23 gennaio 2022 - III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

 

Menologio di Basilio II: Gesù nella sinagoga di Nazaret (ca. 985)

Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Cod. Vat. gr. 1613

 

 

PRIMA LETTURA (Neemia 8,2-4.5-6.8-10)

In quei giorni, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere.

Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci d’intendere; tutto il popolo tendeva l’orecchio al libro della legge. Lo scriba Esdra stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l’occorrenza.

Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore.

I levìti leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura.

Neemìa, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge.

Poi Neemìa disse loro: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza».



SALMO RESPONSORIALE (Salmo 18)


Rit. Le tue parole, Signore, sono spirito e vita.

 

La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.

I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi.

Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.

Ti siano gradite le parole della mia bocca;
davanti a te i pensieri del mio cuore,
Signore, mia roccia e mio redentore.

 

SECONDA LETTURA (1Corinzi 12,12-30)

Fratelli, come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.

E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato?

Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui.

Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?



VANGELO (Luca 1,1-4; 4,14-21)

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.

In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.

Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:

«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi
e proclamare l’anno di grazia del Signore».

Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».


In altre parole…

 

Siamo soliti intendere la fine dell’anno liturgico in prospettiva escatologica, e cioè come compimento della storia della salvezza. Siamo invece meno portati a comprendere il suo inizio come ritorno alle origini e al punto di partenza nel cammino della fede. Non sono pochi oggi i segni e le sollecitazioni per una necessaria ripresa, per un nuovo cammino: basti ripetere quanto si sente dire qua e là che dopo la pandemia, quando un dopo ci sarà, niente sarà come prima.

 

In ambito più strettamente ecclesiale c’è l’incessante predicazione di Papa Francesco sul cambiamento d’epoca che richiede una inversione pastorale; c’è il suo richiamo al Vaticano II da riprendere come rinascita della chiesa nella storia; a questo proposito c’è l’indizione dei vari Sinodi locali e di quello dei Vescovi, come segnale di una volontà di necessario rilancio. Bisognerebbe appunto che l’itinerario liturgico ispirasse e accompagnasse il Popolo di Dio in questa impresa e volontà di nuovo inizio.

 

Per la verità, le letture di questa settimana ci vengono incontro in questo senso, come quando si parla della ricostruzione materiale di Gerusalemme e di una rinascita del suo Popolo, ad opera di Esdra e Neemia. Essi fanno ritorno in patria dall’esilio persiano non in massa come popolo con una sua identità, ma da isolati e si trovano davanti ad una città ridotta in macerie che ha perso la sua stessa dignità di popolo.

 

C’è sì da fare la ricostruzione della città e del Tempio, ma c’è soprattutto da far rinascere una coscienza e una memoria collettiva, sfidando minacce esterne ed insidie interne di chi preferisce asservirsi ad altri e non avere la speranza di accettare questa impresa impossibile. Non ci sono più sulla scena profeti, uomini investiti di autorità con una vocazione precisa di guida, ma restano possibili iniziative di singoli, pronti a farsi carico della sorte della città e del popolo: a dare risposta fattiva al deplorevole stato delle cose

Il sacerdote Esdra riesce a radunare l’“assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere” per dare di nuovo pubblica lettura della Legge e risvegliare in tutti la coscienza di Popolo di Dio: e diventerà ormai questa il punto di forza della sua nuova esistenza. Era tutt’altro che un atto liturgico ripetitivo, ma atto costitutivo di popolo che ritrova nella memoria e negli insegnamenti della Legge la sua ragion d’essere. Sia pure attraverso il “libro” Dio parla ancora al suo Popolo, che perciò è invitato a celebrare questo evento, “perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza”.

