13 dicembre 2020 - III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO B) - GAUDETE

 

Sandro Botticelli: Madonna del Magnificat (1483)

PRIMA LETTURA (Isaia 61,1-2.10-11)

Lo spirito del Signore Dio è su di me,
perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,
a promulgare l’anno di grazia del Signore.
Io gioisco pienamente nel Signore,
la mia anima esulta nel mio Dio,
perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza,
mi ha avvolto con il mantello della giustizia,
come uno sposo si mette il diadema
e come una sposa si adorna di gioielli.
Poiché, come la terra produce i suoi germogli
e come un giardino fa germogliare i suoi semi,
così il Signore Dio farà germogliare la giustizia
e la lode davanti a tutte le genti.


SALMO RESPONSORIALE (Lc 1)

Rit. La mia anima esulta nel mio Dio.

 

L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.

Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.

Ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia.

 

 

SECONDA LETTURA (1 Tessalonicesi 5,16-24)

 

Fratelli, siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi.

Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male.

Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è colui che vi chiama: egli farà tutto questo!

VANGELO (Giovanni 1,6-8.19-28)

Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.

Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo».

Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».

Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».

Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

 

 

In altre parole…

 

La Parola di Dio andrebbe ascoltata e proposta senza troppe interferenze, ma volendo tener conto della tradizione liturgica, questa terza domenica di Avvento è chiamata “Gaudete”, per la parola iniziale dell’antifona di ingresso, che si rifà alla lettera di Paolo: “Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi”. Il rischio è di prendere spunto da questo dettaglio, per lasciarsi andare a qualche peana sulla perfetta letizia e sciorinare teoremi ideali sulla “gioia del vangelo” che magari affascinano, ma che passano sulla testa di ciascuno.

 

Ma il pericolo è ancora più grave: quello di consegnarsi alla moda ormai inarrestabile di frasi fatte, di parole ad effetto, di messaggi e video accattivanti che snaturano il messaggio. E così la “mensa della Parola” sembra offrire cibi precotti di pronta consumazione, buoni più per il gusto che per nutrire lo spirito. Questa Parola di Dio, che dovrebbe introdurci nel “mistero” della fede, di fatto è declassata a parola di umana saggezza e totale plausibilità, per cui siamo consumatori e spacciatori di spiritualità ad uso privato, senza che nasca e maturi un pensiero, una mentalità, una cultura di natura evangelica con diritto di cittadinanza nel mondo, diversamente da come successo in altre epoche. Non è sorprendente che malgrado il susseguirsi di tante riforme non sia ancora apparsa una forma di chiesa unitaria a carattere Vaticano II?  Come arriva il vangelo alla società e alla coscienza di oggi, compromesso com’è da tutti gli adattamenti, le edulcorazioni e i rivestimenti a cui è sottoposto?

 

Se simili timori sono condivisibili, ecco che siamo messi subito alla prova. Quando san Paolo esorta i fratelli dicendo “siate sempre lieti”, possiamo chiederci quale messaggio viene lanciato e come arriva ad un uditorio provato e sfiduciato per le ragioni che sappiamo. Ed allora è meglio saltarlo a piè pari e ripiegare su discorsi consolatori e divagatori? Forse però è anche possibile andare più in profondità e scoprire le ragioni per cui Paolo esorta la comunità di Tessalonica ad essere lieti, dopo che  poco prima aveva riconosciuto che avevano “ricevuto la parola in mezzo a molte sofferenze, con la gioia che dà lo Spirito Santo, tanto da diventare un esempio per tutti i credenti della Macedonia e dell'Acaia” (1Ts 1,6-7). Più che esortare alla gioia a vuoto, c’è quindi da sapere a chi ci si rivolge: se ad una comunità di praticanti formalmente intesa, o se a una comunità cementata dalla preghiera incessante, capace di rendere grazie in ogni cosa, perché questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù nei nostri confronti. E questo in maniera tangibile!

 

Si tiene troppo poco conto del fatto che questa volontà di Dio altro non è che il mistero nascosto nei secoli e rivelatosi ora in Cristo Gesù, il vero discrimine intrinseco della storia, in profondità prima che in estensione. E se vogliamo vivere secondo la volontà di Dio in Cristo Gesù, ci viene detto anche cosa non fare: per prima cosa non c’è da spegnere o soffocare lo Spirito che la anima e le dà vita, così come non c’è da mettere a tacere quanto lo Spirito dice e fa dire alle chiese come profezia, e cioè come decifrazione e proclamazione della volontà di Dio in Cristo. Perché è lui che ci santifica integralmente, anima e corpo, per farci trovare irreprensibili per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. E nella certezza che a fare tutto questo per noi è colui che ci chiama! Ma è questo il nostro modo di sentire e il clima spirituale interno ed esterno?

