Koinonia Agosto-Settembre 2021


LEGGENDO LA POESIA DI EUGENIO MONTALE “IN LIMINE”

 

“In limine”

 

Godi se il vento ch’entra nel pomario

vi rimena l’ondata della vita:

qui dove affonda un morto

viluppo di memorie,

orto non era, ma reliquario.

 

Il frullo che tu senti non è un volo,

ma il commuoversi dell’eterno grembo;

vedi che si trasforma questo lembo

di terra solitario in un crogiuolo.

 

Un rovello è di qua dall’erto muro.

Se procedi t’imbatti

tu forse nel fantasma che ti salva:

si compongono qui le storie, gli atti

scancellati pel giuoco del futuro.

 

Cerca una maglia rotta nella rete

che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!

Va, per te l’ho pregato, – ora la sete

mi sarà lieve, meno acre la ruggine…

 

Eugenio Montale

Ossi di seppia

 

 

Parafrasi

 

Se il vento che entra nel frutteto vi porta sensazioni vive (odori, suoni, frescura), tu godine. Qui si era (imperfetto: il processo di spegnimento dura da tempo) impantanato un intreccio di morte memorie, non un orto (da oriri = nascere, luogo dove si coltiva), ma reliquario (custodia di cimeli, lasciati a testimonianza di eventi che non esistono più).

 

Il rumore di ali che senti non è dovuto ad un volo d’uccelli, ma alla commozione che prova l’eterno grembo (la potenziale fecondità della terra). Vedi come questo terreno solitario si trasforma in crogiolo (recipiente usato per fondere e plasmare metalli).

 

All’interno dell’alto muro c’è solo un rovello (pensiero ossessivo, angustia, inquietudine). A questo sono ridotti gli eventi che il tempo ha cancellato. Se vai avanti, potresti imbatterti in un’apparizione salvifica: le testimonianze che questo luogo conserva potrebbero ricomporsi grazie all’imprevedibile produttività del tempo che viene.

 

Cerca (qui il Poeta si rivolge forse alla donna amata, forse a se stesso) una maglia rotta nella rete, una possibile via di fuga. Ho pregato perché tu riuscissi a fuggire: la tua fuga renderebbe meno pesante la mia reclusione.

 

Analisi e commento

 

Il pomario recintato è l’esistenza stessa del poeta che si sente prigioniero di memorie che non trasmettono più energia, emozioni, spinta vitale. Un’esistenza che trascorre sull’orma di un passato del tutto spento, che è diventato una mera custodia di reliquie (dal lat. relinquere, lasciare, “ciò che resta”) cioè mere testimonianze, non ricordi (dal lat. re + cor, cordis, “ritorno nel cuore” ).

Dentro c’è un morto viluppo di memorie, un reliquario, il commuoversi dell’eterno grembo, un crogiuolo, un rovello….

Fuori: il vento che rimena l’ondata della vita, il fantasma che ti salva, il giuoco del futuro... Tra dentro e fuori una maglia rotta nella rete…

 

I temi affrontati ricorrono anche in altre poesie:

 

1) il tempo che consuma, logora, esaurisce la forza degli eventi: “… si deforma il passato, si fa vecchio, / appartiene ad un altro…”, spegne la vita: “…così tutto vanisce / in questa poca nebbia di memorie…”,  si ripete eternamente uguale: “… ora i minuti sono eguali e fissi / come i giri di ruota della pompa …”.

2) il tormento che provocano i pensieri (rammarichi, quesiti, nostalgie, rimpianti), riflessioni sterili che non trovano mai soluzione, non suggeriscono stimoli…  “Le cure meschine che dividono / l’anima che non sa più dare un grido”

3) La sensazione che la vera vita si svolge altrove: il vento che attraversa il pomario, così come l’apparente rumore di un frullo d’ali, non sono che fugaci ricordi di sentimenti che non esistono più: “Il vento che nasce e muore / nell’ora che lenta s’annera / suonasse te pure stasera / scordato strumento, / cuore” .

4) C’è, però, anche una speranza: il poeta si rivolge direttamente al suo interlocutore apostrofandolo con un tu: forse la donna amata, forse il lettore, forse una parte di sé, quella capace di poetare, e gli ingiunge: Godi!

Se procedi, prosegue il poeta, se non ti fai trattenere dal rovello, se ti lasci guidare dal sommovimento che il vento e il gemito commosso della terra hanno suscitato in te, potresti imbatterti in una presenza salvifica. Essa si presenterà come un “fantasma”, apparizione evanescente ma tuttavia potente, assolutamente imprevedibile. 

L’azione liberatrice del fantasma consiste nel trasformare il tempo, da custode di sbiadite memorie, in autore di produzioni innovative, così come avviene con i metalli nel crogiolo: “non mai due volte configura / il tempo in egual modo i grani!”. 

