25 giugno 2023 - XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino: Madonna del Passero (1615-1616)

Bologna, Pinacoteca Nazionale

PRIMA LETTURA (Geremia 20,10-13)

Sentivo la calunnia di molti:
«Terrore all’intorno!
Denunciatelo! Sì, lo denunceremo».
Tutti i miei amici aspettavano la mia caduta:
«Forse si lascerà trarre in inganno,
così noi prevarremo su di lui,
ci prenderemo la nostra vendetta».
Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso,
per questo i miei persecutori vacilleranno
e non potranno prevalere;
arrossiranno perché non avranno successo,
sarà una vergogna eterna e incancellabile.
Signore degli eserciti, che provi il giusto,
che vedi il cuore e la mente,
possa io vedere la tua vendetta su di loro,
poiché a te ho affidato la mia causa!
Cantate inni al Signore,
lodate il Signore,
perché ha liberato la vita del povero
dalle mani dei malfattori.

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 68)

Rit. Nella tua grande bontà rispondimi, o Dio.

Per te io sopporto l’insulto
e la vergogna mi copre la faccia;
sono diventato un estraneo ai miei fratelli,
uno straniero per i figli di mia madre.
Perché mi divora lo zelo per la tua casa,
gli insulti di chi ti insulta ricadono su di me.

Ma io rivolgo a te la mia preghiera,
Signore, nel tempo della benevolenza.
O Dio, nella tua grande bontà, rispondimi,
nella fedeltà della tua salvezza.
Rispondimi, Signore, perché buono è il tuo amore;
volgiti a me nella tua grande tenerezza.

Vedano i poveri e si rallegrino;
voi che cercate Dio, fatevi coraggio,
perché il Signore ascolta i miseri
non disprezza i suoi che sono prigionieri.
A lui cantino lode i cieli e la terra,
i mari e quanto brùlica in essi.

 

SECONDA LETTURA (Romani 5,12-15)

Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato.

Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.

Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti.

 

VANGELO (Matteo 10,26-33)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:

«Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.

E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.
Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!

Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».

 

In altre  parole…

Ascoltare o leggere le parole del profeta Geremia col “senso della fede” ci rimanda d’istinto alla passione che ha attraversato tutta l’esistenza terrena del Signore Gesù, e che poi si proietta su tutta la nostra vicenda umana: qualcosa che è centrale nell’apparato liturgico, ma molto meno nella coscienza e nella memoria della comunità ecclesiale. In una delle preghiere eucaristiche diciamo che Gesù “consegnandosi volontariamente alla passione, prese il pane e lo spezzò”, per poi aggiungere di fare questo in memoria di lui: cosa che viene regolarmente fatta, ma non al punto da dare forma alla vita di una comunità e quindi alla chiesa stessa: la memoria della “passione” dice più qualcosa di cui usufruiamo che quanto dovremmo annunciare e testimoniare nel mondo. È successo che “il grande mistero della pietà” (1Tm 3,16) è stato portato a proporzioni individuali ed intimiste, in una sorta di armonia prestabilita tra celebrazioni visibili dei misteri e vita cristiana dei singoli, non a caso chiamati “praticanti” ed osservanti di precetti.

Geremia ci aiuta ad entrare nel vivo della “passione” che è del Figlio dell’uomo, ma che attraversa tutta l’esistenza umana di sempre, alla ricerca “della libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,21). Nessuna meraviglia che una persecuzione venga da amici che si aspettano il cedimento e la caduta per cantare vittoria dell’ordine prestabilito; che inventano di tutto per trarre in inganno e per avere la propria rivalsa su chi non si allinea su posizioni convenzionali. Storia di sempre, in cui una parola di verità provoca violenze e ritorsioni a non finire. Ma punto di forza in questo caso è la certezza che colui per il quale si agisce e si parla è al nostro fianco; colui a cui potersi rivolgere per avere soccorso e a cui affidare la propria causa; a cui va la lode e un rendimento di grazie, “perché ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori”. Sono tante nel mondo le persone che lottano e soffrono per la verità; l’esistenza cristiana ci consente di farlo con consapevolezza e in solidarietà. Così si capiscono le parole di Paolo in Colossesi 1,24: “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa”.

