Koinonia Agosto-Settembre 2021


Di mons. Bettazzi ricordiamo la lettera al segretario del PCI Enrico Berlinguer in spirito di dialogo e di convergenze necessarie su questioni vitali.   Lo facciamo con le parole di Vannino Chiti dal suo ultimo libro “Il destino di un’idea e il futuro della sinistra - PCI e cattolici una radice della diverità” (Guerini e Associati, 2021).

 

Il dialogo di Berlinguer con il vescovo Bettazzi

 

    Monsignor Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, nel luglio del 1976, aveva indirizzato al segretario del Pci una lettera pubblica nella quale - in spirito di dialogo, come sottolineava - si affrontavano le questioni generali dei rapporti tra marxismo, ideologia antireligiosa, e Pci. In quest’ultimo, per le sue battaglie a favore della giustizia sociale, si riconoscevano anche tanti cattolici.

Allo stesso tempo il vescovo chiedeva di non ostacolare, esplicitamente o implicitamente, istituzioni religiose che, fin dalla loro origine, si erano dedicate a rispondere ai bisogni delle persone più povere ed emarginate.

La risposta di Berlinguer alla lettera di monsignor Bettazzi - nell’ottobre dell’anno successivo - si inseriva a pieno titolo nel fervore del dibattito che attraversava il cattolicesimo italiano. Il mondo cattolico, come entità politica autonoma e unitaria, stava scomparendo.

L’intervento segnò una svolta nella concezione del partito, nei suoi rapporti con il marxismo e con le fedi religiose. È un’innovazione troppo spesso sottovalutata, che cambiava uno dei fondamenti del partito nuovo ereditato da Togliatti.

 

Mi preme sottolineare ancora questo aspetto, che rappresenta uno dei cardini del ragionamento del libro: sviluppando un’impostazione che riguardava i rapporti con i cattolici, i comunisti italiani si misuravano con i nodi del partito, con l’archiviazione di ogni visione residua di una sua funzione totalizzante nella società e con il marxismo, posto a base della sua ideologia.

Berlinguer, nella sua risposta, non si limitò ad assicurare il riconoscimento del valore delle opere sociali cattoliche e a garantirne i legittimi spazi di presenza: scelse di confrontarsi soprattutto sul tema centrale posto dal vescovo.

 

È forse esatto dire [...] che il Partito Comunista Italiano come tale, e cioè in quanto partito, organizzazione politica, professa esplicitamente l’ideologia marxista, come filosofia materialistica ateistica? Proprio per i chiarimenti sopra dati risponderei di no [... ] nel Partito Comunista Italiano esiste e opera la volontà non solo di costruire e di far vivere qui in Italia un partito laico e democratico, come tale non teista, non ateista e non antiteista; ma di volere anche, per diretta conseguenza, uno Stato laico e democratico (anch’ esso dunque non teista, non ateista, non antiteista. (in Rinascita, n.40, 14 ottobre 1977)

 

    Due anni dopo, nel 1979, al XV congresso del Pci, venne cambiato l’articolo 5 dello statuto: l’adesione al partito si sarebbe fondata esclusivamente sulla accettazione del suo programma, senza più riferimenti al marxismo-leninismo come ideologia guida. Il partito politico non era più il custode dell’ortodossia marxista o il braccio secolare di un dogma filosofico.

Il marxismo come metodo di analisi delle società capitalistiche e scienza storico-sociale poteva essere accolto e utilizzato, ma non costituiva il riferimento esclusivo, né era confinato in un’interpretazione datata, chiusa a verifiche, sviluppi, cambiamenti.

La fase del dialogo tra comunisti e cattolici, sviluppatasi nella prima metà degli anni Sessanta, era superata: si era di fronte ad altre urgenze e si erano realizzate altre condizioni per agire insieme. Non si trattava più di rispettare i distinti valori di cui si era portatori, ma di costruirne di comuni nel campo sociale e politico, di individuare un metodo di lettura della complessità delle società e del mondo che consentisse di elaborare un progetto di cambiamento.

La Chiesa, si è visto, al convegno della Cei aveva assunto l’impostazione di non indicare ricette economiche e politiche: spettava ai singoli credenti dotarsi di strumenti teorici per cogliere il male nella sua dimensione storica e per definire obiettivi, alleanze, azioni per costruire una convivenza più degna e giusta.

Esistevano dunque le premesse per costruire anche in Italia un grande partito di sinistra, capace di unire tutti i progressisti, credenti e non credenti. Ci si arriverà, ma molti anni dopo, come vedremo.

In quel periodo, una volta compiuti quei passi e prese quelle decisioni, sarebbe stato importante approfondire i temi della religione e il suo ruolo nella storia dell’umanità. Cesare Luporini, filosofo marxista, aveva posto in anticipo la questione. In un articolo su Il Contemporaneo di Rinascita aveva scritto:

 

Ci si deve qui piuttosto domandare se la posizione assunta dai comunisti italiani coinvolga qualche mutamento o correzione o reinterpretazione, all’interno delle basi teoriche del comunismo marxista in relazione al fatto religioso. lo credo di sì in qualche misura; e credo che la radice teorica della posizione politica (e di dottrina politica) da noi assunta al X congresso sia ancora tutta da elaborare”. («Religione e problemi del mondo attuale», Il Contemporaneo n. 3, «Marxismo e Cristianesimo», Rinascita n. 13, 27 marzo 1975)

 

  Bruno Trentin, intervenendo a un convegno di Pro Civitate Christiana su «Il futuro della fede nelle attese dei giovani» espresse l’approdo teorico più avanzato al quale allora si pervenne. Nel progetto di una nuova società e di un impegno politico non totalizzante affermò:

 

La fede [.... ] per la tensione creatrice che porta in sé può contribuire [...] a spostare continuamente i confini del nuovo progetto, mettendone continuamente in discussione versioni riduttive oppure totalizzanti [...]. È questo il punto di vista di un non credente; ma se l’insieme di questi obiettivi viene assunto, le forze del mondo cattolico possono portare un contributo i cui confini e i cui tempi non sono predeterminabili e che va ben oltre l’apporto generico della «tensione» verso una nuova società. (in Rocca

n.20,1977)

 

    Per l’area cattolica progressista la scelta del Pci o della sinistra non era un esito scontato o automatico. Non lo era negli anni Settanta, né lo è oggi.

Divengono ancor più centrali i contenuti, la proposta di un nuovo sviluppo, il progetto generale della società.

 

Vannino Chiti

Op. cit. pp.114-17

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