30 maggio 2021 -
SANTISSIMA TRINITÀ (ANNO B)


Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino: La Trinità (1616-17)

Bologna, Quadreria di Palazzo Magnani

 

 

PRIMA LETTURA (Deuteronomio 4,32-34.39-40)

 

Mosè parlò al popolo dicendo:

«Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità all’altra dei cieli, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo?

O ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore, vostro Dio, in Egitto, sotto i tuoi occhi?

Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro.

Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te e perché tu resti a lungo nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà per sempre».

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 32)


Rit. Beato il popolo scelto dal Signore.

 

Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.

Dalla parola del Signore furono fatti i cieli,
dal soffio della sua bocca ogni loro schiera.
Perché egli parlò e tutto fu creato,
comandò e tutto fu compiuto.

Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.

L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.

 

SECONDA LETTURA (Romani 8,14-17)

 

Fratelli, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!».

Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.



VANGELO (Matteo 28,16-20)

 

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.

Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.

Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

 

 

In altre parole…

 

Anche se da isolati e a distanza, ci ritroviamo come quel Popolo di Dio a cui parla Mosè: ci invita ad interrogare i tempi antichi che sono stati prima di noi. L’immagine del Guercino, con la figura del Padre ci riporta a questo passato di cui avere memoria, ma ci richiama al presente e al futuro col Figlio e con la colomba simbolo dello Spirito. È una visione molto umana della Trinità, che ci consente di abbracciare tutto l’arco della storia e della esistenza, a cominciare “dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità all’altra dei cieli”: una memoria prospettica che non può non farci interrogare su quanto c’è di assolutamente inaudito ed inedito alla luce della fede dentro la nostra vicenda umana.

 

Ed ecco allora a renderci conto che nessun altro popolo ha udito la voce di Dio parlare dal fuoco come è stato dato a noi (“Questa voce non è venuta per me, ma per voi” – Gv 12,30). E che nessun Dio è andato mai a scegliersi una nazione in mezzo alle altre, quando invece le nazioni hanno sempre scelto il loro Dio! C’è qualcosa di fondativo a cui doversi rifare, e anche in questo nostro oggi c’è da sapere bene e da meditare nel proprio cuore come effettivamente stanno le cose nel profondo dei tempi e del futuro. E c’è da chiedersi se non sia qui il punto da cui ripartire per una sinodalità dal basso, piuttosto che da operazioni di ingegneria pastorale: da questa presa di coscienza e memoria viva di quanto Dio dice e fa per il suo Popolo.

 

Solo dopo vengono le leggi e i comandi da osservare, come corrispondenza e cooperazione di fede all’opera di Dio, in modo che tutto vada a buon fine per avere felicità e pace nel paese che il Signore Dio promette e dona incessantemente. Siamo abituati ed educati a metterci noi stessi in primo piano davanti al nostro Dio, magari per chiedere perdono o far valere i nostri meriti, mentre dovremmo coltivare l’attitudine di chi sa di ricevere ogni cosa per grazia (cfr. Lc 18,10-14).  

 

Così  anche davanti al mistero della Trinità, che da parte nostra cerchiamo di capire e di spiegare, quando invece c’è l’iniziativa di un Dio che si fa capire e che si rivela “Trinità” nei nostri confronti con la sua azione differenziata e inesauribile di Padre, di Figlio e di Spirito santo, quasi a costituirci come sua unica famiglia, in cui è presente la piena di grazia, Maria Madre di Cristo, che in qualche modo è l’incarnazione o l’umanizzazione dello Spirito santo.

 

In questo senso è lei l’icona e lo specchio della Trinità, il massimo di recettività e di docilità al dono di Dio, là dove la Parola di Dio trova il terreno buono per portare frutto. Non sarebbe male se davanti a Maria, la nuova Eva, evitassimo mammismi sdolcinati e devozionismi sentimentali, per essere partecipi con lei del mistero d’amore della Trinità beata che ci vuole sua famiglia. Certo, se fosse possibile riconvertire tutto il potenziale “mariano” coltivato nella chiesa in recettività e comprensione di fede del mistero trinitario, lo stato della chiesa nel mondo sarebbe diverso: sinodale per natura prima che per prassi!

