Koinonia Agosto 2016


PIERRE CLAVERIE, UNA VITA IN DIALOGO

Vent’anni dopo il suo assassinio,

insieme a quello del suo amico Mohamed Bouchikhi,

il pensiero di Mons. Pierre Claverie, vescovo di Orano (Algeria)

resta di sorprendente attualità

 

Yassine Elmagroud aveva solo 10 anni il 1° agosto 1996, quando Mons. Pierre Claverie è stato assassinato, insieme al suo amico Mohamed Bouchikhi, ma i loro percorsi hanno finito per incontrarsi. Cresciuto in un ambiente “algerino-musulmano tradizionale”, questo giovane oranese ha anch’egli vissuto nell’“ignoranza dell’altro”. La “bolla” in cui era rinchiuso ha cominciato a sfaldarsi quando, studente universitario, si è iscritto al Centro di documentazione economica e sociale, una di quelle biblioteche concepite dall’ex vescovo di Orano come piattaforme di incontri tra cristiani ed algerini. E si è completamente dissolta durante un soggiorno in Cina, che gli ha fatto incontrare degli atei, dei buddisti, dei cristiani... Un piccolo libro, Pregare quindici giorni con Pierre Claverie (1), lo ha aiutato ad esprimere questa esperienza. “Ho scoperto che, per lui, l’incontro non era uno slogan ma una pratica quotidiana. L’incontro mi aiuta a riconciliarmi con la mia fede e ad aprirmi all’altro”, ha dichiarato durante un convegno organizzato all’inizio di maggio dalla diocesi di Orano sull’ “attualità del pensiero” dell’ex vescovo della città.

Il pensiero di Pierre Claverie, elaborato nell’Algeria del dopo-indipendenza, poi della crescita della violenza islamista, legato anche alla storia personale di questo pied-noir (ndr.: francese in Algeria nel periodo coloniale) diventato domenicano e poi vescovo, risuona oggi in modo incredibilmente forte, al di là delle frontiere del suo caro paese natale che si è rifiutato di abbandonare durante la guerra civile. Forse bisogna cercarne la causa in quelle esperienze tanto umane che questo figlio del quartiere Bab-El-Oued ad Algeri comunicava così bene nelle sue omelie, nelle sue meditazioni, nei suoi articoli, ma anche nei dibattiti a cui partecipava. Dalla rilettura della propria infanzia, traeva una convinzione: l’ignoranza dell’altro, causa di esclusione e di violenza, è presagio di morte. E, inversamente, “uscire da se stessi” attraverso l’incontro è difficile, ma è sempre l’occasione di “un ‘di più’ di vita” (2).

Nel corso degli anni, il dialogo è così diventato “la parola fondamentale” della sua fede. “Non per tattica o opportunismo, ma perché il dialogo è costitutivo della relazione di Dio con l’umanità e degli uomini tra loro”, sottolineava (3). Perché “ognuno possa ritrovare ciò che porta di meglio, l’altro nella sua fede, io nella mia”, scriveva anche (2). Un modo di pensare e di credere stimolante oggi, in un periodo di ripiegamento identitario, di difficoltà - se non di rifiuto radicale - ad accettare il pluralismo. “Dotato di grande senso di osservazione acuito dalla corrispondenza che manteneva con la sua famiglia e dagli incontri con i fratelli domenicani, in un periodo segnato dall’effervescenza del Concilio Vaticano II, aiutato dalla sua immensa intelligenza e dal suo grande senso dell’umorismo”, Pierre Claverie ha creato un’opera che suor Anne-Catherine Meyer, domenicana a Orbey, che ha contribuito molto alla sua edizione, definisce “profetica”.

Ponendo costantemente l’interrogativo sul senso di una presenza cristiana in ambiente musulmano, confrontando la sua ricerca di verità con quella degli algerini in mezzo ai quali viveva, i suoi scritti emanano una sorprendente mescolanza di libertà e di profonda spiritualità. Crisi libanese, conflitto della Bosnia-Erzegovina, guerra contro l’Iraq... il domenicano “non trascurava mai le realtà sociopolitiche, la sua analisi non era mai esclusivamente religiosa”, ha ricordato padre Bernard Janicot, attuale direttore di quella biblioteca oranese.

Venticinque anni fa, l’ex vescovo di Orano vedeva già l’inevitabile migrazione degli abitanti del sud verso il nord. “I due terzi dell’umanità sono aspirati dal terzo che si arricchisce e si spopola. E l’Europa cambierà volto”, annunciava ai partecipanti ad un dibattito registrato all’abbazia di Sénanque nel 1993. “Bisognerà quindi vivere insieme (…) e se possibile mantenere uno spazio che non sia monopolizzato da una religione, da una cultura, da un tipo di ideologia”.

La sua lucidità, in particolare, davanti alla crescita delle correnti integriste all’interno dell’islam spiega anche la sua pertinenza attuale. “A livello religioso, si sviluppava lo stesso discorso: o si è all’interno e si esiste, o non ci si è, e si esiste al limite come ospite tollerato, ma non veramente facente parte della società”, scriveva nel gennaio 1996, pochi mesi prima della sua morte (4), a proposito dei “cambiamenti” dell’Algeria dopo l’indipendenza. “Non stupisce allora che, a poco a poco, questo islam sradicato dai valori profondi, sia umani che spirituali, e divenuto fattore politico, si trasformi oggi in strumento di violenza”.

Pierre Claverie non esitava a mostrarsi severo nei confronti di una certa forma di dialogo cristianoislamico fondato sulla “ricerca di ‘basi comuni’”. “È la trappola narcisistica di ogni dialogo che cerca di negare o di aggirare l’alterità”, scriveva nel 1983 a fratel Christian de Chergé, priore di Tibhirine. “Non si costruisce niente sulla menzogna, sulla paura di dispiacere e sulle ‘mezze verità’”, affermava inoltre (4).

Lontano dai “compromessi facili che ci esporrebbero a disillusioni gravi” (4), è piuttosto in “questa esistenza che condividiamo”, in “quegli ampi spazi di intesa e di collaborazione possibili” (difesa della libertà, della giustizia o dei diritti delle persone), che ha cercato costantemente di vivere il dialogo al quotidiano. La sua vita religiosa in Algeria non ha fatto che illustrare a fondo questa convinzione, espressa nell’omelia della sua messa di insediamento come vescovo di Orano il 9 ottobre 1981 (2): “Il dialogo è un’opera da riprendere incessantemente: solo il dialogo ci permette di disarmare il fanatismo, in noi e nell’altro. È attraverso il dialogo che siamo chiamati ad esprimere la nostra fede nell’amore di Dio che avrà l’ultima parola su tutti i poteri di divisione e di morte”.

 

Anne-Bénédicte Hoffner

in “La Croix” del 9 luglio 2016

(traduzione: www.finesettimana.org)

 

(1) Patrick Vincienne (ed. Nouvelle Cité, 2011).

(2) Quel bonheur d’être croyant (ed. du Cerf, 2011).

(3) Testo pubblicato come introduzione al messale 1996.

(4) Humanité plurielle (ed. du Cerf 2008).

 

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