L’importanza del “libro” trova conferma nella volontà dell’evangelista Luca di fare anche lui ricerche accurate sugli avvenimenti accaduti tra di loro relativi a Gesù in modo da “scriverne un resoconto ordinato”: da tenerne viva la memoria. Ma soprattutto troviamo al centro il libro, quando Gesù, che già predicava nelle sinagoghe, torna a Nazaret, e in giorno di sabato prende l’iniziativa di alzarsi e andare lui a leggere nell’assemblea, dopo che gli fu dato il rotolo con il passo di Isaia, che in qualche modo annunciava l’inizio dell’era messianica e segnava la missione del Messia atteso: portare il lieto annuncio ai poveri e proclamare l’anno di grazia del Signore!

 

“Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui”, e forse si sarebbero aspettati belle parole, buoni sentimenti, qualcosa che li facesse sognare. Invece si son sentiti dire qualcosa che li risvegliava e li riportava alla realtà più vera. Quando appunto Gesù comincia a dire loro: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Il libro e il rotolo sono importanti, ma quando questa importanza è sacralizzata, essi possono diventare un ostacolo alla verità, che ci riporta e si ritrova sempre in un rapporto personale di responsabilità e di impegno, ad una  relazione  di fede.

 

L’ardita affermazione di Gesù non fa che suscitare scandalo, come succede quando dal mondo pensato si passa a quello reale; quando la Parola di Dio si fa carne nella nostra carne in tutta la sua efficacia. C’è la Scrittura, c’è l’ascolto, ma poi c’è sempre da andare oltre le mediazioni e arrivare a chi per loro mezzo ci parla, magari per sentirsi dire come la samaritana al pozzo: “Sono io che ti parlo” (Gv 4, 26). Quello che c’è da desiderare è il momento in cui cadono tutti i veli per ritrovarsi faccia a faccia con chi ci parla e poter dire con Tommaso: “Signore mio e Dio mio”.

 

Questo salto di qualità della nostra fede non si sa se e quando avverrà, ma sarà sempre un qualcosa tanto strettamente personale quanto di comunione in Cristo: “Fratelli, come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo”. È quanto vuole inculcarci il passo della 1Corinzi di Paolo, quando ci fa presente che “noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito”.

 

È a partire da questa unità di fondo  che bisogna assumersi la responsabilità di essere “corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra”, secondo cioè una propria specificità da mettere a frutto per tutti. C’è senz’altro da evitare concezioni organicistiche e gerarchiche, funzionali a questa o quella parte, ma non si può disconoscere una unità vitale ed interpersonale, che valorizzi e armonizzi le varie diversità e funzioni, diversamente tutto si appiattisce in un concordismo amorfo, che fa della fede una convenzione  religiosa e mentale, quando tutti siamo nominalmente apostoli, profeti, maestri, ma di fatto nessuno lo è realmente. Siamo vittime di una visione generalista della nostra esistenza cristiana ed ecclesiale, e spesso non sappiamo noi stessi a quale chiesa apparteniamo. Sembra che si possa creare unità nella spersonalizzazione dei rapporti, per rifugiarsi in un limbo di anime belle tutte uguali e devote.

 

Siamo nella tradizionale settimana ecumenica di preghiera per l’unità dei cristiani, per la verità una formula che forse potrebbe aver fatto il suo tempo. Molto semplicisticamente potremmo tutti darci appuntamento alla sinagoga di Nazaret, con gli occhi puntati su chi proclama il passo di Isaia, colui su cui si posa lo Spirito ed è mandato a portare la buona novella ai poveri: la svolta decisiva nella storia del mondo, il vangelo!. Sentirsi però dichiarare senza esitazioni “oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” è quanto di più inatteso e sorprendente: ci mette in questione e ci porta ad interrogarci sulla nostra effettiva disponibilità ad accettare simile brusco passaggio dalla Scrittura a Colui che ci parla. Inutile ripeterci che è qui la pietra di scandalo o il segno di contraddizione che sono la via stretta che porta alla fede. Cosa sono, a questo punto, le tante confessioni religiose? (ABS)


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