Koinonia Luglio 2016


“NUNCA MAS”

Mai più una Chiesa collusa con i dittatori

 

Il 20 maggio scorso, nel quarantesimo anniversario del golpe militare che sprofondò l’Argentina nel buio della dittatura, si è tenuta a Firenze un’interessante iniziativa dal titolo: NUNCA MAS (mai più).

Promotrice della manifestazione, organizzata presso il Circolo Vie Nuove grazie alla collaborazione del Centro Studi e Iniziative America Latina, è stata l’Associazione CICLOSTILATO IN PROPRIO, costituita per lo più da ex studenti  degli anni ‘70, quelli  che proprio in quel tempo nelle scuole, nelle facoltà universitarie e nelle piazze manifestavano contro le dittature che stavano divorando tutta l’America Latina.

In quel periodo la solidarietà era rivolta soprattutto verso il Cile, travolto dai golpisti di Pinochet, responsabili della morte del presidente socialista Salvador Allende, dell’esecuzione di migliaia di oppositori politici e dell’esilio di centinaia di migliaia di cileni. Nell’immaginario collettivo dei giovani contestatori italiani di quegli anni restavano invece un po’ sullo sfondo i drammi dei brasiliani, degli uruguaiani e soprattutto degli argentini (per limitarci al solo Cono Sud dell’America Latina), che stavano subendo la stessa sorte.

Forse anche per fare ammenda di questa involontaria dimenticanza di allora CICLOSTILATO IN PROPRIO ha scelto di ricordare la tragedia del popolo argentino che dal 1976 al 1983 subì la violenza di una dittatura che per la sua “scientifica” efferatezza ricorda da vicino i crimini del nazismo. (1)

Dopo un breve filmato nel quale le “madri” e le “nonne” di Plaza de Maio manifestavano lo strazio del loro dolore per i loro cari “desaparecidos”, ma anche la speranza di ritrovare un giorno almeno i loro nipoti oggi adulti, allora appena neonati, venduti o ceduti a famiglie amiche dei militari, si sono alternate le testimonianze dirette di argentini, cileni, brasiliani.

Tutti i relatori nei loro racconti hanno fatto riferimento anche al ruolo delle Chiese locali, da quelle sostanzialmente solidali con le vittime (è il caso del Cile e del Brasile)  a quella argentina che, almeno nei suoi vertici, ha appoggiato apertamente i repressori.

Se questa è l’agghiacciante verità storica, un abisso di vergogna per la nostra Chiesa (2), credo che alcune precisazioni vadano fatte, se non altro per rendere giustizia a quei credenti, religiosi e laici (e non furono pochi) i quali, al prezzo della stessa vita, scelsero fino all’ultimo la parte delle vittime, e tra questi anche due vescovi, la cui morte fu provocata da finti incidenti stradali.

La componente progressista della Chiesa argentina prima della dittatura militare, seppure minoritaria, era una realtà molto viva e combattiva, presente in modo consistente soprattutto nelle periferie urbane. Religiosi e religiose, parroci, catechisti operanti nelle “villas miseria”, portatori di un Vangelo di liberazione, sostenevano efficacemente le lotte sociali (diritto alla casa, alla salute, alla scuola…) dei ceti popolari ed emarginati. Le forze della reazione fecero di tutto per screditare questi testimoni del messaggio di Gesù, spesso con l’avallo delle gerarchie ecclesiastiche: sono dei falsi preti, dicevano, in realtà sono agenti del comunismo mascherati da religiosi. Così fin da subito, in qualche caso anche prima del golpe, vennero assassinati in gran numero. Molti, datisi alla fuga, furono costretti all’esilio.

Tra i missionari italiani che subirono tale sorte non possiamo dimenticare Arturo Paoli, figura di spicco della congregazione dei Piccoli Fratelli, molto impegnata nella difesa dei diritti sindacali dei lavoratori, che venne tutta spazzata via dalla furia della repressione. Amatissimo dal popolo, fratello Arturo era diventato una spina nel fianco per i dittatori che lo consideravano uno dei più pericolosi oppositori del regime. Lo volevano prendere in ogni modo, vivo o morto. Strade e piazze delle città e dei villaggi argentini vennero tappezzati da manifesti con la sua immagine. Arturo Paoli riuscì a sfuggire ai suoi persecutori, ma dei Piccoli Fratelli fu uno dei pochi a salvarsi.

Arturo è morto recentemente, ultracentenario, nella nostra terra di Toscana dalla quale era partito in missione molti anni fa. La sua è stata un’esistenza vissuta nella pienezza della fede. Dio ci ha fatto la grazia di conservarci tanto a lungo questo eccezionale difensore degli oppressi, testimone di un Vangelo di liberazione.

 

Bruno D’Avanzo

 

 

NOTE

(1) La dittatura argentina presenta una peculiarità che la differenzia dalle numerose altre che insanguinarono l’America Latina negli anni ‘70 e ‘80. Gran parte delle vittime rappresentavano l’opposizione democratica e pacifista. Erano operai, studenti, sindacalisti, professori, religiosi che contestavano il regime, protestavano, si organizzavano, ma non presero mai un’arma in mano… e vennero fatti sparire. La pratica della “desaparicion” degli oppositori è lo strumento più efficace, ben più del semplice omicidio alla luce del sole, per distruggere ogni forma di resistenza. Il parente, il compagno, l’amico di chi cade in combattimento è portato a reagire, anche con le armi, per combattere un nemico visibile. Ma chi non trova più i propri cari (spesso portati via in mancanza di testimoni) resta come paralizzato, inerte, nella speranza che un giorno ritorneranno, magari dopo anni di carcere. Come i nazisti che fino all’ultimo occultarono i forni crematori, così i golpisti argentini ebbero buon gioco, per anni, a nascondere , di fronte ai propri concittadini e al mondo intero, le migliaia di “desaparecidos” gettati in mare dagli aerei.

(2) Parte consistente delle gerarchie ecclesiastiche solidarizzò apertamente con i golpisti (sempre presentati come difensori della cristianità di fronte al pericolo del comunismo), mentre altri numerosi vescovi ebbero un atteggiamento di colpevole neutralità, aiutando magari alcune famiglie nella ricerca dei loro parenti scomparsi, ma sostanzialmente invitandole alla rassegnazione.

Vi furono addirittura alcuni cappellani operanti nei luoghi di detenzione che con pressioni psicologiche inducevano i prigionieri a diventare delatori dei loro compagni ancora a piede libero, mentre al tempo stesso tranquillizzavano quegli aguzzini cui rimordeva la coscienza per gli orrori che erano indotti a compiere, in quanto ogni mezzo era lecito per combattere la sovversione.

 

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