Koinonia Luglio 2016
Dal sito Viandanti 5 giugno 2016
ECUMENISMO:
DAI DIALOGHI DEI TEOLOGI AL POPOLO DI DIO
Il Patriarca Atenagora è stato un uomo e un cristiano dai grandissimi meriti, innamorato dell’unità, al punto che giunse a chiedere a papa Paolo VI di concelebrare l’Eucaristia. In tal modo sarebbe stato riconosciuto il superamento della divisione fra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente, già sancito in qualche misura con la cancellazione delle scomuniche reciproche dalla memoria delle chiese che era stata fatta con una dichiarazione solenne alla conclusione del concilio, il 7 dicembre 1965. Di fronte a questa richiesta, Roma tergiversò, rendendosi conto della complessità del problema e temendo nuove divisioni nell’Ortodossia, fino a che la morte del Patriarca Atenagora pose fine a questa opportunità.
Non è un problema di teologi
La visione entusiasta ma forse ingenua del patriarca Atenagora è ben sintetizzata dalla frase che gli viene spesso attribuita: “io prenderei tutti i teologi delle diverse chiese, li porterei in una delle nostre isole e li costringerei a stare lì fino a che non si saranno messi d’accordo e non avranno superato tutti i problemi che ancora ci tengono divisi”.
Il fatto è che non è un problema di teologi. Innumerevoli dialoghi ecumenici, a livello locale e a livello internazionale, frutto del lavoro di centinaia di commissioni di dialogo ufficialmente incaricate dalle chiese, hanno affrontato i problemi dottrinali che le dividono, e a parere di teologi fra i maggiori non ci sono più problemi dottrinali che obblighino le chiese a restare divise per ragioni di fede. Eppure le conclusioni di tutti questi documenti non hanno avuto quasi eco nelle nostre comunità e non hanno portato effetti sensibili a livello di responsabili di chiese[1]. <…>
Coinvolgere tutti i cristiani
In conclusione, se la grande stagione dei dialoghi è finita, perché i problemi dottrinali che dividevano le chiese appaiono risolti (se si esclude forse il tema dei ministeri), oggi è la vita del popolo cristiano che a partire dalla base deve riconoscere che “il re è nudo”, che le divisioni fra le chiese vivono più nella mentalità dei fedeli che nella realtà del mistero della chiesa, e che quindi dobbiamo imparare a “camminare insieme” nella vita di ogni giorno, sentendoci ogni giorno di più fratelli e sorelle con i cristiani di tutte le chiese, come vuole mostrarci quotidianamente papa Francesco. L’impegno per perseguire l’unità dei cristiani non può più essere un fatto di élite, ma deve coinvolgere tutti i cristiani (cf. UR 5), fino a generare un movimento che, nel rispetto delle legittime diversità, travolga tutte le separazioni che si sono incrostate nella storia per farci prendere coscienza della comune appartenenza di tutti i battezzati all’unica chiesa di Cristo e all’unico Popolo di Dio.
Giovanni Cereti