Koinonia Agosto 2016


La voce di Frei Betto

IL CRISTIANESIMO COME PROGETTO DI CIVILTÀ (II)

 

GESÙ È VENUTO A FONDARE UNA RELIGIONE?

Siamo stati educati nell’idea che Gesù venne a fondare una religione o una Chiesa. Ma ciò non coincide con quanto dicono i vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, le principali fonti sulla persona di Gesù.

In tutti e quattro i vangeli la parola Chiesa appare solo due volte, e solo in Matteo. E i vangeli stanno a indicare come Gesù fosse un severo critico della religione dominante nella Palestina del suo tempo, basti leggere il capitolo 23 di Matteo.

Già l’espressione “Regno di Dio” (o “Regno dei cieli” in Matteo) appare più di cento volte in bocca a Gesù. Il teologo Alfred Loisy diceva che Gesù aveva predicato il Regno, ma che ciò che si era avuto era stata la Chiesa...

Gesù visse, morì e resuscitò sotto il regno di Cesare, un titolo concesso ai primi 11 imperatori romani. A partire dall’anno 63 prima della nostra era, la Palestina si trovava sotto il dominio dell’Impero Romano. Era una provincia fortemente controllata da Roma, politicamente, economicamente e militarmente. Tutta l’azione di Gesù si svolse sotto il regno dell’imperatore Tiberio Claudio Nerone Cesare, al potere dall’anno 14 all’anno 37. La Palestina nella quale visse Gesù era governata da autorità nominate da Tiberio, come il governatore Ponzio Pilato (il quale, curiosamente, è stato immortalato nel Credo cristiano) e la famiglia del re Erode. La società era diretta da un potere centrale che si manteneva con le imposte riscosse dal popolo, dalle comunità rurali e dalle città.

Pertanto, parlare di un altro regno, quello di Dio, all’interno del regno di Cesare aveva l’effetto che avrebbe oggi parlare di democrazia in tempi di dittatura. E questo spiega la ragione per cui tutti noi cristiani siamo discepoli di un prigioniero politico. Gesù non è morto di epatite nel suo letto, né in un disastro di cammelli lungo una strada di Gerusalemme. Come tanti perseguitati dai governi autoritari, arrestati, torturati e uccisi, egli pure è stato arrestato, torturato, giudicato da due poteri politici e condannato a morte sulla croce. La domanda da porre è questa: che tipo di fede hanno, oggi, i cristiani, se neppure reagiscono a questo disordine stabilito in cui, secondo l’Oxfam, 62 famiglie possiedono una fortuna pari al reddito di 3,6 miliardi di persone, metà dell’umanità?

Al contrario di ciò che molti pensano, per Gesù il Regno di Dio non era solo qualcosa là in alto, nel Cielo. Era, soprattutto, qualcosa da conquistare in questa vita e su questa Terra. «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10, 10). Ed egli fu l’uomo nuovo per eccellenza, il prototipo di ciò che dovranno essere tutti gli uomini e tutte le donne del “Regno” futuro, la civiltà dell’amore, della giustizia e della solidarietà.

Le basi di questo progetto di civiltà e dei suoi valori si trovano rispecchiate nella prassi e nelle parole di Gesù. Se operiamo come lui, questo nuovo mondo dovrà diventare realtà. È questa l’essenza della promessa di Gesù.

 

LA CENTRALITÀ DELL’UMANO

Si può non avere una fede cristiana e persino provare avversione per la Chiesa. Ma a imboccare il sentiero di Gesù è qualunque persona affamata di giustizia, libera da qualsivoglia pregiudizio nei confronti degli esseri umani, capace di condividere i propri beni con chi ne ha bisogno, di preservare l’ambiente, di avere compassione e saper perdonare, di essere solidale con le cause che difendono i diritti dei poveri.

Gesù non è venuto ad aprirci la porta del cielo. È venuto a riscattare l’opera originaria di Dio, che ci ha creati perché vivessimo in un paradiso, come indica il libro della Genesi. Se il paradiso non si è realizzato, è perché abbiamo abusato della nostra libertà anelando a trasformare in proprietà privata ciò che, di diritto, è di tutti.

