Koinonia Luglio 2016


BIBLIA -  Verona, 15/17 aprile 2016

 

 “Regolare la guerra e intessere la pace”

 

C’è una bella differenza tra la teoria della “pace perpetua” che Kant pubblicò nel 1795 e la sacralizzazione della guerra delle tavolette di Ebla con le teste dei nemici tagliate o il dio della tempesta di Aleppo che combatte ugualmente con le pietre o con la grandine, archetipi dell’antica cultura mediorientale che ha compenetrato anche la Bibbia e i suoi eroi guerrieri. L’ascolto degli archeologi, che parlano di una concezione della guerra come voluta e combattuta da Dio nelle antiche culture, comporta l’immediata presa d’atto del costante evolversi degli immaginari e l’incompatibilità per noi moderni di qualunque rappresentazione di un dio violento: forse è il caso di mettere a fuoco l’opportunità  di  un’ermeneutica e una riforma liturgica che vietino non solo (o non tanto) la lettura dei “salmi delle maledizioni”, già eliminata da Paolo VI, ma l’uso dell’espressione rituale “parola di Dio” che non di rado mette in contraddizione la lettera con l’interpretazione.

Biblia”, la nota “Associazione laica di cultura biblica”, ha affrontato nel suo recente convegno di Verona (15-17 aprile 2016) una tematica assolutamente pregnante per la sua attualità: se, sulla scorta di Papa Francesco, si parla di “terza guerra mondiale”, anche chi si schiera risolutamente dalla parte della pace deve fare i conti con l’esistenza del suo contrario, la guerra., fantasma un tempo ritenuto necessità e valore, oggi ridimensionato ma pur sempre presente e con armi sempre più micidiali. Quindi “regolare la guerra e intessere la pace” nell’approfondimento storico e insieme biblico, è un tema opportuno per verificare a che punto siamo della storia e capire se, nonostante le tante occasioni perdute di prevenire altrettanti danni, l’umanità è ancora in tempo per attraversare i conflitti e deviarne il corso verso negoziati di pace senza ricorrere alla violenza. Gli interventi archeologici di Pelio Fronzaroli e Peter Dubovsky attestano che non sono così lontani i signori di Umma, di Uruk, di Lagash, di Assur, qualcuno dei quali, benedetto dalla divinità, vince, conquista, governa, mentre sono giudicati peccatori i popoli colpevoli di aver seguito il dio sbagliato. Tra i sovrani e gli eroi della Bibbia solo Salomone non ha ucciso di sua mano, tutti hanno compiuto guerre “sante” aiutati da angeli e dall’azione diretta della divinità: anche Davide uccide Golia e Saul fa guerra con il gradimento di Dio.

Jean-Luis Ska del Pontificio Istituto Biblico prima di fare il punto sulle sconfitte del “dio degli eserciti”, si è soffermato a riflettere sulla prima guerra mondiale, raccontata ai padri e ai nonni dai bisnonni, che fu causa di molta rovina anche per chi “vinse”. Nella Bibbia si incontra una risorsa imprevista nell’astuzia umana che può evitare le stragi. L’esempio viene da Ezechia, che cerca di difendersi dalle invasioni con vari espedienti e, quando vede Sennacherib assolutamente determinato all’aggressione militare, accetta la resa, stacca l’oro dal tempio di Gerusalemme e paga 300 talenti d’argento e 30 d’oro al nemico, ma la città è salva. Gli angeli sterminatori non sempre provvedono a salvare Israele con la spada e Dio, che è giudice e punisce, sulla guerra piange: la guerra, infatti, è ritorno al caos primordiale (anche il diluvio viene scatenato dalla violenza) e decostruisce la creazione. D’altra parte, i contesti storici non possono essere cambiati  e Piero Capelli cita il Deuteronomio (Quando andrai in guerra contro i tuoi nemici... 20, 1 sgg.) per confrontare la realtà dell’antico mondo clanico con le interpretazioni date dagli anglosassoni a proposito della guerra contro le popolazioni indigene dell’America, di cui si impadronirono ritenendola loro “terra promessa”. Contro i testi bellicisti – compresi quelli di Qumran - vanno ricercate altre citazioni che danno fondamento a implicite teorie di pace: seguendo tracce interne, oltre ai libri dei Maccabei o le testimonianze contenute nell’opera di Flavio Giuseppe, si arriva, in Israele, ai Pirqei Avot, i “Capitoli dei Padri” che suggeriscono “ama la pace e persegui la pace”, e ritengono giusto non rispettare l’obbligo di “non mentire” se serve a mettere pace: “anche il nome del Messia è pace”. E confermano, nella diciottesima e ultima benedizione, il monito “poni pace, bene, vita grazia, bontà, misericordia”.

