Koinonia Febbraio 2021


Leggere “Fratelli tutti” col card.C.M.Martini

 

FRATERNITÀ  E  COMUNICAZIONE

 

Come il padre di sangue si richiama solo alla lontana al Padre di Gesù Cristo e  nostro, così la fraternità dell’Enciclica Fratelli tutti, non è certo quella dei fratelli carnali, a cominciare da quelli biblici, Caino e Abele, Giacobbe e Esaù, Giuseppe  e i suoi fratelli. Per diventare veramente fratelli bisogna rinascere una seconda volta dallo Spirito come dirà Gesù a Nicodemo, e Giovanni, nel Prologo del suo Vangelo afferma che solo a chi accoglie Gesù, sarà dato di nascere da Dio e non da volere di carne, di sangue e di uomo.  “Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?  Dirà Gesù ai suoi discepoli, offendendo a volte il nostro spirito familistico. Purtroppo è spesso questo spirito che ci chiude nel circolo ristretto dei nostri interessi a scapito della ricerca del bene comune.

Quindi la fraternità di papa Francesco è altra, è una fraternità aperta, aperta a tutti, interculturale, internazionale, inter-religiosa, opposta quindi alle strettoie delle quattro mura familiari, dove spesso regnano l’egoismo, l’incomprensione e la manipolazione, e dove la comunicazione a volte è più ardua.

 

È proprio sulla necessità di comunicare nel dialogo che si basa la vera fraternità ed è su questo punto che vorrei riflettere con l’aiuto di due lettere pastorali del cardinal Martini che sebbene in alcuni punti datate rispetto a noi  (sono degli anni ‘90), illuminano il tema con la consueta concretezza e profondità dell’autore. La prima, dal titolo Effatà, apriti è dedicata alla comunicazione interpersonale. La seconda,  Il lembo del mantello, alla comunicazione affidata ai mass media. Affrontando quest’ultimo tema Francesco dice: “Siamo iperconnessi, ma incapaci di agire insieme... da soli si rischia di avere dei miraggi per cui si vede quello che non c’è”. E in un altro punto della sua enciclica: “Ci siamo ingozzati di connessioni”.

Per Martini, gli uomini sono incapaci di una comunicazione autentica, prima di tutto con il loro sé, con la loro interiorità, spesso scissa e confusa,  per cui egli parla di  ‘piccola nevrosi’, in contrapposizione alla ‘grande’ nevrosi, la nevrosi sociale che contraddistingue la comunicazione fra persone e gruppi con interessi diversi, creando un clima di instabilità e di conflitto. Non c’è soprattutto vera comunicazione nei media, i mezzi per antonomasia delegati alla comunicazione, in particolare nei rapporti digitali che dispensano dalla  fatica di coltivare un’amicizia: è molto più facile rispondere con un emoticon o con un like che impegnarsi a trovare le parole che dicano la nostra vicinanza e il nostro affetto.  I media, dice Francesco, non costruiscono un ‘noi’ autentico, ma dissimulano e amplificano l’individualismo e il narcisismo (vedi l’ossessivo accumulo dei followers).

 Dopo avere evidenziato tutte le manchevolezze e i rischi di questi strumenti tecnologici, Martini però aggiunge: “Da quando Dio ha parlato in parole ed eventi umani, noi siamo assicurati che le parole e gli eventi di questo mondo, sono atti a fare da veicolo alla sua comunicazione....come lembi del suo mantello attraverso cui può passare la sua potenza salvifica”. L’esperienza che ne abbiamo fatto durante la pandemia sembra dargli ragione. Egli parla però soprattutto della televisione  per cui, rifacendosi allo slogan che la definisce “una finestra sul mondo” ribadisce che, dopo aver aperto la finestra e guardato, bisogna “abbandonare il davanzale per scendere nella strada o ritirarsi nel silenzio e nella preghiera”. Altrimenti i mass media diventano veramente gli strumenti che in-formano, cioè “alla lettera danno forma, plasmano la realtà e, in ultima analisi la nostra coscienza, secondo ben precisi e interessati criteri”.

