Koinonia Agosto 2016


Presentazione del libro di Mariangela Maraviglia (II)

 

“DAVID MARIA TUROLDO - LA VITA, LA TESTIMONIANZA”

(Ed. Morcelliana, Brescia, 2016)

 

La stagione fiorentina – Trasferito al Convento fiorentino dell’Annunziata, Turoldo visse (1954-58) in pochi anni una straordinaria esperienza in una città di cui sentiva il tutto il fascino e che era caratterizzata da un eccezionale fiorire di esperienze culturali, politiche religiose. La figura di La Pira costituiva un punto di riferimento fondamentale con la sua personalità e le sue iniziative. Ma è impressionante il numero di personaggi estremamente significativi con cui Turoldo potè intessere amicizie, durate poi tutta la vita: Gozzini, Meucci, Padre Balducci, don Bensi, , Don Barsotti , Don Lupori e non ultimo Don Milani.

Turoldo, accolto dai confratelli con un misto di ammirazione e timore, si lanciò in un’attività frenetica cha andava dalla predicazione alla cura della Liturgia (nella messa della carità che aveva iniziato col confratello Vannucci), dalle conferenze ad un cineforum, dalla trasformazione del Bollettino dei servi in una rivista formativa, a vasti progetti e realizzazioni editoriali. Nel suo orizzonte culturale si approfondiva l’apporto della cultura francese,  e cominciavano ad emergere i temi dell’ecumenismo, del cristianesimo orientale, della liberazione dei popoli dall’oppressione coloniale.

Nel 1958 Ermenegildo Florit ricevette da Roma le facoltà proprie dei vescovi residenziali: era stato mandato a Firenze per controllare e “normalizzare” una diocesi molto effervescente, compito che egli realizzò con durezza. Il primo ad essere allontanato fu Turoldo, in accordo col S. Uffizio ed il Generale dell’ordine: egli venne assegnato nel settembre del 1958 al Convento dei Servi di Maria di Londra.

Di nuovo in cammino -Tra Londra e L’America si svolse il nuovo esilio di Turoldo: si tratto di un biennio caratterizzato da una accoglienza serena a Londra ed intensissima attività di predicazione soprattutto per gli emigrati in terra d’America, in particolare in Canada Continua una abbondante produzione scritta e tanti incontri significativi (come quello con Maritain), ma Turoldo continuamente scriveva quasi implorando il rientro in patria (anche chiedendo l’interessamento di Montini). Infine egli fu accolto nel 1960 nel convento di Santa Maria della Scala a Verona ( con l’ordine di non recarsi a Milano) per poi passare al Convento di S. Maria delle Grazie di Udine. A Udine iniziarono subito attività che concretizzavano la sua costante e forte ansia evangelizzatrice: messa della carità, cineforum, predicazione a livello locale, nazionale ed internazionale (Monaco, Londra, Sud Africa, Canada).

A contatto con la terra d’origine, ed in seguito all’incontro con un documentarista, Mario Casamassima, egli pensò di ricavare un film documento da un suo scritto inedito “Io non ero un fanciullo” sulla realtà friulana in trasformazione. Chiese aiuto a Bernabei e a Pandolfi  e creò, con l’aiuto di molti una casa di produzione le Grazie film. Le riprese furono fatte nel 62 , nelle zone friulane, con attori non professionisti: protagonista il piccolo Checco con la sua famiglia contadina, in lotta con la fame ma caratterizzata da saldi valori morali. Il ragazzo riesce a vincere situazioni difficili realizzando un processo di crescita verso l’acquisizione di maturità e dignità. Il film uscito con titolo “Gli ultimi”, al di là del successo della prima proiezione nazionale a Udine nel 1963 e dell’apprezzamento della critica locale (per il carattere tra lirico e neorealistico), fu un disastro commerciale e non attrasse per niente il pubblico. Per un decennio Turoldo lottò con i creditori fino a concludere la vicenda con la liquidazione della Casa di produzione.

Nel frattempo si era aperta una nuova stagione nella chiesa con l’elezione di Giovanni XXIII al pontificato nel 1958, con l’annuncio e l’apertura del Concilio. Stagione salutata da Turoldo con entusiasmo, come giorni di grazia, realtà che aveva del miracoloso. Il fervore del momento si tradusse anche in una fitta collaborazione con l’Avvenire d’Italia diretto da Raniero La Valle e con l’Osservatore Romano.

