Koinonia Luglio 2016


Presentazione del libro di Mariangela Maraviglia

 

“DAVID MARIA TUROLDO - LA VITA, LA TESTIMONIANZA”

(Ed. Morcelliana, Brescia, 2016)

 

Introduzione - Prima di tutto voglio esprimere gratitudine per l’autrice: il testo presuppone un immane lavoro in archivio con fonti inedite e materiali vastissimi già pubblicati, e presenta fin da una  prima lettura vari pregi. Innanzitutto colma un vuoto,  perché, mentre la produzione poetica era stata indagata e presentata, l’arco biografico di una vita così intensa, significativa e lunga mancava di una attenta e documentata ricostruzione. Inoltre l’autrice ha fatto, a mio avviso, una scelta felice unendo ad una trattazione chiara e scorrevole un apparato critico di note e di approfondimenti imponente. E’ possibile quindi fruire l’opera sia a livello specialistico, dedicandosi ad approfondire un periodo od un aspetto grazie all’apparato critico, alle note ed alle  indicazioni bibliografiche, sia a livello di una lettura accessibile ad un pubblico più vasto, desideroso di condividere le vicende turoldiane e di scoprirne i diversi aspetti. Di grande interesse è l’intreccio tra la biografia dell’uomo e le complesse e assai varie vicende storiche e a cui egli partecipa  con passione, generosità e fortissima capacità di protagonismo. Leggendo il testo si rivivono pagine di storia intense e spesso drammatiche ed un percorso di chiesa attraversato da tante figure significative, da eventi epocali come il Concilio, ma anche da tante resistenze e incomprensioni del nuovo. E’ anche fortemente presente la storia nella sua dimensione nazionale ed internazionale, nei suoi drammi e nelle sue aperture e nuove possibilità.

Le tappe più significative - Vorrei ripercorrere, con la guida del testo di Mariangela Maraviglia, le tappe più importanti della vita di Turoldo, facendo alcune scelte e sottolineature in una esperienza tanto ricca e multiforme che merita adeguati spazi di approfondimento da molteplici punti di vista, per passare poi a fare alcune considerazioni sulle caratteristiche peculiari della sua testimonianza e della sua figura, e per tentare infine di sottolineare alcuni aspetti che possono indicare piste e orizzonti nell’oggi.

Origini – Turoldo nasce nel Friuli, in piena guerra mondiale e alla sua terra di origine rimane sempre legato affettivamente. Interessante la rievocazione della sua infanzia, seguendo la sua poesia ed i suoi scritti, come esperienza caratterizzata da povertà, fame, e dal sano realismo dei genitori che lavoravano con dedizione per la numerosa famiglia (8 figli).

L’origine della vocazione non è del tutto precisata negli scritti di Turoldo. Probabilmente nacque da un insieme di elementi, tra cui un desiderio di aiuto ai poveri (“io andrò a sfamare tutti i ragazzi poveri”),  forse anche da un inconscio desiderio di promozione sociale, dall’incontro con delle figure sacerdotali significative come Don Adamo de Simon (che il piccolo Giuseppe andava spesso ad aiutare) e dal clima di intensa religiosità della famiglia e dell’ambiente. Molto suggestivo un testo in cui scrive: “vedevo il volto di mia madre contadina, il volto della Madonna popolana, che mi sembrava l’immagine di tutte le donne del  Friuli vestite di nero”. Visitando il vicino santuario di S. Maria delle Grazie di  Udine, il fanciullo sentì il desiderio di unirsi ai frati servi di Maria “il nascere di una vocazione di frate a cui non aveva potuto rinunciare”.

Tredicenne iniziò a studiare nell’anno scolastico 1929-30 il primo ginnasio dell’Istituto Missioni dei Servi di Maria di Monte Berico a Vicenza. Fece un percorso di studi regolare e con buoni esiti, in un ambiente angusto, caratterizzato da un’impostazione tradizionale e dall’insegnamento del tomismo; nel 1940 ricevette gli ordini maggiori (nel 35 aveva già assunto il nome di David).

