Koinonia Agosto-Settembre 2021


P.Balducci ci riporta sulla strada giusta

 

Il cristiano primordiale?

 

“Quando il 26 ottobre 1958 i cardinali della Santa Chiesa Romana mi destinarono alla suprema responsabilità del governo del gregge universale di Cristo Gesù, a 77 anni di età, la convinzione si diffuse che sarei stato un papa di provvisoria transizione. Invece, eccomi già alla vigilia del quarto anno di pontificato e nella visione di un robusto programma da svolgere in faccia al mondo intero che guarda e aspetta”.

Questa nota che papa Roncalli affidò al suo diario il 10 agosto 1961 suscita in me, ogni volta che mi torna alla memoria, un moto di religiosa, anzi di biblica ilarità. Un crociano potrebbe trascriverla per avere un documento in più sullo scarto tra l’accadimento e l’avvenimento, tra il fatto in cui si traduce l’intenzione, gretta a volte ed egoistica, degli uomini e il risultato, che traduce una ben altra intenzione, quella dello Spirito, vero e unico soggetto della storia. Ma un credente ci trova qualcos’altro: la sorridente consapevolezza di un servo di Dio che, senza nessuna enfasi eroica, scopre di essere, a confusione dei calcoli altrui, protagonista del gioco libero e universale con cui Dio provvede alla salvezza del mondo.

La stessa provocante ironia traspare da un’altra nota, in cui papa Giovanni narra dello sconcerto dei cardinali di Santa Romana Chiesa quando, così alla buona, dette loro la notizia che ci sarebbe stato un concilio. Se papa Giovanni è ancora un esemplare di cristiano a cui, fra tanti santi e sante, preferiamo riferirci, è perché l’utopia dell’uomo totalmente libero, che è, latente o esplicita, l’utopia del nostro tempo, ha trovato paradossale riscontro in questo tradizionalissimo ottantenne che ha saputo sorridere con libertà negli spazi stessi dove un tempo incedeva, fredda e solenne, la sacra ragion di Stato.

Qualcuno potrebbe dire che, ahimè, quel sorriso si è spento. Non è affatto vero. L’incrinatura che esso ha aperto tra la prudenza ierocratica del passato e la humanitas evangelica del futuro non si è più rinsaldata, si è fatta, anzi, sempre più larga.

In un discorso compiuto, che volesse dar ragione di questa novità, si dovrebbero ricordare tanti altri avvenimenti dell’istituzione cattolica dovuti all’imprudenza gioiosa di papa Giovanni, a cominciare dal Concilio. Ma la circostanza ci serve per isolare l’imponderabile qualità di un uomo senza del quale quegli avvenimenti non ci sarebbero stati e in rapporto al quale essi sembrano la complessa incarnazione di una intuizione semplicissima.

Difatti, il riso di papa Giovanni non traduceva un impulso del temperamento; traduceva un’idea che è diventata per l’appunto l’idea della nuova epoca della Chiesa, dell’”avvenire che nacque da lui”, secondo una felice espressione di Paolo VI.

Papa Giovanni, pur rispettando i meccanismi di potere che lo circondano, tiene gli occhi al di sopra della loro siepe e guarda oltre, sta “in faccia al mondo intero”. Certo, sempre la Chiesa cattolica aveva guardato al mondo intero, ma senza troppo curarsi della contraddizione tra la propria realtà particolaristica, nata dalla controversia, e le proprie intenzioni universalistiche. Il mondo era, per lei, la sterminata regione da conquistare e da ridurre in obbedienza, perché tale era il proposito di Dio: che l’intero genere umano entrasse, prima o poi, nel recinto cattolico. Papa Giovanni, in semplicità di modi, ha posto fine a questo sistema ecclesiocentrico.