 

C’è dunque più di qualcosa che si muove per grazia verso di noi, ma che al tempo stesso ci chiama in causa e ci mobilita. L’unica volta in cui Gesù usa la formula “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo” è al momento di consegna e di invio degli Undici a fare discepoli tutti i popoli, trasmettendo loro lo stesso potere dato a lui in cielo e sulla terra, dopo la sua glorificazione. Li manda nonostante che essi dubitino ancora di lui, ma infonde la sua forza e garantisce la sua presenza: questo mandato deve essere comunque assicurato e portato avanti, perché è questo il compito che è stato affidato a lui dal Padre e che ora egli affida incredibilmente a quegli uomini di Galilea, appunto “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, nel quale siamo battezzati e mandati a battezzare tutte le genti. È una nuova partenza dalla Galilea, da una periferia fuori del mondo. Abbiamo un compito che non consente deviazioni, ripensamenti, cedimenti nel fare discepoli tutti i popoli, perché questo è l’unico potere che ci è dato: il potere della verità che si rivela e che illumina.

 

Si arriverebbe a dire che la Trinità è presente e in azione attraverso di noi quando operiamo in obbedienza a Cristo e non solo in forza di un codice, di rubriche, di tradizioni e istituzioni, che forse ci fanno sentire protagonisti, ma che in realtà ci fanno restare schiavi di leggi e di usanze umane, lontani dalla libertà dei figli di Dio. È la condizione di vita cristiana presentata ancora una volta da san Paolo, quando ci dice che “tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio”. Non è affermazione da dare per scontata, ma esperienza tutta da fare come Popolo adunato nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito santo.

 

È da tenere presente che questo Spirito proviene da colui che siamo soliti chiamare Padre, ma arriva a noi attraverso quel Gesù che abbiamo riconosciuto Figlio di Dio e che ce lo trasmette proprio in quanto è tornato al Padre come Figlio dell’uomo. Ed è per questo che lo Spirito può renderci figli adottivi, mentre ce lo testimonia nell’intimo “insieme al nostro spirito”, fino a farci gridare “Abbà! Padre!”. Questo fa parte del nostro linguaggio e della nostra esperienza quotidiana, ma non sempre ci rendiamo conto o teniamo conto che è esperienza “teologale”, e cioè attinente al nostro vivo rapporto col Padre: che queste sono le forze in campo nella nostra vita di credenti, e che su di esse si deve puntare per una esistenza cristiana che sia tale, non più con “spirito da schiavi”. Potremmo dire che è la semplice e scarna spiritualità del “Padre nostro” o del “segno della croce”!

 

È quanto ci struttura dentro ed ha un suo sviluppo organico, perché “se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo”. Sapendo però che si diventa coeredi di Cristo “se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria”.  Forse non c’è modo migliore di questo per intendere cosa vuol dire l’essere battezzati “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, ad evitare di ridurre il battesimo a fatto burocratico, a tessera confessionale, a identità sociale e riportarlo invece alla sua natura e dignità di rinascita a figli di Dio.

 

Non dovrebbe più succedere che a differenziare i cristiani nel mondo sia solo il fatto di essere praticanti, oppure qualche ideologia politica, qualche appartenenza culturale o presa di posizione morale. Ma non dovrebbe neanche succedere che all’interno della chiesa conti prima di tutto far parte di una parrocchia, essere in qualche convento, seguire qualche movimento, essere membri di qualche associazione, e non invece il puro e semplice essere battezzati. Ciò che ci porterebbe anche a ristabilire il primato del mandato a fare discepoli e a battezzare!

 

Se ora davvero si vuole dare vita ad un Sinodo dal basso, occorrerebbe che non si partisse da strutture di rappresentanza già costituite, ma che alla base ci fossero i battezzati o quanti sono da battezzare “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo”: e cioè ad opera della Trinità beata e gloriosa, da adorare e lodare. Si arriva a dire che cercare uno stile sinodale nella vita della chiesa è prima di tutto recuperare e ravvivare una esperienza trinitaria della nostra vita di fede. Altrimenti andiamo ancora una volta incontro a qualche intervento conservativo. (ABS)


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