Il carattere inquieto focoso e indomito traspare occasionalmente, insieme all’emergere di una forte vena poetica ed alle inquietudini sul mistero di Dio. In questo periodo troviamo un fugace interesse per il fascismo (testimoniato da una poesia) problemi di salute, la stima e l’amicizia con padre Zini (uomo di cultura e poesia, di mentalità aperta) e anche l’amicizia, che durerà tutta la vita, con Camillo Del Piaz, compagno di studi.

 

Il Convento di S. Carlo a Milano e la Resistenza - Turoldo è inviato con Camillo Del Piaz a Milano nel 1941 dove essi vivono l’esperienza dei bombardamenti, le necessità di aiuto a tanta parte della cittadinanza, l’accoglienza in convento di persone di diversi orientamenti desiderose di ricostruire la vita sociale in Italia, non appena la guerra fosse passata. Ottimo il rapporto col cardinale Schuster, che lo chiamò nel 43 a celebrare e predicare in Duomo. Nel frattempo Turoldo matura una vicinanza alla Resistenza (non armata) e pubblica un giornale clandestino “L’uomo”. Negli archivi si trova la tessera di appartenenza al Corpo dei volontari della libertà (44) ed i contatti con uomini del Comitato di liberazione nazionale.

Non posso entrare nel dettaglio dei tanti incontri e delle tante relazioni significative che a partire da questi anni intessono la vita e l’impegno di Turoldo : sottolineo la sua straordinaria capacitò di apertura (provenendo da anni “angusti” di seminario), il suo poligrafismo che portò ad una abbondanza di interventi, di scritti, di composizioni poetiche, l’inesauribile energia appassionata che lo faceva (e lo farò ) organizzare convegni, incontri e che attrae intorno a lui i giovani. Evidente la sua straordinaria capacità di leadership e quello che Frosini chiamerà “il carisma dell’entusiasmo”.

Il rifiuto di una impossibile neutralità nei confronti del fascismo e la lucida denuncia delle stragi perpetrate in suo nome si uniscono all’impegno di difesa di fascisti a rischio di linciaggio e di un giovane militare tedesco trovato in chiesa a pregare. La generosità e la schiettezza dell’uomo appaiono in pieno vigore come anche  un altro tratto essenziale della sua vita, l’impegno per gli ultimi, i poveri. Questo aspetto è testimoniato , in quegli anni, anche  dalla partecipazione alla missione pontificia del 1945 per portare aiuti  a italiani ancora imprigionati nel Lager tedeschi (e cercare di ricondurli in Italia). In tal modo Turoldo potè avere diretta conoscenza della terribile ed “indicibile” realtà dei campi di sterminio.

 

Anni quaranta – dopoguerra

Nel 1946 egli discusse la tesi in Filosofia con un lavoro dal titolo” Per una ontologia dell’uomo”. L’autrice fa notare come il nostro con un entusiasmo “non scevro di ingenuità” intenda fare i conti con tutto il patrimonio della filosofia occidentale, arrivando a toccare il tema della impotenza della parola di fronte alla realtà che ci sovrasta e ad indicare gli spiragli che l’arte può aprire all’uomo per esprimere l’ineffabile. Vorrei evidenziare la conclusione dell’autrice che coglie un elemento identitario profondo di Turoldo affermando che non la filosofia (e si può aggiungere anche l’approfondimento teologico) fu l’orizzonte di riferimento di Padre Davide ma la religione/rivelazione e l’arte.

 

Nel fervore culturale dei primi anni del dopoguerra, tra gli innumerevoli contatti e confronti su una nuova cultura da creare (si pensi agli incontri con  Vittorini, Alfonso Gatto, Franco Fortini e con molti altri), vorrei sottolineare la posizione di Turoldo critica nei confronti della convergenza dei cristiani in un solo partito (che invece vedeva favorevole Don Mazzolari). Tra l’altro Turoldo organizzò un grande incontro a Milano al Castello sforzesco sul dialogo con i comunisti e fu uno dei protagonisti delle riflessioni e dei dibattiti di quelle che furono chiamate avanguardie cattoliche e che vedono protagonisti come Mario Gozzini, Nando Fabro, Nazareno Fabbretti.

