Koinonia Agosto 2016


SU ECUMENISMO E DIALOGO INTER-RELIGIOSO

 

Di fatto, abitiamo ovunque gli uni a casa degli altri: perché non approfittare di questa coesistenza per scoprire, finalmente, che l’umanità è una nella diversità delle risorse? Non si potrebbe finirla con gli imperialismi e i nazionalismi, gli anatemi e i proselitismi? 

Lettera 28, maggio 1994, Le Lien 222, p.163

 

Quest’anno David B. non sarà con noi per portare la parola protestante durante la Settimana dell’unità dei cristiani (18-25 gennaio). Lo rimpiango tanto più che abbiamo bisogno di essere risvegliati dal nostro torpore cattolico per andare con maggiore determinazione verso i fratelli delle altre Chiese. Il rischio di accontentarci di ciò che crediamo e viviamo nella nostra tradizione latina è reso più forte da una specie di monopolio di fatto che ci è imposto dalle circostanze. Il numero dei protestanti e degli ortodossi è notevolmente diminuito e la loro accoglienza e assistenza religiosa nella regione è assicurata dai cattolici. Ci sono poi gli evangelici che, da una parte, si isolano da quella Babilonia dei tempi moderni che è la Chiesa, mentre dall’altra partecipano alle nostre assemblee con la loro specifica sensibilità che dobbiamo rispettare prestandovi una fraterna attenzione. Tutto questo è più importante e difficile che mai perché, nella nostra stessa Chiesa, la tradizione a cui rimangono legittimamente legati i più anziani viene bistrattata dai nuovi arrivati, la cui vitalità e cultura si manifestano con scalpore nelle assemblee di preghiera e nelle feste. «Perché siano una cosa sola...»: è l’ultima preghiera di Gesù per i suoi discepoli, una specie di testamento spirituale, ed è la condizione essenziale della verità e della credibilità della nostra vita cristiana. Che significato dobbiamo dare oggi a tutto ciò?

Lettera 44, gennaio 1995, Le Lien 238, pp.236–237  

 

Ci sono cristiani che, in tutto o in parte, si uniscono a volte al digiuno del Ramadan. Algerini o stranieri, intendono manifestare in questo modo che l’attaccamento a Gesù non comporta una rottura con la famiglia, l’ambiente, la cultura e le tradizioni del loro popolo di origine o di adozione. Va da sé che l’osservanza del digiuno non avrà in questo caso lo stesso significato che per i musulmani. Non si tratta, per noi, di prepararci a ricevere il Corano ma, in primo luogo, di esprimere la nostra solidarietà con un comportamento conforme a quello dei nostri fratelli. Questo comportamento sarebbe puramente formale e ipocrita se non fosse accompagnato dalla sincera intenzione di stabilire, come Gesù e insieme a lui, un rapporto di alleanza con un’umanità concreta per deporvi il lievito evangelico o il seme spirituale, che sono in grado di cambiare tutto, dall’interno. Il semplice mimetismo sarebbe inaccettabile, se non fosse vissuto in una fedeltà rinnovata negli aspetti essenziali dell’appello di Gesù su cui ritorneremo. Altri cristiani si sforzano, per lo meno, di rispettare il digiuno dei musulmani non violandolo pubblicamente. Altri, infine, partecipano al pasto di rottura, ogni sera, o alle veglie in famiglia e fra amici. Tuttavia, in nessun momento possiamo condividere totalmente ciò che vivono gli altri con un altro spirito. Tutt’al più, possiamo provare con loro la fame che scava il desiderio di Dio, della riconciliazione e della fraternità universale, la fame del corpo che spinge alla condivisione o la fame del cuore che invoca il dono dell’amicizia. Come cristiani, siamo invitati a digiunare...  Scavare in se stessi un’attesa per accogliere una parola che ci apre alla presenza divina e allarga i nostri cuori ai richiami infiniti dell’amore. Liberare, infine, il nostro spazio ingombro per far posto agli altri e a Dio, entrando così nella condivisione e nella comunione... In questo modo non facciamo che portare avanti ciò che il battesimo aveva inaugurato all’inizio della nostra vita cristiana: il passaggio (la Pasqua) dalla schiavitù alla libertà, dal possesso alla condivisione e all’abbandono di ciò che l’apostolo Paolo chiama il «vecchio uomo» (caratterizzato dalla «concupiscenza») all’«uomo nuovo», abitato dallo Spirito santo, figlio di Dio con Cristo.

Lettera 36, marzo 1995, Le Lien 230, pp.198-99

 

Il 1995 è l’anno della tolleranza. Questa parola è insopportabile quando significa la condiscendenza del vincitore di fronte a colui che prende sotto la sua protezione, a condizione che accetti la sua posizione servile. Davanti agli eccessi dei fanatici e dei purificatori, ci si abbandona a sognare la tolleranza, ma si spera soprattutto che, un giorno, credenti e non credenti, creature di Dio e senza Dio, accetteranno di essere semplicemente esseri umani e di dare prova di umanità verso tutti i loro fratelli umani. Lo dovranno però fare con una preminente attenzione alla salvaguardia, alla crescita e allo sviluppo di ogni vita (non solo umana), nel segno di una solidarietà in grado di esprimere la reciproca dipendenza di tutti i viventi, dovuta al fatto che ogni essere è indispensabile all’armonia e all’equilibrio di tutti. Questo messaggio ci viene svelato, come in negativo, dalla morte dei nostri fratelli. Tocca a noi ascoltarlo con attenzione.

Lettera 34, gennaio 1995, Le Lien 228, 190-191

 

 

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