In quel periodo stava inoltre maturando in lui la ricerca di un luogo di ritiro e di silenzio, ricerca che si unì ad una così profonda adesione alla persona di Papa Giovanni da fa sì che, nel giorno della sua morte, il 3 giugno 1963, Turoldo decise di ‘camminare sulle sue stesse strade’ e creare una nuova piccola Assisi. La millenaria abbazia di S. Egidio nella frazione di Fontanella di Sotto il Monte gli parve il luogo ideale per realizzare il suo progetto. Nel 64 chiedeva al provinciale l’autorizzazione ufficiale a dedicarsi a quest’opera, ottenendola. Nasceva la “Casa di Emmaus”, casa di preghiera e di studio. Dopo i vari passaggi giuridici necessari, il vescovo Gaddi nell’ottobre del 64 approvava la costituzione di un Centro di studi ecumenico nel nome di Papa Giovanni nella Parrocchia di S. Egidio Ab in Fontanella al Monte. Alla casa era legata l’Associazione Amici di Emmaus. Scrittura, ecumenismo, preghiera ed ospitalità (a credenti e non credenti) erano tratti caratterizzanti la Casa (ma anche elementi alla base di varie esperienze di chiesa di quegli anni, come Bose, l’eremo delle Stinche, la fraternità di Spello). Turoldo  era in contatto con tutti protagonisti di questo rinnovamento ed ecclesiale e con moltissime personalità significative in campo ecumenico ( come la svedese Vallquist e l’inglese  Beryl Eeman collaboratrice del patriarcato ecumenico al Consiglio delle Chiese a Ginevra). Egli agiva con grande libertà e capacità di sperimentazione. Tra il maggio e l’agosto del 65 andarono a vivere le prime quattro persone Ekman, rf Rva Alexanderson, di recente convertiti al cattolicesimo, il francese Robert Piquet e il catalano Juan Casanovas. La regola stilata nel 65 indicava una ricerca di stabilità ed impegni di preghiera comune, ma la permanenza delle persone fu assai varia: per molti si trattò di una tappa significativa che li condusse a nuove ricerche ed esperienze. La casa fu comunque davvero un centro di elaborazione e di scambio, caratterizzata da conferenze, convegni, preghiera, incontro tra innumerevoli personalità (Roger Schutz, Danielou, Alfrink, berrigan, Timidianis, Loris Capovilla…) Gruppi spontanei ed altri organizzati (come FUCI, Scout) venivano alla casa di Emmaus per trascorrervi brevi periodi. La vitalità dei primi anni è impressionante. Per periodi vari si fermarono il confratello Bernardino Zanella, Giancarlo Bruni e molti altri. Nel 67 nasceva la rivista Servitium; Turoldo continuando la sua opera di scrittore  incominciò a dedicarsi alla traduzione di canoni e Salmi. “Ho cercato di fare della poesia un continuo intervento nella storia. Poesia uguale esistenza, è l’esistenza che si fa canto. Come avviene nei Salmi. Poesia che è tanto lotta quanto preghiera, speranza o disperazione che sia, oppure gioia e dolore. Tutto ciò che fa corpo” (p 369) . Nel 73 usciva una traduzione metrico lirica del Salterio fruibile nel canto, con la speranza che potesse essere fatta propria dalla CEI (cosa che non avvenne). Anche negli anni successivi Turoldo lavorò sui Salmi e sulla loro utilizzazione liturgica, sperando in un’ampia diffusione, ma in questo campo non ottenne accoglienza.

