26 dicembre 2021 - SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE (ANNO C)


William Holman Hunt - Il ritrovamento del Salvatore nel Tempio (1860)

Birmingham (UK), Museum And Art Gallery

 

 

PRIMA LETTURA (1Samuele 1,20-22.24-28)

Al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuèle, «perché – diceva – al Signore l’ho richiesto». Quando poi Elkanà andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il suo voto, Anna non andò, perché disse al marito: «Non verrò, finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre».

Dopo averlo svezzato, lo portò con sé, con un giovenco di tre anni, un’efa di farina e un otre di vino, e lo introdusse nel tempio del Signore a Silo: era ancora un fanciullo. Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli e lei disse: «Perdona, mio signore. Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore». E si prostrarono là davanti al Signore.

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 83)

Rit. Beato chi abita nella tua casa, Signore.

 

Quanto sono amabili le tue dimore,
Signore degli eserciti!
L’anima mia anela
e desidera gli atri del Signore.
Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente.

Beato chi abita nella tua casa:
senza fine canta le tue lodi.
Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio
e ha le tue vie nel suo cuore.

Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera,
porgi l’orecchio, Dio di Giacobbe.
Guarda, o Dio, colui che è il nostro scudo,
guarda il volto del tuo consacrato.

 

 

SECONDA LETTURA (1 Giovanni 3,1-2.21-24)

 

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.
Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.


VANGELO (Luca 2,41-52)

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.


In altre parole…

 

Se vogliamo una figura di donna immagine dell’umiliazione e del riscatto, quale si presenta in Isaia 54,1-10, la troviamo incarnata in Anna,  moglie di Elkana insieme a Peninna, “la rivale (che) mortificava continuamente Anna per amareggiarla perché il SIGNORE l'aveva fatta sterile” (1Sam 1,6). E quando al santuario di Silo, piena di amarezza e piangendo, questa donna si sfoga davanti al Signore, viene presa per pazza dal sacerdote Eli; ma lei non si arrende, ed ottiene dal Signore di diventare madre di Samuele, chiamato così “perché – diceva – al Signore l’ho richiesto”.

 

A questo punto sembra aver riacquistato tutta la sua dignità e autonomia, tanto che si dispensa dall’andare con Elkana e tutta la sua famiglia per il sacrificio di ogni anno, preferendo seguire la sua strada: “Non verrò, finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre”. Dal Signore lo aveva ottenuto e al Signore lo consacrava come suo dono, perché restasse davanti al suo volto per sempre! A lei bastava essere diventata madre!

 

Qualcosa che si ripete anche per Gesù, quando con i genitori si reca a Gerusalemme per la festa di Pasqua, ma questa volta è lui che prende l’iniziativa di sganciarsi dal padre e dalla madre e restare nel tempio dove lo dovranno ritrovare angosciati. E al loro stupore e velato rimprovero, come si può intuire dalla immagine di William Holman Hunt, risponde a sua volta con un interrogativo: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Come per volerli riportare, dallo stupore e dalla loro angoscia, alla realtà in cui egli si muoveva: le cose del Padre suo, che  sfuggivano alla loro comprensione!

 

Tutto questo non sembra incrinare i loro rapporti, tant’è che Gesù “Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso”. Ma i due piani  in cui si muovevano, per quanto compatibili, erano profondamente diversi, e non a caso a Maria era stato pronosticato da Simeone che una spada le avrebbe trafitto l’anima, e da parte sua non poteva far altro che custodire tutte queste cose nel suo cuore, rinnovando di volta in volta il suo “sì”.

 

La sua e quella di Giuseppe era una fede messa costantemente a dura prova, ed in questo si realizzava la loro cooperazione al mistero della salvezza. Avevano capito che dovevano superarsi di continuo per rimanere sul piano dei disegni di Dio affidati a quel ragazzo, che sotto i loro occhi “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”. Non deve essere stato facile avere a che fare con colui che il vecchio Simeone aveva presentato come “segno di contraddizione”: fare in modo che la realtà emergesse sempre attraverso le sue condizioni di fatto.

Così come non deve essere stato facile per quei maestri del tempio confrontarsi con lui, “mentre li ascoltava e li interrogava, anche se “erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte”. Quale potesse essere la materia del loro scambio lo possiamo intuire dal comportamento e pronunciamento di Gesù riguardo al tempio, da dove scaccerà i venditori e di cui preannuncerà la distruzione. Si trattava obiettivamente di un cambiamento che era nelle cose e che la sua presenza lì voleva testimoniare: un passaggio che non annulla ma compie, e che sarà comunque motivo ricorrente di conflitto. Potremmo ipotizzare che in discussione ci fossero tutti gli argomenti polemici che scribi e farisei solleveranno nei suoi confronti.

 

Per cui è da pensare che rimanere nel tempio non fosse poi per un trionfo, ma  in qualche modo si configurava lì la sfida che a sua volta Gesù pone ai Giudei quando gli chiedono un segno, e per tutta risposta si sentono dire: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” (Gv 2,18). Se vogliamo concederci qualche licenza interpretativa, potremmo pensare che ai tre giorni di smarrimento e di ricerca di Maria e Giuseppe corrispondano i tre giorni nel sepolcro: un po’ arditamente e retrospettivamente, si può vedere in questo episodio una prefigurazione della morte e resurrezione che contrassegnano tutta l’esistenza di Gesù. Il suo è in qualche modo un esserci e non esserci, fino a quando dirà: “Ancora un poco e non mi vedrete; un po' ancora e mi vedrete” (Gv 16,16).

 

In ogni istante della sua vita Gesù è attento ed intento alla “cose del Padre suo”: a compiere la sua volontà, che è poi quella di rivelarsi e farsi conoscere come Padre. Una volontà che si può cogliere nelle parole della prima lettera di Giovanni: “Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente”. In questo senso possono applicarsi anche a noi le parole che sembrano ritagliate su Gesù e che segnano il senso del nostro cammino: “Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui”. Non c’è da preoccuparsi se rimaniamo sconosciuti, semmai dovremmo preoccuparci se il mondo ci riconosce per altre ragioni che non siano la somiglianza a lui.

 

Quello che deve rimanere fermo è che noi fin d’ora siamo figli di Dio, anche se non vediamo ciò che saremo. Perché, solo quando “egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”. È una trasfigurazione progressiva che avviene grazie alla piena fiducia in Dio, al fatto che “facciamo quello che gli è gradito”, e soprattutto perché “crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato”. È quanto assicura il nostro rimanere in Dio e il suo rimanere in noi. È in questi termini che bisogna pensare il nostro cammino di fede ed anche un cammino sinodale nella sequela di Cristo. (ABS)


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