Koinonia Agosto 2016


LO SPIRITO SANTO E LA KOINONIA

 

Lo Spirito Santo e la Koinonia. Quando diciamo “Koinonia” - tradotto in italiano col termine “comunione” o anche “unione fraterna” - noi pensiamo a quel dono dello Spirito Santo per il quale l’uomo non è più solo né lontano da Dio ma è chiamato ad essere parte della stessa comunione che lega fra loro il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e gode di trovare dovunque, primariamente nei credenti in Cristo, dei fratelli con i quali condivide il mistero profondo del suo rapporto con Dio (cfr. Cei, CC, 14).

La comunità cristiana è una forma concreta di aggregazione che nasce dalla comunione, dono dello Spirito. Per questo molto giustamente Dietrich Bonhoeffer - pastore e teologo protestante, inquietante profeta cristiano, martire coraggioso nella tempesta di violenza del nazismo - diceva: “la comunità cristiana è una realtà pneumatica e non psichica. Ed in questo veramente essa differisce da ogni altra comunità. La Sacra Scrittura indica col termine pneumatico (= spirituale) ciò che solo lo Spirito Santo crea... Chiama invece psichico (= dell’animo) ciò che nasce, dagli istinti, dalle forze naturali, dalla disposizione dell’animo umano” (D. Bonhoeffer, La vita comune, Queriniana, 1972).

Se la comunità cristiana è la manifestazione storica, cioè visibile e rilevante nella sua continuità, della comunione, dono invisibile dell’invisibile Spirito Santo, allora:

- Dobbiamo essere profondamente delusi degli altri, dei cristiani in generale e, se va bene, anche di noi stessi, quant’è vero che Dio vuole condurci a riconoscere la realtà di una vera comunione cristiana. Dovremmo come S. Maria Maddalena de’ Pazzi attaccarci alla campana dei nostri campanili e metterci a gridare: “L’ Amore non è amato! L’Amore non è amato!”.

- Dobbiamo esaminare noi stessi e, invece di diventare accusatori della comunità, accusare noi stessi per la mancanza di fede, per l’egoismo che ci imprigiona, per l’incapacità di aprire per primi il cuore ai fratelli, per l’incostanza degli impegni e per l’avarizia

del nostro amore.

Dovremmo dire come S. Francesco: “Mi sembra di essere il più grande peccatore”. E a chi replicasse di no, dovremmo dirgli con sincerità: “Se Cristo avesse trattato il più scellerato degli uomini con la stessa misericordia e bontà con cui ha trattato me, sono sicuro che quello sarebbe molto più riconoscente di me a Dio”.

- Dobbiamo ringraziare Dio per le cose piccole di tutti i giorni. Noi impediamo a Dio di concederci i grandi doni spirituali, che Egli tiene in serbo per noi, perché non ringraziamo per i doni quotidiani.

Mi ha lasciato senza respiro la testimonianza di un sacerdote, che è stato per trentasei anni in un campo di concentramento: “Ti rendi conto di quanto Dio è stato buono con me? Mi ha preso che ero solo un giovane prete e mi ha messo prima in prigione e poi in un campo di concentramento, per più di metà della mia vita. Ho potuto così essere suo ministro là dove era necessaria la presenza di un suo ministro!”.

- Dobbiamo incontrare in Cristo ogni nostro fratello. Infatti, se siamo stati eletti in Gesù prima che potessimo saperlo e volerlo, e siamo stati inseriti in una concreta comunità, apparteniamo tutti insieme a Lui per l’eternità.

E poi, ciò che è determinante per la nostra comunione è quel che Gesù ha fatto per ambedue. Questo diventa anche la misura del mio amore: ciò che Gesù ha fatto per me, io lo devo fare per il fratello.

Come non ricordare la leggenda di S. Martino vescovo? Ancora catecumeno, divide il suo mantello di soldato con un povero infreddolito e, in sogno, gli appare Gesù ricoperto da quel mantello.

 

Card. Silvano Piovanelli

da Siate testimoni

Riflessioni sugli Atti degli Apostoli nell’anno pastorale 1993-94

 

 

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