Chiamando i discepoli alla sua sequela, Gesù non ha fatto altro che prepararli a condividere la sua stessa passione di verità, con questa avvertenza: “Un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone; è sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro e per il servo come il suo padrone. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più i suoi familiari” (Mt 10, 24-25). Ecco perché, dopo aver prospettato loro una condizione di pecore mandate in mezzo a lupi (Mt 10,26) li incoraggia e ci incoraggia a non tirarsi indietro. Sappiamo a cosa si va incontro, ma sappiamo soprattutto che tutto è per la verità che porta a libertà! È un linguaggio a cui siamo poco abituati, ma poi le situazioni della vita ci aprono gli occhi.

Ecco allora Gesù che ci esorta a non aver paura degli uomini, ma a venire allo scoperto per rendere di pubblica ragione quanto ci è detto nel segreto; per portare alla luce quanto ci è suggerito nelle tenebre che ci avvolgono; per proclamare dalle terrazze quanto ci è sussurrato all’orecchio. A non aver paura neanche di quelli che possono uccidere il corpo ma non l’anima, avendo piuttosto timore di chi ha potere sull’anima e sul corpo. Che è poi il Padre dei cieli, che se ha cura anche di due passeri che valgono un soldo, a maggior ragione penserà a noi che valiamo più di molti passeri, e di cui conosce anche il numero dei nostri capelli. La Madonna del passero del Guercino non fa riferimento a questo passo del vangelo, ma quel bambino divertito dalla presenza di quell’uccellino sulle dita della mamma è un richiamo agli uccelli del cielo e ad un mondo liberato dal male: “Non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?” (Mt 6,26).

Si tratta in concreto di riconoscere il Figlio dell’uomo davanti agli uomini per quello che effettivamente è e non secondo qualche sua immagine di nostra creazione, e condividere lo stesso rapporto col Padre che egli ha vissuto; ed è così che egli  riconosce anche noi davanti al Padre per consegnarci a lui, mentre saremmo disconosciuti e rinnegati se noi lo rinneghiamo davanti agli uomini. Tutto questo vale, anche se non ce ne rendiamo conto, come del resto è comprovato dalle parole del Giudizio finale in Matteo 24.

Difficile capire come queste letture vengano messe assieme, ma un filo che le lega c’è sempre: e così l’impegnativo passo della lettera ai Romani ci porta a pensare che una lotta ed una “persecuzione” ce la portiamo dentro, prima ancora di ogni manifestazione e drammatizzazione sociale: ed è la potenza del peccato che ci abita: è la morte che ne consegue e che è l’ultimo nemico da vincere. In questa realtà spogliata della gloria di Dio e refrattaria alla sua voce siamo di fatto immersi da stranieri lontani da una Patria, o perduta o da trovare! E questo vale per tutti, indipendentemente dalla promulgazione o meno della Legge di Mosè da osservare: è la condizione umana nel suo complesso di cui faremmo bene a tenere conto, non pensando che il male sia solo quello che ci sopravviene o quello fatto da noi, mentre è in primo luogo quello di cui siamo impastati e da cui appunto doverci liberare.

In realtà, la morte regna anche su quelli che non hanno peccato “a somiglianza della trasgressione di Adamo”, e quindi non è il suo peccato che noi ereditiamo ma le conseguenze che ne derivano. Ma soprattutto ci viene aperto uno spiraglio di speranza e di futuro quando ci viene detto che questo Adamo che ha trasgredito altri non è che la “figura di colui che doveva venire” (potremmo quasi dire una brutta copia dell’uomo nuovo) e mediante il quale vennero “grazia e verità” (Gv 1,17): ”Se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti”. È quanto Paolo ripeterà in Romani 5,20: “La legge poi sopraggiunse a dare piena coscienza della caduta, ma laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia”.  Ma quanto e quante di queste verità strutturano la nostra coscienza di fede ed ecclesiale? (ABS)


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