Koinonia Agosto 2016


DIO È TORNATO: LE GUERRE DI RELIGIONE AUMENTANO

LA LIBERTÀ RELIGIOSA DIMINUISCE

 

È cambiato il rapporto dell’Occidente con la libertà religiosa. Un tempo ne andavamo fieri: era la prima libertà, l’addio all’assolutismo, il basta alle guerre di religione. Era il diritto della coscienza individuale, la fiducia in Dio e nella convivenza pacifica tra fedi diverse; era la bandiera di Stati liberal-democratici e di comunità di fede responsabili.

Questa memoria, questo valore, sono oggi a pezzi. Il nostro senso della libertà religiosa sta mutando: ciò che intendiamo per libertà religiosa e ciò che sentiamo per essa cambiano in forza di trasformazioni profonde in casa nostra e nel mondo globale. A casa siamo immersi in una crescente diversità di fedi: declinano le grandi chiese, si allontana dall’Europa il baricentro del cristianesimo, è invadente la presenza dei credenti immigrati, ci avviluppano reti religiose che hanno altrove il loro cuore. Le nuove guerre di religione globali, intanto, traboccano dai media, uccidono nelle nostre strade, ci invadono di migranti e ammazzano cristiani «come noi» in India, in Nigeria, in Iraq.

Si consuma qui il passaggio. Ci siamo affezionati alla libera scelta personale sulla religione, e ci travolgono identità collettive spaventate e aggressive in cui annegano gli individui. Abbiamo creduto nel pluralismo, e la società religiosamente diversa ci appare insostenibile. L’emergenza Islam ha pesato molto. Il senso della libertà religiosa è cambiato perché in nome di Allah si ammazzano e si perseguitano ebrei, cristiani, musulmani di confessione rivale, credenti di altre fedi, a motivo del loro credo. L’Islam fa eccezione e ci fa accettare eccezioni.

Per proteggerci siamo disposti a vietare la costruzione di una moschea, a ingerirci nella formazione degli imam, a proibire ai musulmani l’osservanza dei loro precetti e persino l’ingresso nei nostri Paesi. L’eccezione musulmana è nel programma di Donald Trump, candidato alla presidenza degli Stati Uniti; ma essa è anche nei programmi dei governi francese e italiano, limitatamente al progetto  d formare imam moderati. Davanti alla minaccia, ci pare talmente ragionevole addomesticare l’Islam, che non ci accorgiamo di quanto ciò contraddica le conquiste di mezzo secolo di diritti. Dopo la Seconda guerra mondiale, la libertà religiosa fu la pietra miliare dell’edificio internazionale dei diritti umani, un pilastro dell’Alleanza Atlantica. Con orgoglio, nel 1948, Eleanor Roosevelt presentò la firma sotto la Dichiarazione universale di un musulmano e di un hindu. Contro l’oppressione comunista, la libertà religiosa riassumeva il superiore percorso della civiltà occidentale scaturita dalle guerre di religione secentesche, il progetto di modernità ed <emancipazione per ogni gente, e al contempo il vanto del cristianesimo ecumenico euro-atlantico e la sua generosa proposta a ogni fede.

