio” (1Pt 2,16). Si potrebbe dire che il metro di misura e di qualità della vita della chiesa e di ogni comunità è appunto la libertà che si esprime nella volontà di perdono! Sapremmo dire a che punto siamo in questo senso? (ABS)


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