12 dicembre 2021 -  III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C) - GAUDETE

Raffaello Sanzio: Predica di san Giovanni Battista (1505)

Londra, National Gallery

 

 

PRIMA LETTURA (Sofonia 3,14-18)

Rallègrati, figlia di Sion,
grida di gioia, Israele,
esulta e acclama con tutto il cuore,
figlia di Gerusalemme!
Il Signore ha revocato la tua condanna,
ha disperso il tuo nemico.
Re d’Israele è il Signore in mezzo a te,
tu non temerai più alcuna sventura.
In quel giorno si dirà a Gerusalemme:
«Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia!
Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te
è un salvatore potente.
Gioirà per te,
ti rinnoverà con il suo amore,
esulterà per te con grida di gioia».

SALMO RESPONSORIALE (Isaia 12)


Rit. Canta ed esulta, perché grande in mezzo a te è il Santo d’Israele.

 

Ecco, Dio è la mia salvezza;
io avrò fiducia, non avrò timore,
perché mia forza e mio canto è il Signore;
egli è stato la mia salvezza.

Attingerete acqua con gioia
alle sorgenti della salvezza.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere,
fate ricordare che il suo nome è sublime.

Cantate inni al Signore, perché ha fatto cose eccelse,
le conosca tutta la terra.
Canta ed esulta, tu che abiti in Sion,
perché grande in mezzo a te è il Santo d’Israele.

 

SECONDA LETTURA (Filippesi 4,4-7)

Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!

Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti.

E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.

 

VANGELO (Luca 3,10-18)

 

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».

Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».

Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».

Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.



 

 

In altre parole…

Giovanni Battista predica in luogo aperto e deserto, si rivolge a gente del popolo che si trova radunata per ascoltarlo, magari con atteggiamenti e reazioni diverse, come ci illustra Raffaello. Ben diverso il quadro reale che è sotto i nostri occhi, se si pensa a come le parole di queste letture arrivano a noi nelle omelie: in ambiente chiuso, da un leggio più o meno distante, da un predicatore che le interpreta in maniera riduttiva, che magari si sente costretto a canoni di comunicazione a senso unico, spesso senza sapere a chi si rivolge. È triste che eventi così dirompenti si riducano a routine, con buona pace di tutti!

 

Ecco perché viene da chiedersi dove vanno a finire ripetuti inviti alla gioia, esortazioni all’esultanza rivolti a persone per lo più chiuse nel proprio guscio come monadi, con scarsa consapevolezza e coscienza di essere loro quel popolo di Israele, quella figlia di Sion e figlia di Gerusalemme a cui il profeta Sofonia si rivolge in sintonia con altri profeti. Per cui spesso non rimane che crearsi delle bolle spirituali in cui rimanere il tempo necessario per una omelia e per una celebrazione, per uscirne prima possibile non si sa come.

 

Tanto più se si considera che ci sfuggono o non ci dicono niente le ragioni di questa gioia, e cioè il fatto che il Signore ha revocato la sua condanna e vuole essere lui in mezzo a noi il nostro re e salvatore potente. Se poi ci sentiamo dire di non lasciarci cadere le braccia e che questo nostro salvatore sarà il primo a gioire per la nostra salvezza, pronto a farci nuovi col suo amore e ad esultare con grida di gioia, il discorso è anche troppo bello per sembrare rivolto a noi, e magari ci chiediamo a chi mai sia stato indirizzato nella notte dei tempi.

 

A questo punto ci merita confonderci tra le folle che interrogano Giovanni che predica il battesimo di penitenza ed è pronto a dirci cosa fare perché la salvezza che sospiriamo non rimanga un pio desiderio. La risposta più netta rivolta a tutti è quella della solidarietà e della condivisione radicale davanti alla quale siamo tutti spiazzati: “Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. È un principio fondamentale che troverà la sua esemplificazione e consacrazione nella parabola del samaritano e la sua enunciazione in quanto san Paolo dice a proposito della colletta a favore della comunità della Macedonia: “Qui non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza” (2Cor 8,13).