Gli anni settanta e il dissenso cattolico, la contestazione. Turoldo, come molti altri, avvertiva che la spinta riformatrice del Concilio veniva frenata, e, al tempo stesso, sentiva le urgenze del mondo, come il movimento pacifista in relazione alla guerra del Vietnam, le problematiche dell’America Latina oppressa da povertà ed ingiustizie, le repressioni dei regimi conservatori e dittatoriali. Egli solidarizzava con i poveri in un’ottica mondiale, e si interessava fortemente delle vicende italiane: in particolare comprendeva le ragioni del dissenso cattolico che si diffondeva in Italia in quegli anni, ma era attento a non sposare posizioni di rottura, restando aperto al dialogo con tutti ma ancorato ad una difficile fedeltà verso la Chiesa, basata sul pregare e l’amare, sull’ancorarsi alla Parola di Dio (rifiutò di partecipare alla celebrazione di Don Mazzi all’Isolotto, ma lo aveva invitato a riposarsi a Emmaus). Sulla lacerazione che viveva è indicazione chiara il testo di una lettera all’amico Abramo Levi “… ora che oscillo come un bacchio tra  pietà e furore, tra fedeltà e ribellione; ora che i giorni si fanno certo più pesanti per tutti; e per me è sempre meno chiara l’utilità del servizio che rendo e che mi sembra perfino di tradire nel non scegliere una via o l’altra  … e intanto mi tocca a consolare gli altri… io cheli devo confortare e dire di sperare ancora… poi sono io che rimango col vuoto dentro, come di uno che ha dato via tutto” (p 313).

Davanti alle scelte di Don Rosadoni, agli impegni politici assunti da Girardi e Lutte, Turoldo riafferma la centralità ed il primato del rapporto uomo-Dio sempre in un’ottica di massima apertura e d’inclusività “ Per me la chiesa è ogni uomo, è tutta l’umanità nella misura in cui si apre alla Parola di Dio, al Cristo che si fa carne che ciò diventa storia di salvezza nel mondo; al Cristo in quanto conosciuto (accettazione della Rivelazione) o al Cristo in quanto valore misterioso che opera autonomamente nel mondo” (p.315).

Nel dibattito di quegli anni sul rapporto fede politica egli (anche se accusato di essere un prete di sinistra) rifiutava ogni forma di integrismo, anche si sinistra, che pretendesse mutuare direttamente dalla fede concrete scelte politiche. “la mia contestazione è assolutamente religiosa. Un cristiano deve mettersi fuori dal sistema… non può identificarsi con nessun.. là dove gli altri si fermano egli deve andare oltre perché il traguardo è l’infinito e l’uomo sarà sempre da liberare” (p.325).

Turoldo, sempre come un fiume in piena, scriveva per molte testate giornalistiche  nazionali, si impegnava  per la pace e per l’obiezione di coscienza (in particolare dopo i processi  in cui erano stati  coinvolti Gozzini, Balducci e Don Milani), prendeva posizione per le vittime delle dittature di America Latina (tra cui il domenicano Tito de Alencar Lima), solidarizzava con le madri di Plaza de Majo. Uomo appassionatamente e generosamente incarnato nel suo tempo , nelle sue drammatiche contraddizioni, solidale, senza risparmiarsi in un’attività teorica e pratica davvero prodigiosa.

Nel referendum sul divorzio pur essendo vicino alle posizioni dei cattolici del no, non si espose in pubblico, mentre è netta la sua presa di distanza dal movimento di Comunione e Liberazione che si stava affermando e proponendo una linea di presenza (integralista) assai diversa dalla sua (v p 346).

Gli attacchi in quegli anni furono particolarmente pesanti, ma continuava la predicazione, gli scritti e la vicinanza alle vittime (lo studente Cludio Varalli ucciso dai neofascisti, Giannino Zibecchi  travolto da un camion di carabinieri, Roberto  Franceschini) e alle lotte sindacali in Italia e all’estero.

Seguiva le controverse vicende della Corsia dei Servi a Milano (oggetto di vari attacchi). Si espose pubblicamente in occasione della tragica morte di Pier Paolo Pasolini con due lettere aperte di solidarietà alla madre del poeta e alla madre del giovane assassino (non pubblicate), ma la lettera alla madre di Pasolini la lesse al funerale (a cui, unico prete, era presente).

Ribadì più volte nel corso del tempo il suo appoggio al pluralismo dei cattolici in politica, fu vicino ai cristiani del Salvador colpiti dall’assassinio di Oscar Romero, alle marce per la pace, condivise le speranze per la caduta del muro e incominciò ad interessarsi negli anni’80 dei problemi ecologici. Si era prodigato per i problemi conseguenti al terremoto del Friuli (1976) e per il recupero della cultura propria della civiltà contadina.