Andando direttamente alla radice dell’incomunicabilità, Martini la trova soprattutto in due fenomeni caratteristici dell’uomo contemporaneo: un’idea della comunicazione sbagliata per eccesso,  perché si vuole ciò che il comunicare umano non può dare, si vuole tutto e subito e in definitiva il dominio e il possesso dell’altro; e poi una comunicazione sbagliata per difetto, per  la fretta che ci caratterizza oggi un po’ tutti, una fretta che non rispetta i ritmi della persona propria e altrui di cui s’ignora la soggettività presi come siamo solo dalla nostra. Papa Francesco nella sua enciclica dirà: “È necessario mettersi seduti ad ascoltare l’altro...Oppressi dall’impazienza e dall’ansia, “mangiamo distrazione e solitudine”. Vengono in mente i pasti con la televisione accesa in cui né si parla, né si ascolta veramente le notizie.

Io aggiungerei altre due spiegazioni all’odierna incomunicabilità. Non legata ai tempi, ma forse oggi più avvertita che mai, l’insufficienza ontologica della parola è senz’altro la prima. Le parole, dice Paul Ricoeur, “sono affette da inevitabili manchevolezze, in conseguenza delle quali esse risultano inadeguate, polivalenti, imprecise e false”. E lo psicologo Borgna nel suo libro Le intermittenze del cuore  le definisce  “labili tracce dell’inconoscibile, effimere metafore del reale”. Quando poi si dice  che ogni comunicazione è condizionata dalla diversità dei linguaggi, non credo si alluda soltanto alle diverse lingue del mondo:  a volte basta sentir parlare un padre e un figlio per capire che i due non danno alle parole che usano lo stesso significato. Papa Francesco, quando parla delle Ombre di un mondo chiuso, dice che le grandi parole che dovrebbero esprimere valori intramontabili, “sono state alterate, manipolate, depotenziate e utilizzate come strumenti di dominio”. Basta pensare all’uso che la pubblicità ne fa, rimpicciolendole in modo tragico, fino a lasciare al loro posto il vuoto.

E poi la mancanza di speranza: non si riesce cioè a comunicare autenticamente perché manchiamo di speranza, quella speranza che ci rende coscienti della rete universale di relazioni  di cui siamo parte e che è il nostro elemento vitale, quella speranza che vede nel dialogo  tra i gruppi e le nazioni  uno strumento di pace, un’azione che affronti il male che incombe sul mondo, una speranza che giustifichi la fatica della comunicazione, che supporti la fede che questo sia possibile. Per Enzo Bianchi, il quale ne parla pensando soprattutto al bisogno che ne hanno i giovani oggi, “la speranza è il frutto di un’attesa fondata ..sul riflettere, sull’ascoltare, sul confrontarsi...è il frutto di relazioni vive, si nutre dell’essere insieme...” L’essere ‘distanziati’ dagli altri per precauzione anti-virus non aiuta certo in questo senso. Anche se forse questo nuovo tipo di distanziamento può farci rendere coscienti della lontananza che ci divide anche quando siamo più vicini. La depressione, il volto moderno della di-sperazione, chiude le sue vittime nel mutismo e nella solitudine.  Per Francesco “seminare la mancanza di speranza è anche un meccanismo politico di esasperazione e polarizzazione dei conflitti, sfruttando paure ancestrali che non sono state superate dal progresso tecnologico”.