È utopistico e ingannevole farne un principio politico e norma sociale, al di fuori della disponibilità interiore di ciascuno o di quanti hanno fame e sete di giustizia. È però vitale che questo principio rimanga vivo nelle coscienze e trovi testimonianza di vita da parte di chi intende vivere la povertà alla maniera di Cristo, che si è fatto povero per arricchirci (cfr. 2Cor 8,9). È quel principio di giustizia che deve ispirare e regolare le relazioni sociali, come troviamo detto nel caso di pubblicani e di soldati che si rivolgono a loro volta al Battista, ma rimane che tutto è possibile solo come scelta e impegno morale. Non a caso egli richiede una radicale conversione per mettersi su un’altra lunghezza d’onda rispetto a quella di un messianismo puramente politico.

 

È inevitabile che l’entrata in scena di Giovanni e la sua predicazione provochino interrogativi a suo riguardo, se cioè sia lui colui che deve venire, così come del resto lo stesso Giovanni si interrogherà su Gesù, se fosse proprio lui l’atteso. Da qui la sua dichiarazione per dirci come egli si pone: se lui aveva il compito di preparare al Signore un popolo ben disposto con il battesimo di acqua, “colui che viene” è più forte di lui, e battezzerà in Spirito Santo e fuoco! Se l’acqua lava e rigenera, il fuoco purifica e infiamma: è un passaggio di consegne non indifferente che ci consente di valutare lo scarto, pur nella continuità, tra il Battista e colui che egli sta per indicare presente nel mondo.

 

Giovanni è sì portatore della coscienza messianica di Israele, e “colui che viene” è pur sempre il Forte che con potenza e giustizia pulisce l’aia del mondo e brucia la pula, ma al tempo stesso egli si ridimensione e si supera, prevedendo un battesimo nello Spirito, e cioè nell’autonoma potenza di Dio, pur non potendo sapere come ciò sarebbe avvenuto. Ecco perché troverà egli stesso difficoltà a riconoscere “colui che viene” in quel Figlio dell’uomo che accoglie e frequenta i peccatori.

Non è da escludere che nella mentalità e prassi cristiana corrente noi siamo rimasti al battesimo con acqua, senza neanche la consapevolezza di un battesimo diverso. Forse daremmo la stessa risposta che gli efesini diedero a Paolo quando chiese ad alcuni discepoli se avevano ricevuto lo Spirito Santo: “Non abbiamo nemmeno sentito dire che ci sia uno Spirito” (At 19,2). Viviamo in una chiesa che certamente non si sente sotto il dominio dello Spirito e non insegna a camminare secondo lo Spirito, come spesso Paolo raccomanda di fare.

 

Vuol dire che per noi un passaggio decisivo è ancora tutto da fare, mentre tutto concorre a farci sentire arrivati. E mentre del Messia Gesù consideriamo la predicazione del Regno, l’insegnamento in parabole, le guarigioni e quant’altro, forse ci rimane nascosto il motivo stesso della sua venuta nel mondo, e cioè il dono dello Spirito: “Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita” (1Cor 15,45). Cosa intendiamo, ad esempio, quando diciamo: “Credo nello Spirito santo che è Signore e dà la vita… e ha parlato per mezzo dei profeti”?

 

Giovanni è colui che fa da ponte tra tutti i profeti e il compimento della loro parola: una svolta segnalata quando l’evangelista annota che “con molte altre esortazioni evangelizzava il popolo”. Non è più soltanto profezia ma vangelo, annuncio di bene e di gioia. Vuol dire che c’è da creare disponibilità e condizioni per accogliere questo annuncio. E quando Paolo sembra fare eco al profeta Sofonia, ci esorta a non lasciarci cadere le braccia e ad essere lieti e amabili con tutti, perché “il Signore è vicino”: una vicinanza effettiva, perché egli si fa prossimo ad ogni uomo e a tutta l’umanità. È l’Emanuele, il Dio con noi: “Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te”. Ed è di questo e per questo che possiamo e dobbiamo gioire anche noi. (ABS)  


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