 

Basterebbe sentirsi insieme portatori di questo Spirito, e allora l’esortazione ad essere lieti avrebbe una sua efficacia. Spesso manca alla Parola di Dio una giusta cassa di risonanza che dovremmo essere noi con la nostra vita! Se insomma il vangelo è questa lieta notizia, l’esortazione ad essere lieti altro non è che comunicare e ricevere il vangelo come parola viva ed efficace, accettando quella trasformazione che vuole operare in noi così come è avvenuto nel tempo e ci è stato trasmesso: qualcosa che deve rinnovarsi in noi e perpetuarsi attraverso di noi. Riviviamo ancora una volta, oggi, la storia di Giovanni il Battista nella versione dell’evangelista Giovanni. Non è la storia di cose accadute da ricordare, ma è la chiave di lettura di ciò che accade e ci accade, il vangelo che si ripercuote e si prolunga nella storia. Potremmo pensare al “Quinto evangelio” di M.Pomilio”, ma più propriamente all’inesauribilità dell’incarnazione e a ciò che manca alla passione di Cristo nel suo Corpo che siamo noi.

 

È questa valenze profetica trasversale di tutta la Scrittura che ha consentito a Papa Giovanni XXIII di applicare a se stesso queste parole: “venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni”, per dire cha anch’egli si riteneva mandato a “preparare al Signore un popolo ben disposto”, quando anche ai nostri giorni eravamo nella stessa congiuntura  e nella stessa necessità di ritrovare la via diritta. Il punto focale di questo “mistero di Cristo” nel tempo lo possiamo cogliere in queste parole: “Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui”.  

 

Nel quadro della missione profetica che è dell’intero Popolo di Dio e che attraversa la storia della salvezza, si giocano il ruolo specifico e la sorte di Giovanni il Battista, pronto ad annunciare dopo di lui uno che “battezza in Spirito santo e fuoco”. “Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce”. Infatti, “veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9) perché “in lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1, 4). Ecco il punto decisivo che spazza via tutti i nostri compromessi e aggiustamenti e riporta in primo piano l’attenzione a “colui che deve venire”.

 

Quale sia poi la testimonianza di Giovanni, l’evangelista lo mette in rilievo narrando dell’interrogatorio cui lo sottopongono sacerdoti e leviti – le autorità riconosciute – riguardo alla sua predicazione pubblica. Quando egli dichiara di non essere il Cristo-Messia, né di volersi arrogare l’autorità di Elia e autoproclamarsi profeta. Non fa questione di titoli o di ruoli, ma a lui compete solo di essere “voce” che indica la via diritta verso la luce in persona che era nel mondo, e “il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe” (Gv 1,10). E noi arriviamo allora a celebrare “san Giovanni decollato” che ci proietta verso la Croce!

 

Come si può vedere, non è un discorso solo spirituale, ma di responsabilità profetica, che non va solo rivendicata ma esercitata nella testimonianza. E quando si parla di testimonianza, non è solo questione di buon esempio soggettivo o fatto privato. È farsi “voce” di qualcosa che ci arriva e che bisogna trasmettere: qualcosa di cui non possiamo disporre a piacimento ma deve portarci a credere, e cioè ad entrare nel vangelo come rivelazione della volontà di Dio in Cristo. Che non vuol dire entrare in qualcosa  che è mezzo e restarci chiusi dentro.

 

È Gesù stesso a dirci chi è Giovanni in risposta ai discepoli mandati a chiedergli se fosse davvero lui “Colui che viene”: a detta di Gesù, Giovanni è un profeta e più che un profeta, nel senso che rientra nella linea dei profeti – Elia, Isaia, ecc… - ma alla fine è lui che lo indica presente nel mondo. E sarà il suo essere al mondo come  agnello di Dio lo “scandalo” che mette alla prova lo stesso Giovanni e che continuerà nel tempo come “segno di contraddizione”. Era lo scandalo preventivato già da Isaia quando ci dice che egli è “mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a promulgare l’anno di grazia del Signore”, le stesse parola con cui Gesù si presenta nella sinagoga di Nazaret e che provocano subito contrarietà.

 

Ne sono un’eco le parole del Magnificat, riportate nel salmo responsoriale e anticipate dal profeta Isaia, che ci danno il senso delle beatitudini: “Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”. Maria non può essere avulsa da questo suo universo profetico, magari per idolatrarla in qualche nicchia come fenomeno a sé. Proprio nel Magnificat Maria rivela d’essere fede fatta carne alla stessa maniera in cui Gesù è il Verbo fatto carne, qualcosa che non può rimanere un fatto accessorio al credere come mondo a sé e religione a parte. Purtroppo, tutta la potenza profetica e tutta la carica di scandalo di questa donna si disperdono in titoli, devozioni, santuari: in un sistema di pratiche mariane di tutt’altro segno rispetto a quanto lei dice di sé. Se però vogliamo solidarizzare con quanti la invocano in semplicità di cuore, potremmo proporre una nostra invocazione a “Maria Madre della nostra fede”, Madonna del Magnificat!

 

Possiamo allora guardare l’immagine del Botticelli, meditando le parole di Isaia che interpreta Maria: “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia, come uno sposo si mette il diadema e come una sposa si adorna di gioielli”. Il Magnificat non è un assolo estemporaneo in casa di Elisabetta, ma è il canto personale, domestico e corale della salvezza universale.  Da Maria possiamo imparare dal vivo ad essere sempre lieti, a pregare ininterrottamente, a rendere grazie in ogni cosa,  perché è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di noi. (ABS)


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