Il poeta intravede una possibilità di fuga e con forza sprona il tu a fuggire. Qui sembra impossibile non individuare nel tu una persona, forse Paola Nicoli, la donna amata, forse un interlocutore interiore.

Ingiunge con forza il poeta: Cerca una maglia rotta nella rete, (un varco creato dall’usura, una soglia casuale) e fuggi!  Liberati dalle reliquie, allontanati dal morto viluppo di memorie, spegni il rovello, lasciati andare al gioco del tempo. Vorrei prima di cedere segnarti / codesta via di fuga… dice in Casa sul mare.

Egli confessa perfino di avere pregato perché questa parziale liberazione potesse realizzarsi: “e questo tu potrai, chissà, non io”.  Se la donna amata (o la parte ancora viva del poeta) riuscirà a varcare la soglia e liberarsi, egli, pur restando indietro, si sentirà appagato e potrà sopportare meglio la sua sete (di risposte? di esperienze? di vita?) e la ruggine (fisica o psicologica) che lo tiene bloccato.

Si può forse cogliere, in questa scissione interiore, la separazione di un io imprigionato nel rovello, da un io “poeta” (da poiéo in greco “faccio”, “produco”), libero e creatore. Il fatto che questa poesia, unica scritta in corsivo, sia collocata come prima nell’opera prima di Montale (Ossi di seppia), può suffragare questa ipotesi.

        

Veniamo ora al titolo: In limine, “Sulla soglia”. Limen, in latino, è il limitare di un edificio, la soglia. Se Montale avesse messo come titolo il solo nominativo, limen, avremmo potuto pensare che si riferisse alla “maglia rotta nella rete”, unico varco aperto nel recinto che chiude il pomario. Così interpretato il titolo avrebbe fatto riferimento soprattutto all’esortazione a fuggire.

Ma il titolo della poesia è un complemento di stato in luogo: In limine, “sulla soglia”, e quindi viene meglio inteso come riferito ad una situazione di stallo che è descritta in tutto il componimento poetico: una difficoltà ad uscire dal lembo di terra recintato nel quale si verificano incursioni più o meno reali: il vento, l’ondata della vita, il frullo d’ali, il commuoversi dell’eterno grembo, il fantasma che ti salva.

Uno stato di prigionia sofferta (la rete che ci stringe) causata da una difficoltà interiore e non da un’autorità esterna. La prigione è un luogo di cose morte che rimpiangono la vita, un mondo sterile che è però animato da un incontenibile desiderio di produrre (grembo, crogiolo…).  Dall’inizio alla fine, il prigioniero sembra vivere nella situazione di chi “sta sulla soglia”, desideroso di varcarla, tuttavia incapace di compiere in prima persona il passo (per te l’ho pregato).

In Casa sul mare questo motivo è ancora più esplicito: Penso che per i più non sia salvezza, / ma taluno sovverta ogni disegno, / passi il varco, qual volle si ritrovi.

La divaricazione che si è realizzata tra l’interno e l’esterno è così grave da provocare una scissione di personalità: se è auspicabile che una parte possa riuscire a fuggire, è altrettanto scontato che l’altra parte non ce la farà e che si accontenterà del sollievo che le provoca la liberazione della prima.

E’ questo il rovello che attanaglia il poeta: stare in limine, vivere la situazione conflittuale di chi non sa, non può decidersi a varcare la soglia che lo separa dalla libertà. Più che uno stato in luogo, è un moto in luogo, una tensione dolorosa tra una parte di sé che vuole fuggire e una che non sa, non può farlo.

L’insegnamento di Montale è, però, ancora più profondo: egli ci fa capire che il limen non è una semplice linea di demarcazione rispetto alla quale potremmo restare indifferenti, ma si fa sentire nel momento in cui ci stringe, ci provoca attrazioni e resistenze, suscita rovelli, determina sofferenza.

Si può trascorrere una vita in un recinto chiuso senza avvertire alcun disagio, senza che nasca il desiderio di evadere, il bisogno di fuggire. Si può varcare la soglia dieci volte al giorno senza sentirla mai come soglia. Quando però il recinto si fa stretto, oppure al contrario, quando sentiamo la nostalgia di rientravi, ecco che la soglia si fa presente in noi con tutta la sua forza di discriminazione.

In “Intenzioni” (da “Intervista immaginaria”) il poeta scrive: “Mi pareva di vivere sotto una campana di vetro, eppure sentivo di essere vicino a qualcosa di essenziale. Un velo sottile, un filo appena mi separava dal quid definitivo”. Il pomario montaliano, attraversato da presenze che entrano, rimenano, risuonano, procedono, si imbattono, fuggono, evoca il vissuto di chi “sente la soglia” non soltanto perché soffre della costrizione della quale essa è causa, ma anche perché un ostacolo ineffabile, o, quanto meno, oscuro, gli impedisce di varcarla.

 

Anna Marina Storoni Piazza

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