Nei secoli la guerra è comunque sempre stata giudicata “un valore”, mentre la pace, essendo “un principio”, è stata relegata nell’utopia e nei pii desideri delle madri. Piero Stefani ripensando le guerre di religione del “secolo di ferro”, evidenzia nella pace di Westfalia,dietro la sconfitta del progetto di restaurazione cattolica in area tedesca sotto l’egemonia dell’Impero asburgico, il processo di laicizzazione delle relazioni internazionali. Il De iure belli ac pacis di Grozio (1625), sulla base del diritto naturale che lega tutte le nazioni, ha posto la politica sotto l’usbergo non più della forza, ma del diritto.  Nella tavola posta al centro del Friedenssal di Münster c’era scritto “audiatur et altera pars”: chi non è d’accordo non è solo “il nemico” e il conflitto si può risolvere con il negoziato. Nascono le chiese pacifiste degli anabattisti e dei quaccheri dentro un mondo che fatica a desacralizzare la spada: la “Bibbia del soldato” (1643) sostiene che si debbono amare i nemici e odiarli nel nome di Dio; cattolici e riformati condannano a morte l’eretico senza processo e Zwingli fa annegare nel lago l’eretico da “sbattezzare”. Si segnala William Penn che, nel Discorso intorno alla pace presente e futura dell’Europa, pensa a una nuova sovranità, a un Parlamento che voti (con voto segreto) e condivida scelte per consenso. Anche la guerra si secolarizza e gli illuministi pensano finalmente la pace come valore universale: nel 1795 Kant pubblica Per la pace perpetua, auspicio di una federazione di stati repubblicani liberi e indipendenti che si reggano sul diritto e provvedano alla graduale scomparsa degli eserciti. Resta, comunque, la concezione della “guerra giusta”: lo storico Morozzo Della Rocca ritiene che la disputa sulla sua validità si sia ridimensionata da sé nella società contemporanea per la crescita diffusa dell’ethos civile. Tuttavia il concetto della difesa legittima anche quando significa “guerra” non è totalmente scomparso nemmeno nell’enciclica di Giovanni XXIII, nel Vaticano II o nel Catechismo della Chiesa cattolica (cfr. 2309). Purtroppo la guerra è diventata “umanitaria” e le “insurrezioni” dei rivoluzionari ammesse perfino da mons.Romero come risorsa estrema dei popoli oppressi, non sono più ammissibili dopo i fenomeni terroristici di questi anni, di cui i cristiani sono divenuti vittime. Le chiese sembrano comunque passare dal dio degli eserciti al dio dell’universo: paradossalmente  è la gente che reagisce alla tentazione della violenza sotto la spinta del nuovo mainstreaming nazionalista; anche le società ortodosse restano sensibili alla difesa identitaria dei diversi territori.

I tre monoteismi del Mediterraneo sono stati reiteratamente analizzati e messi in stato d’accusa da storici e politologi contemporanei per essere stati responsabili di violenze tanto più esecrabili perché agite in nome di Dio. Oggi i problemi relativi alla gestione dei conflitti e alla possibilità di azioni preventive per poter privilegiare azioni di pace sollecitano nuove verifiche per trarre dai messaggi fondativi delle grandi religioni mediterranee riferimenti culturali e pratiche che intercettino e impediscano il riprodursi delle violenze storiche. Anche Biblia se ne fa carico, sollecitando la riflessione di cristiani, ebrei, islamici sulle ragioni che ciascun credo possiede per riuscire a dialogare con efficacia, superando pregiudizi e sollecitazioni fondamentaliste, e prendersi cura della pace che non esiste se non è comune e derivata dalla conoscenza della fede, ma anche convalidata nei fatti. Il convegno si è concluso al Palazzo della Gran Guardia con una tavola rotonda che ha approfondito il concetto della pace nel Corano e, insieme, la sua possibile attuazione nella realtà attuale con efficaci relazioni di Ida Zilio Grandi e del teologo musulmano Adnane Mokrani. I pensieri e le azioni di pace nell’ebraismo storico e attuale illustrate e auspicate dalla sapienza di Amos Luzzatto hanno integrato l’intento del convegno di impegnare le potenzialità delle religioni per essere coerenti con le responsabilità nei confronti delle giovani generazioni a cui il futuro apre problematiche di grande complessità, che vanno risolte attraversando conflitti con coraggio e prendendoci cura gli uni degli altri: costruire relazioni di pace è il metodo che salva la sopravvivenza e la convivenza delle nostre società.

 

Giancarla Codrignani

 

 

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