Per chi ancora vive in questo sistema, Dio ama la Chiesa e la invia al mondo perché questo si converta. E invece Dio ama il mondo direttamente, e la Chiesa emerge da questo amore per esserne un segno e uno strumento. Papa Giovanni stava dinanzi al mondo, ne leggeva i segni, lo ascoltava e gli parlava - si pensi alla Pacem in terris -, restaurando così un dialogo primordiale in cui davvero il Vangelo tornava a essere la buona notizia ricevuta da ogni uomo nella sua propria lingua. Viene a mente una grande frase di sant’Agostino: “La sostanza di quello che noi chiamiamo cristianesimo esisteva già fra gli antichi ed era presente fin dai primordi dell’umanità. Finalmente, quando Cristo apparve nella carne, si cominciò a chiamare religione cristiana ciò che era sempre esistito”. Papa Giovanni recuperò ed espresse questa coincidenza, quasi caduta dalla nostra memoria, tra cristianesimo e uomo primordiale.

Che i profeti di sventura se ne mostrassero sgomenti, zelantemente preoccupati di conservare le tradizioni, era fin troppo comprensibile; a minacciarle, questa volta, non era un progressista, era un uomo primordiale. I tradizionalisti e i progressisti appartengono non di rado a una stessa razza: tant’è vero che a volte fanno il cambio delle parti.

Il cristiano primordiale, invece, è di specie diversa, perché prende contatto con l’uomo non attraverso una comprensione ideologica, ma, almeno nell’atto primo, semplicemente in quanto uomo che “guarda e aspetta”. I teologi nuovi si affannano oggi, e giustamente, per dimostrare che il Vangelo non è cultura, non è ideologia, è la parola di Dio che corre, come un’acqua profonda, direttamente alla radice dell’uomo. Solo che, fatto oggetto di analisi, il Vangelo resta pur sempre cultura e ideologia. Solo quando viene preso sul serio in ciò che ha di sconvolgente, di inattuale, di utopico, solo allora riesce a circolare col ritmo stesso della vita e si mostra per quel che è: il vero modo, per l’uomo, di essere uomo.

Ecco l’idea primordiale - questa sì veramente cattolica! - che ha illuminato l’esistenza - e la morte - di papa Giovanni e che egli ha trasmesso alla Chiesa, simile alla piccola spinta originaria che il Dio di Cartesio ha dato alla macchina del mondo.

L’avvenire che nacque da lui può esser visto in due modi: o al livello delle contraddizioni della Chiesa, che sembrano frantumare di anno in anno l’organismo monopolitico di un tempo, e allora c’è perfino il caso che ci riprenda la nostalgia di una pace perduta; o al livello delle dinamiche che, dopo aver governato un evento come il Concilio, si diffondono nell’universo delle coscienze e sgretolano antichi istituti e antiche dottrine, e allora non c’è dubbio: l’idea di papa Giovanni corre ancora come una scintilla nella foresta.

Anche chi, nella Chiesa, si difende da quell’idea, l’aiuta a correre, quanto meno per il fatto che aumenta così la non credibilità di un passato spoglio ormai del suo clima, anzi di qualsiasi ragione enunciabile. Perfino le lacerazioni fanno più umana la Chiesa, in quanto demoliscono l’impassibile sicurezza con cui ieri essa inibiva al suo interno ogni conflitto. Ma quel che più conta è che questa imperiosa gravitazione verso l’uomo sovrasta tutte le sue dialettiche e riconduce il Vangelo in tutti i luoghi in cui si combatte per l’uomo e si prepara l’uomo diverso. Quando verrà il giorno, domandò un vescovo sudvietnamita nell’ultimo Sinodo, in cui i vescovi andranno in prigione non per i diritti della Chiesa ma per i diritti dell’uomo?

Immagino la perplessità di qualcuno: perché tanta fatica e così grande macchina sacra per una cosa così semplice come l’essere per l’uomo e l’essere uomo? È che ancora non si sa che cosa sia l’uomo e quali siano i diritti che traducono la totalità delle sue attese. L’uomo totale abita la fine dei tempi, così come il vero Adamo non è quello antico, è quello futuro. La coincidenza tra l’umanità primordiale e l’umanità ultima, ecco la profezia del Vangelo, ecco il compito della Chiesa. Questa è l’eredità che papa Giovanni ha restaurato per tutti: il resto è cronaca.

 

Ernesto Balducci

In: Giancarlo Zizola, Risposte a Papa Giovanni. Coines Edizioni, pp.119-123

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