Gesù non è venuto come un extraterrestre per portarci un catalogo di verità estranee al nostro mondo. È venuto a ri-velare, disvelare, togliere il velo, cioè a farci vedere ciò che è già parte del nostro procedere, del nostro quotidiano, ma del cui valore trascendente non avevamo idea.

È venuto ad avvisarci: il mondo che Dio vuole ha questo profilo, queste caratteristiche! Un mondo in cui non ci siano esclusi, affamati, vittime di ingiustizia. Un mondo in cui la solidarietà regni sulla competitività e la riconciliazione sulla vendetta.

Questo progetto di Dio, annunciato da Gesù, ha il suo centro non in Dio, ma nell’essere umano, fatto a immagine e somiglianza di Dio. Solo nella relazione con il prossimo si può amare, servire e onorare Dio.

I missionari che colonizzarono l’America Latina bruciarono indigeni, come il capo indio Hatuey, a Cuba, colpevoli di rendere culto a un Dio diverso da quello dei cristiani. Ebbene, Gesù non predicò ai farisei e ai sadducei un altro Dio, differente da quello a cui rendevano culto gli ebrei nel Tempio di Gerusalemme. Predicò che, per l’essere umano, l’essere supremo è lo stesso essere umano. In Matteo 25, 31-46, Gesù si identifica con l’affamato, l’assetato, lo straniero, l’ignudo, l’infermo, il prigioniero. E chiarisce che è al servizio di Dio chi libera il prossimo da un mondo che produce tali forme di oppressione e di esclusione.

Pertanto, ciò che Gesù è venuto a portare tra noi non è stata una Chiesa o una nuova religione. È stato un nuovo progetto di civiltà, basato sull’amore per il prossimo e per la natura e sulla condivisione dei beni della Terra e dei frutti del lavoro umano. Una nuova civiltà in cui tutti siano inclusi: storpi, ciechi, lebbrosi, mendicanti e prostitute. E in cui la vita, il più grande dono di Dio, sia da tutti goduta in pienezza.

Come raggiungere tale progetto di civiltà? Gesù ha posto nitidamente l’accento sul fatto che a tale scopo è necessario rinunciare, come valori o obiettivi di vita, all’avere, al piacere e al potere, simbolizzati nell’episodio delle tentazioni nel deserto (Lc 4,1-13). E, al contrario di ciò che si presuppone, chi lo fa incontra ciò che ogni essere umano desidera di più, la felicità, o, nei termini del Vangelo, la beatitudine, esplicitata da Gesù in otto vie che imprimono un senso altruista alle nostre vite (Mt 5,3-12). Bisogna essere solidali con gli esclusi, come il buon samaritano; compassionevoli, come il padre del figliol prodigo; spogliati di tutto, come la vedova che dona al Tempio il denaro che le era necessario. Bisogna assicurare a tutti condizioni degne di vita, come nella condivisione dei pani e dei pesci. Bisogna denunciare coloro che mettono la legge al di sopra dei diritti umani e fanno della casa di Dio una spelonca di ladri. Bisogna trasformare la nostra carne e il nostro sangue in pane e vino affinché tutti, come fratelli e sorelle, intorno alla stessa mensa, condividano il miracolo della vita uniti da un solo Spirito.

Ebbene, se siamo d’accordo sul fondamento di tutta la predicazione di Gesù - il fatto che l’essere supremo è lo stesso essere umano - allora non resta che chiederci perché tanti esseri umani, in questo mondo globocolonizzato in cui viviamo, siano condannati da strutture ingiuste alla miseria, all’esclusione, alla migrazione forzata, alla morte precoce e, insomma, a una vita di sofferenza e di oppressione.

E che abbiano o meno fede in Dio, tutti coloro che si impegnano a combattere le cause dell’ingiustizia compiono la volontà di Dio secondo la parola di Gesù. E credono che questo “regno di Cesare” debba essere abolito per far spazio a un altro regno, le cui strutture assicureranno a tutti una vita in pienezza. E in questo si riassume il progetto di Dio per la storia umana e l’utopia annunciata da Gesù.

 

Frei Betto

(2. fine)

 

* Adista Documenti n° 20 del 28/05/2016                                      

 

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