 

Bisogna imparare da Gesù, dice Martini, che “ha fatto udire i sordi e parlare i muti”.  “È un comunicare arduo, ma possibile, quello offertoci dal Dio vivente, nell’atto stesso del suo comunicarsi a noi...Non c’è vera comunicazione umana se non a partire da quella realtà da cui, in cui e per cui l’uomo e la donna sono stati creati, cioè il dialogo incessante della Trinità... Dio crea l’uomo a suo immagine e somiglianza e quindi ogni creatura porta in sé l’immagine della Trinità... Tutte le pagine della Scrittura riportano le vicende, le crisi, la ricostituzione del dialogo fra Dio e l’uomo. A partire dalla prima pagine della Bibbia tutto è storia della comunicazione divina all’umanità.”  Dalle parole di Gesù che, soprattutto nel Vangelo di Giovanni, dicono la profonda unione fra lui e il Padre “traspare quel senso di profonda comunione e scambio che vige nel mistero di Dio e che è alla radice di tutto il nostro comunicare umano. Come la somiglianza con Dio permette il dialogo fra Lui e l’uomo, la creazione dell’uomo e della donna pone dall’inizio ogni persona in situazione dialogica con i propri simili”.

Dio è comunione e comunicazione. Si comunica a noi e ci rende capaci, di più ci dà l’ansia, di entrare in comunicazione gli uni con gli altri, risanando i nostri blocchi comunicativi. Che altro è la Pentecoste?  Alla radice di ogni comunicazione valida sta la gratuità. “L’evento comunicativo che regge tutta la storia è un evento gratuito e libero per cui è richiesta una risposta altrettanto gratuita e libera, la risposta della fede. ...Nell’evento pasquale la comunicazione fra Dio e l’uomo e  degli uomini fra di loro viene restaurata e rilanciata  secondo dimensioni e potenzialità divine”. Alla base del rifiuto della comunicazione, o del suo fallimento, sta la mancanza di fiducia nella gratuità e sincerità dell’atto comunicativo.

Martini individua alcune costanti nella comunicazione divina a cui ispirarsi per essere dei comunicatori validi: è preparata nel silenzio, quella di Gesù soprattutto nel silenzio della preghiera notturna,è progressiva, cumulativa e storica...con eventi e parole che si rimandano e si spiegano a vicenda, si attua in una dialettica di manifestazione e nascondimento. Solo la pazienza della decifrazione ci permette di cogliere il mistero vivente che vuole comunicarci. L’eccesso di comunicazione annienta l’altro. Ogni comunicazione è graduale, prudente e rispettosa dei tempi dell’altro. Non è sulla terra la sua pienezza. Ne deriva l’incompiutezza di ogni comunicare storico. Non potremo mai conoscere l’altro fino in fondo, è personale, comunica se stesso: è interpersonale, chiede reciprocità. Non è a senso unico, suscita un circuito di parola-ascolto-risposta che è proprio di ogni comunicare autentico.

 

“Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo ‘dialogare’”. Così papa Francesco  inizia il capitolo VI della sua enciclica  che intitola Dialogo e amicizia sociale, la cui  mancanza, come abbiamo detto, crea un clima di instabilità e di conflitto, proprio il clima che ci troviamo a vivere in questo tempo di nevrosi sociale. Ognuno di quei verbi esprime uno sforzo per uscire dal proprio egoismo e fare quel passo, dire quella parola, cogliere e restituire lo sguardo che cerca un contatto, una comprensione.  Francesco conclude l’enciclica con una bellissima preghiera in cui chiede, oggi è la festa di Cristo re, di poter “riconoscere Cristo in ogni essere umano/ per vederlo crocifisso/ nelle angosce degli abbandonati/ e dei dimenticati di questo mondo/ e risorto in ogni fratello che si rialza in piedi.”  E un altro grande protagonista del nostro tempo, Pierre Claverie, diceva: “In ogni decisione, in ogni azione, dare concretamente qualcosa di se stessi, il proprio tempo, il proprio sorriso, la propria amicizia, le proprie capacità, la presenza, anche silenziosa...”

Non lasciamoci rubare la speranza che questo possa essere sulla terra il Regno di Dio!

 

Donatella Coppi

.

.