Koinonia Agosto 2016


IL CARD. GUALTIERO BASSETTI

IN RICORDO DEL CARD.SILVANO PIOVANELLI

 

Il vero Silvano Piovanelli raccontato da chi lo ha conosciuto e ha vissuto accanto a lui nel servizio alla Chiesa fiorentina. In questa intervista al nostro giornale, il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia - Città della Pieve, ricorda l’arcivescovo emerito di Firenze, di cui è stato a lungo uno dei più stretti collaboratori.

 

Quando vi siete conosciuti?

Nell’ottobre 1956 entrai nel seminario minore e fui accolto da un giovane prete appena trentenne: era lui. Venivo dall’Appennino ed ero un po’ sperduto perché non avevo mai visto Firenze. Egli mi dette fiducia e tra noi iniziò un rapporto di fraternità. Tanto che nel 1990, da arcivescovo, la nominò suo provicario generale e poi vicario. Cercai di sottrarmi, perché avevo già fatto tanti anni come rettore del seminario. Chiesi che mi venisse affidata una parrocchia, ma mi disse di non preoccuparmi. «Se il Signore - mi confidò - ha scelto un due di briscola come me per guidare questa Chiesa, saprà valorizzare anche tutta la tua opera. Ti chiedo solo di starmi accanto». Così accettai e camminai insieme a lui per il bene della Chiesa a Firenze.

 

Si instaurò quindi una sintonia tra voi?

Sicuramente per la comune appartenenza all’umanesimo fiorentino. Piovanelli veniva da quel gruppo di preti nutrito dal cardinale Dalla Costa: discepoli che in maniera diversa hanno attinto al suo carisma. Don Bensi, don Facibeni, padre Santilli, padre Balducci, don Barsotti, monsignor Agresti: tutte persone preparate anche dal punto di vista culturale, epigoni di quell’umanesimo fiorentino che praticamente hanno edificato la città di quei tempi. E noi quel clima l’abbiamo respirato in seminario.

 

E il legame con il cardinale Giovanni Benelli?

Alla fine del settembre 1978, una mattina, mandò a chiamare me e Piovanelli. Egli era entrato nello studio dell’arcivescovo prima di me e lo vidi uscire turbato. Poi entrai io e Benelli esordì: «devo mettere un rettore al seminario maggiore, perché stanno entrando quindici giovani, e l’attuale è molto anziano. Dato che devo nominare anche il pro-vicario generale ho scelto Piovanelli e te come rettore». Poi mi spiegò: «Piovanelli lo conosco un pochino meno. Te, invece, ti conosco bene nei tuoi limiti e nelle tue virtù. Basta tu offra ai giovani la gioia del tuo sacerdozio». Cominciò così l’avventura: io rettore e lui pro-vicario. Si arrivò così alla successione sulla cattedra fiorentina. Bisogna prima fare un passo indietro: già nel 1982 la salute del cardinale Benelli declina. Noi non lo sapevamo, ma irrimediabilmente. Quando l’a rc i v e s c o v o fece un pellegrinaggio in Terra Santa, c’ero anche io e vidi che camminava a fatica. Rientrati a Firenze, non poté ordinare i diaconi, perché era a letto. Poi si riprese, celebrò la Pasqua e nell’estate andò in Brasile.

Nel frattempo il 24 giugno aveva ordinato vescovo Piovanelli che il Papa aveva nominato suo ausiliare. In Brasile il cardinale Benelli era sceso nelle favelas, nel fango, salutando a uno a uno i lebbrosi che incontrava. E quando tornò mi chiese di accompagnarlo alla settimana liturgica a Varese. Ci andai volentieri.

In quel tempo sulla stampa c’erano le polemiche contro monsignor Marcinkus. A un certo momento mi disse che i vescovi italiani non stavano capendo cosa stesse succedendo. Mi confidò che si intendeva colpire la figura del Papa. E ribadì: «Io devo difendere il Papa».

 

E dopo la morte di Benelli?

Piovanelli rimase sconcertato, perché l’arcivescovo non gli aveva detto nulla riguardo al suo futuro. Comunque venne nominato amministratore diocesano e diresse la diocesi con il cuore del cardinale Dalla Costa, perché il suo umanesimo era diverso da quello di Benelli. Infine Piovanelli divenne arcivescovo e nessuno se lo aspettava.

 

L’eredità che lascia?

È stato un grande pastore, aperto a tutte le realtà. Ricordo un particolare: c’era un prete giovane alle Piagge di Firenze, molto progressista. Piovanelli gli aveva dato un appartamentino, perché potesse stare in mezzo alla sua gente. E lui dette la casa a una famiglia. I giornali lo criticarono. Eravamo nel tempo di Natale e al Te Deum di fine anno Piovanelli disse: «Questa Chiesa continuerà a essere viva finché continueranno a esserci preti che danno ai poveri la loro casa e scelgono di andare ad abitare nella cabina della luce». Questo era il vero Piovanelli

 

dall’Osservatore romano del 10 luglio 2016

 

.