La partecipazione ad attività accademiche come assistente alla Cattolica e come assistente di discipline filosofiche ad Urbino fu breve: Turoldo era impegnato su molti altri  fronti del rinnovamento culturale e spirituale, a partire da quello interno dell’Ordine dei Servi di Maria (1947). Egli  caldeggiava un profondo rinnovamento nei metodi pedagogici interni ed il deciso allargamento dei contenuti da proporre, con una grande apertura ai drammi dell’uomo contemporaneo e suggeriva anche letture di romanzi (e perfino di libri posti all’indice).

Nel 1951 egli fondò la rivista il Chiostro, prevedendo la nascita di una associazione “Corsia dei Servi” ed un progetto editoriale. Leggendo questa biografia   si    ha l’immagine di una attività frenetica a tutto campo, realizzata nel corso di tutta la vita, ma occorre ricordare la spinta fondamentale, la base di tutto. In una lettera a Carlo Bo (del 1966) in cui ringrazia per l’offerta dell’assistentato di filosofia e riconsidera quel periodo scrive: “Anche se poi io avevo già un’altra cattedra che era il pulpito; e ritenevo mi bastasse l’altra aula magna che era la mia chiesa: l’aula Dei come è chiamata dai testi antichi” (p.145). L’appassionata dedizione alla predicazione percorre tutta la sua vita, come esigenza travolgente di annuncio evangelico, di cristianesimo incarnato nella storia. Rievocando i dieci anni di predicazione ininterrotta nel Duomo di Milano dice: “Quale esperienza| Con il Duomo incendiato di passione e di speranze per la ripresa di Milano e  della chiesa e di tutto il paese! Con tutte quelle migliaia di persone che affollavano l’ultima messa del Duomo ogni domenica” (p.120). In particolare i giovani erano attratti da quel giovane frate “che urlava” e dalla cui predicazione traspariva una richiesta di novità di vita, un fortissimo appello alle coscienze. La sua predicazione domenicale diveniva evento religioso e culturale irrinunciabile che suscitava entusiasmi e le prime critiche. Significativo è  un  durissimo attacco verso la ricchezza da lui fatto attraverso le pagine del trattato di S. Ambrogio su Naboth (senza precisare la fonte), ed altre volte il ricorso a testi letterari , come quando fece riferimento alla leggenda del Grande Inquisitore di Dostoevskij. Davanti ad alcune proteste e ai dubbi dei superiori, Il cardinal Schuster ribadì sempre la sua fiducia nel frate, di cui apprezzava il candore, “il gran cuore e la bella intelligenza”(p 123).

Una parte considerevole della borghesia milanese si lasciò “toccare” dalla prediche infuocate di Turoldo e lo aiutò generosamente nella Messa della carità (1948) e negli anni successivi con Nomadelfia e con tante iniziative di carattere caritativo e culturale.  (p 163-164 )

Turoldo viveva intensamente l’intuizione avuta negli anni della guerra di un cristianesimo aperto e incarnato: “Da allora ho sentito che bisognava scendere dai pulpiti, dalle cattedre, uscire allo scoperto, non certo negando la cultura, e tanto meno la disciplina ed il rigore, ma masticando la propria fede e facendo della cultura stessa un pane quotidiano” (p 102). Non sembri in contraddizione questa espressione con il suo amore per la predicazione domenicale: è che la predicazione non si poteva esaurire lì ed era la vita che rendeva vera ed efficace la predicazione stessa.

 

Gli anni di Nomadelfia. Nel 1948 Turoldo incontrò don Zeno Saltini, che l’anno precedente aveva occupato pacificamente l’ex campo di concentramento di Fossoli e vi si era stabilito con alcune diecine di adulti, soprattutto ragazze “mamme per vocazione” che accudivano bambini orfani ed in situazioni di disagio. Nel 1948 venne approvata una “costituzione”  che stabiliva Nomadelfia come città di Dio, basata sulla fraternità, ed in cui non esisteva né proprietà privata né retribuzione del lavoro. Era un generoso tentativo di trasformare il cristianesimo in vita, nell’ottica di una cultura connotata da una mentalità patriarcale e da una religiosità tradizionale.