Il nostro smarrimento odierno sottolinea lo scarto tra il passato della libertà religiosa e il presente delle guerre di religione. Crediamo ancora che la libertà religiosa sia un principio giusto, un obiettivo per cui impegnarci, un utile strumento? I governi occidentali negli ultimi anni hanno risposto di sì. Secondo uno schema a due facce. Da un lato, rivendichiamo un primato. I nostri Paesi sono esempi di libertà religiosa. Non mancano problemi, certo. Ma possiamo vantarci delle nostre conquiste e del nostro perdurante impegno. Da noi, la libertà religiosa è garantita di più. Dall’altro lato, non stiamo con le mani in mano davanti alle persecuzioni religiose nel mondo. Da metà anni Novanta per gli Stati Uniti, e più recentemente per l’Europa, si è lanciata un’offensiva diplomatica per «la protezione e la promozione» della libertà religiosa globale. Per gli americani, i francesi, i britannici, la politica estera in materia è ormai una priorità. Dal 2013 anche l’Unione Europea è a bordo con le sue linee guida. Nelle ultime settimane hanno pubblicato rapporti sulle violazioni della libertà religiosa nel mondo il Parlamento dell’Unione Europea e un gruppo di parlamentari britannici. Ecco le due facce ufficiali della libertà religiosa occidentale: i nostri governi sono protezionisti in casa e interventisti oltre frontiera; tutto bene da noi, alla peggio violazioni minori, molto male dagli altri, dove si consumano violazioni gravissime. Così, la libertà religiosa dei governi, degli esperti, dei leader politici e religiosi è sempre più elaborata, densa di contenuto e di strumenti; sempre più codificata, istituzionalizzata, «promossa e protetta» in Occidente e nel mondo. Almeno sulla carta. Viceversa, la libertà religiosa dell’opinione pubblica, dei leader politici e religiosi contro corrente, scompiglia contenuti e metodi consolidati, contesta strategie e risultati. Sono tre i fronti aperti. Anzitutto cresce la ribellione esplicita al modello della libertà religiosa occidentale, fondata sull’autonomia dei credenti. Governi autoritari approfittano dell’allarme per la violenza in nome di Dio. Cina e Vietnam rivendicano il diritto di amministrare i gruppi religiosi, i Paesi arabomusulmani imbrigliano i credenti col pretesto della lotta ai terroristi, la Russia ha appena adottato una legge liberticida sulle organizzazioni religiose, l’India di Narendra Modi impone l’hinduismo come una cultura nazionale cui aderire indipendentemente dalla propria religione.

Al contempo, vacilla il dogma americano, sostenuto da autorità come Brian Grim, per cui a maggior libertà religiosa corrispondono divinità più miti. Il più recente studio del Pew Research Center attesta proprio il contrario: si è alzata la protezione della libertà religiosa nel mondo, ma è anche cresciuto il terrorismo in nome di Dio e i Paesi al mondo in cui si muore per Dio sono passati dai 124 del 2013 ai 142 del 2014.

Il secondo fronte è la critica dall’interno dell’Occidente della «politica della libertà religiosa» americana ed europea. Elizabeth Shakman Hurd (Beyond Religious Freedom. The New Global Politics of Religion, Princeton University Press, 2015) critica l’opportunismo e le controindicazioni dell’esportazione della libertà religiosa occidentale. Saba Mahmood (Religious Difference in a Secular Age. A Minority Report, Princeton University Press, 2016) attacca il progetto egualitario dello Stato moderno e denuncia il fallimento dell’idea laica di libertà religiosa, con riguardo in particolare alla convivenza tra maggioranza e minoranze nei Paesi arabi.

Il terzo fronte è quello dei cristiani conservatori, che ritengono le leggi occidentali sull’eguaglianza di genere e di orientamento sessuale il peggior attentato alla loro libertà religiosa. Rischiano di non poter più licenziare un insegnante gay da una loro scuola o condannare l’omosessualità dal pulpito; se ufficiali di stato civile, sono obbligati a celebrare matrimoni dello stesso sesso. «Abbiamo perso la guerra culturale» con i progressisti, ha scritto in proposito il conservatore americano Rod Dreher, e «dobbiamo abituarci a vivere sotto occupazione per un tempo indefinito».

L’ortodossia della libertà religiosa presidiata dai governi occidentali vacilla. Essa è sotto attacco ogni giorno sui tre fronti dei governi non occidentali, dei critici americani ed europei, dei cristiani conservatori. È cambiato il senso per la libertà religiosa dell’opinione pubblica. Riconosciamo ancora la nostra storia e teniamo ai nostri princìpi, ma non siamo più convinti che essi possano governare le nuove sfide, in casa e nel mondo. È finita la vecchia libertà religiosa. Forse ne sta nascendo una nuova.

 

Marco Ventura

in “la Lettura” del 24 luglio 2016

 

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