2 aprile 2023 - DOMENICA DELLE PALME (ANNO A)

James Tissot: Gesù guarda dalla croce (1886-1894)

New York, Brooklyn Museum

 

 

PRIMA LETTURA (Isaia 50,4-7)


Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,
perché io sappia indirizzare
una parola allo sfiduciato.

Ogni mattina fa attento il mio orecchio
perché io ascolti come i discepoli.
Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio
e io non ho opposto resistenza,
non mi sono tirato indietro.

Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,
le mie guance a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia
agli insulti e agli sputi.

Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare confuso.

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 21)


Rit. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

 

Si fanno beffe di me quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
«Si rivolga al Signore; lui lo liberi,
lo porti in salvo, se davvero lo ama!».

Un branco di cani mi circonda,
mi accerchia una banda di malfattori;
hanno scavato le mie mani e i miei piedi.
Posso contare tutte le mie ossa.

Si dividono le mie vesti,
sulla mia tunica gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, vieni presto in mio aiuto.

Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all’assemblea.
Lodate il Signore, voi suoi fedeli,
gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe,
lo tema tutta la discendenza d’Israele.

 

 

 

 

SECONDA LETTURA (Filippesi 2,6-11)

Cristo Gesù,
pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.

Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre.

VANGELO (forma breve Matteo 27, 11-54)

 

In quel tempo Gesù comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla.

Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.

Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua». Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!».

Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.

Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo.

Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte. Poi, seduti, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei».

Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.

Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo.

A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito.

 Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».

 

 

In altre parole…

 

La Chiesa, proprio in questi ultimissimi anni, è stata spesso riconosciuta e apprezzata nel mondo che in definitiva l'ha eletta maestra di vita morale, maestra d'umanità. La storia dell'Europa, e dell'Occidente in generale, ha assunto l'aspetto di una storia provvidenzialmente guidata dalla mano di Dio, fino al punto di identificarsi con la storia cristiana. La Chiesa ha dunque celebrato il suo ultimo apparente trionfo storico. Ma non è stato che un equivoco, come dimostra il precipitare degli ultimi eventi, corrispondente alla breve e apparente gloria di Gesù entrato in Gerusalemme tra folle che agitavano trionfalmente rami di palma e di ulivo, e non sospettavano la croce imminente, ma anzi vedevano già la restaurazione del glorioso regno di David (cfr. Mc 11, 10).

 

Quante volte si è ripetuto nella storia l’equivoco dell’ingresso in Gerusalemme?  Le parole di Sergio Quinzio riportate sono del 1995 (in Mysterium iniquitatis, p.79), ma a maggior ragione si prestano per leggere la situazione odierna, per introdurci ad una Pasqua nella nostra storia e non solo negli apparati liturgici. Viene da chiedersi se noi oggi non ci siamo fermati all’Osanna dell’ingresso a Gerusalemme, che Gesù ha espressamente voluto a testimonianza della sua determinazione e della sua assoluta autonomia da quanto stava accadendo: di consegnarsi nelle mani degli uomini (Mt 17,22; Mc 9,31), sapendo che le vie si divaricavano.

 

Ma il punto ora non è tanto quello dei nostri pensieri e atteggiamenti come della folla che lo osannava, quanto piuttosto riuscire a cogliere il sentimento e la visione che Gesù ha verso chi lo circonda e quindi verso di noi che lo seguiamo. È quanto ci suggerisce di fare l’originale immagine di James Tissot: Gesù guarda dalla croce: qual è il suo punto di vista di crocifisso sul mondo e sulla umanità. Diventano significativi gli incontri della sua “via crucis” e le parole da lui pronunciate dalla croce, a scardinamento di un sistema religioso che ne vuole e ne decreta la morte. Egli si trova a trovare una via di assoluta libertà nei confronti di ogni potere sacro e profano, che fa leva sulla potenza e deterrenza della morte: egli libera insieme a lui quanti sono sotto la schiavitù del “peccato”, origine della morte.

  

Il passo del profeta Isaia ci aiuta ad entrare nell’animo di colui che confessa di essere totalmente preso da quanto il Signore suo Dio si aspetta da lui come “discepolo” chiamato ad indirizzare a sua volta una parola allo sfiduciato. Egli si fa tutto orecchi, senza porre resistenza e senza tirarsi indietro. Perché non si tratta soltanto di una disponibilità sacrificale e propiziatoria, ma di una situazione estrema di lotta e di violenza tra poteri contrapposti. Per questo servono a poco la retorica e la sublimazione del sacrificio, se non emerge la causa per cui siamo chiamati all’impegno da chi non ci fa mancare il suo sostegno.