Una parola va detta sulla interessante ricostruzione, che fa questa biografia, dell’impegno di Turoldo durante il sequestro di Aldo Moro (impegno di cui i brigatisti non vennero a conoscenza). In pubblico Turoldo prendeva posizione sull’autenticità delle lettere inviate da Moro, difendendo la fragilità dell’uomo e dei suoi affetti familiari (Cristo non è Socrate) ed aveva firmato un appello a favore della liberazione dello statista (su Lotta continua, appello rivolto sia ai brigatisti che alle istituzioni, perché facessero i passi necessari).

In privato, avuta notizia di contrasti sorti tra i brigatisti sulla sorte di Moro, con Dal Piaz ottenne l’assenso di alcuni vescovi ad offrirsi in ostaggio al posto di Moro (Ablondi,  Bettazzi, Clemente Riva). Le autorità ecclesiastiche romane si opposero decisamente, pensando che Poalo Vi aveva fatto fin troppo con la lettera in cui implorava la liberazione di Moro. Turoldo non si diede per vinto e telefonò a Craxi per tentare di interessare la Nunziatura apostolica. Tentativi intelligenti generosi instancabili, testimonianza di amore e di umanità, anche se purtroppo destinati al fallimento.

La malattia. La scoperta di un cancro al pancreas (1988), che lo condurrà alla morte nel 1992, fu spazio di nuova testimonianza ed annuncio perché egli volle rendere pubblica la malattia (molto bella è l’intervista che su questo rilasciò a Enzo Biagi nell’ 89 su rai uno, e l’accettazione che la sua ultima messa fosse mandata in onda in diretta televisiva). Incessante in questo periodo la meditazione sul male, sul dolore, sul silenzio di Dio, sulla tentazione di incredulità che si traduceva in scritti ed anche in predicazione (compatibilmente con le cure ed il progredire del male).

La forza della sua testimonianza, la particolarità incisiva del suo carisma personale emerse con assoluta evidenza nelle quasi diecimila persona che vennero a rendergli l’estremo saluto, e nella commossa attenzione della stampa.

Una parola ancora sulla poesia, suo mezzo di espressione ed annuncio più caratteristico apprezzata fin dai suoi esordi (si pensi al premio San Pellegrino del 1947) nonostante la carenza di una ricerca formale, di un labor limae. L’urgenza della comunicazione metteva tutto in secondo piano. La poesia s’imponeva laddove la l’intensità dell’esperienza era più forte “ispirazione poetica e tensione religiosa procedono con lo stesso ritmo in padre David” (Carlo Bo p 160).

 

Eredità/prospettive (elementi che hanno attraversato tutto il suo percorso)

La predicazione e  testimonianza . In primo piano s’impone l’urgenza di annunciare il vangelo con ogni mezzo (predicazione, scritti, convegni radio, film televisione), la passione per l’annuncio e dialogo con la modernità in mezzi e contenuti. Si tratta di una predicazione aperta, in  dialogo con tutti a partire dai non credenti  e dalle altre confessioni cristiane (ecumenismo).

Profezia e scelta per i poveri 

Egli scriveva “profeta non è uno che annuncia il futuro, è colui che in pena denuncia il presente” (p 329). Profezia esercitata sia in relazione alle vicende ecclesiali  che alle drammatiche e ambivalenti situazioni della storia in continua evoluzione. Profezia che non lasciava indifferenti, scuoteva le coscienze, suscitava adesioni e rifiuti, profezia mai taciuta, e accompagnata da esili, incomprensioni,  attacchi. 

La generosità e l’impegno per i poveri è una costante che verifica l’autenticità dell’annuncio (si pensi alle messe della carità, all’impegno per don Zeno e Nomadelfia,  all’appoggio ai cristiani perseguitati dalle dittature latino americane per la loro opzione per i poveri)

Poesia e Liturgia  Un’altra costante l’amore per la Scrittura, per i Salmi, per il canto che aiuta nel rapporto con Dio: da ciò nasceva l’intensità serena delle celebrazioni alla Casa di Emmaus.

La straordinaria capacità di intessere relazioni e la religione dell’amicizia. “Tutti coloro che incontravano Turoldo si sentivano amici suoi in un modo unico ed esclusivo, privilegiato e superiore agli altri“ (Ravasi p.406). Amicizie spesso durate tutta la vita.

 

Paola Palagi

(2. fine)

 

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