Turoldo avvertì una profonda consonanza tra le sue esigenze di autenticità e l’opera di Don Zeno e lo espresse con chiarezza: “Don Zeno non si limitava a fare della carità, ma predicava anche la giustizia. Non si limitava a raccogliere le briciole che da sempre cadono dalla tavola del ricco epulone- anche se lui ed i suoi figli erano affamati, sempre molto affamati, ma pretendeva che si dividesse tutto il pane. Erano le regole del gioco che dovevano essere rimesse in discussione” (p 172) e  ancora “Nomadelfia era il Vangelo, tutto il resto cornice” (p175).

La ricostruzione di tutte le iniziative che Turoldo mise in atto (nel periodo 1948- 1952) impressiona per la sua generosissima dedizione, per le energie profuse utilizzando tutti i mezzi a sua disposizione (amicizie, relazioni, pubblicazioni, predicazione) per sensibilizzare, difendere, raccogliere fondi a sostegno del progetto. Tra le persone da lui coinvolte in questa impresa di solidarietà non si può non ricordare Giovanna Albertoni Pirelli, che arrivò a impiegare gran parte delle sue risorse per l’acquisto della tenuta Rosellana in provincia di Grosseto che doveva diventare nuova sede della comunità. E tra le altre iniziative merita una particolare attenzione una mostra di pittura nel 1950 in cui Turoldo era riuscito a coinvolgere   personalità come Carlo Carrà, Giacomo Manzù, Mario Sironi. In quel periodo Nomadelfia sembra essere la ragione di vita di padre David.

Ma la passione per la causa non impediva a Turoldo di essere concreto, di chiedere oculatezza e correttezza amministrativa (pregando Don Zeno, tra l’altro, di non firmare assegni a vuoto ed invitandolo a rimanere fedele all’obbedienza alla chiesa, in un momento in cui si profilavano gli interventi del S. Uffizio, avendo come  modello Mazzolari.

Lo scontro divampò fra queste due forti personalità  per l’atteggiamento esclusivista di Don Zeno a cui non poteva non contrapporsi l’esigenza di libertà di movimento, di apertura, di critica che contrassegnava l’agire di Turoldo (che peraltro non prese mai pubblicamente le distanze da Don Zeno). Un fatto particolarmente delicato avvenne tra il novembre ed il dicembre 1950 quando un gruppo di serviti (7 tra cui Padre Vannucci) compagni di Turoldo , senza alcun permesso formale dei superiori si unì all’esperienza di Nomadelfia in un’ottica di esigenza di riforma della vita religioso- conventuale. Padre Davide li comprendeva e li sosteneva, anche se avrebbe preferito un appoggio esterno come il suo, e comunque li invitava all’obbedienza al Papa. Gli eventi precipitarono tra il 51 e il 52 per Don Zeno che si trovò davanti ad debiti enormi ed incolmabili e all’ingiunzione di lasciare Nomadelfia (egli lasciò la direzione ai capifamiglia e nel 53 chiese ed ottenne la riduzione allo stato laicale per meglio seguire i suoi figli). Nell’agosto del 51 il S. Uffizio disponeva che i frati serviti tornassero entro il mese ai loro conventi.

Padre Davide , da tempo ripetutamente criticato per il suo frequente stare fuori dal Convento e per il suo non seguire puntualmente gli impegni della comunità, fu accusato di essere il principale ispiratore della “fuga” dei frati serviti e nel novembre del 1952 ricevette l’ordine di allontanarsi da Milano.

La sua capacità di attrarre, di coagulare consensi, la personalità irruente e dirompente, la straordinaria mole di attività creavano grandi entusiasmi ed altrettanto grandi diffidenze. La lettera di obbedienza firmata dal priore generale Beretti il 16 dicembre del 1952 lo assegnava al convento di Innsbruck, con facoltà di recarsi un mese al convento benedettini di Monaco. Nonostante la tristezza dell’esilio e la costante nostalgia per Milano, Turoldo si inserì rapidamente nell’ambiente bavarese e continuò a pieno ritmo il suo lavoro di scrittore

 

Paola Palagi

 

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