 

È quanto poi riscontriamo nella “lettura della Passione di nostro Signore Gesù Cristo”, che prima d’essere resistenza e sopportazione è appunto “passione”: condivisione della volontà di salvezza del Padre e comunicazione di vita per quanti sono sotto il suo sguardo. Egli si presenta come il pastore che dà la vita per il suo gregge affidatogli dal Padre prima ancora che egli riesca a radunarlo in un solo ovile, tutto da costruire. Di qui l’invito di Pietro nella sua seconda lettera: “Eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime” (2,25).

 

Può sorprendere il fatto che quel “Gesù nazareno re dei Giudei” – secondo l’ipocrita sentenza di condanna di Pilato – proprio al momento della sua morte stia radunando il suo gregge, così come del resto aveva profetizzato suo malgrado il sommo sacerdote Caifa: “che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi”. (Giov. 11,51-52) Ci sono due logiche apparentemente simili ma che in realtà si scontrano: possiamo registrare come noi guardiamo a “colui che pende dal legno” (Galati 3,13), ma possiamo anche chiederci come lui guarda a noi come a quella gente sotto la croce, raduno di curiosi, di irridenti, di crocifissori, con l’eccezione della Madre e di Giovanni, e infine del ladro che si affida a lui. E’ il dramma che si ripete nel tempo: nel suo abbassamento totale, egli si sente abbandonato anche dal Padre, ma al tempo stesso si abbandona al Padre da cui invoca perdono per coloro che non sanno quello che fanno. Niente è più come prima!

 

Forse è  proprio qui lo sguardo che ha su di noi: possiamo anche avvicinarci al Crocifisso con sentimento religioso ed orante, ma è chiaro che il grande mistero della redenzione e della riconciliazione non può ridursi a semplice ripetitiva pratica di pietà,  se non si considera e non si rende effettiva la sua dimensione storica di alleanza che ne scaturisce, e quindi di cambiamento radicale del rapporto di Dio con l’uomo e col mondo: non è solo un evento da inserire tra i tanti della storia, ma è il passaggio decisivo per una storia nuova di umanità. Se dunque siamo tra coloro che non sanno quello che fanno, dobbiamo prendere atto e coscienza del perdono assicurato, alla maniera del centurione: “Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: «Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!»” (Mc 15,39). È la consapevolezza del perdono che porta al pentimento e al ritorno, e non il contrario! È la “Parola della croce” che genera conversione, e non saranno tutte le nostre formule di conversione a portarci alla croce!

 

Purtroppo, questa “Parola di Dio” fatta “carne” e fatta “croce” è diventata più oggetto di culto per pochi che messaggio di salvezza per tutti. Se vogliamo entrare nel vivo di questa “Parola di Dio” incarnata a crocifissa, abbiamo il passo della lettera ai Filippesi, che ci parla di Cristo Gesù nella sua “condizione di Dio”, che però si spoglia di se stesso per fare propria la “condizione di servo” simile a quella degli uomini, abbassando e umiliando se stesso. Questa umiliazione avviene sì in maniera cruenta per volontà e per la violenza di poteri umani, ma ha la sua motivazione e la  sua forza di irradiazione nella totale obbedienza al Padre, “fino alla morte e a una morte di croce”. Qualcosa che accade per un disegno insondabile, al di là di ogni umana comprensione se non come dono di amore.

 

È qui il punto risolutivo che cambia radicalmente la sorte degli uomini e del creato, perché proprio a partire di qui la potenza di Dio riporta questo Gesù alla sua condizione di Dio senza che abbandoni la sua condizione umana: gli dà un nome nuovo di “Signore a gloria di Dio Padre”, a cui cieli e terra devono piegarsi, un nome  da invocare per la nostra salvezza. Il fatto è che un evento così dirompente e dirimente è stato via via riassorbito in una mentalità religiosa sacrificale e propiziatoria, e ha perso la carica di liberazione che intrinsecamente sprigiona, anche se spesso mistificata. Quanta attenzione ci vorrebbe “perché non venga resa vana la croce di Cristo”! (1Cor 1,17). (ABS)


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