Koinonia Luglio 2016


DA UOMO DELLA STRADA

VERSO IL REFERENDUM DI OTTOBRE

 

“Se vince il no, il rischio è di ingovernabilità”: è cronaca di ieri ed è una delle variazioni quotidiane di Matteo Renzi in tema di referendum costituzionale, all’insegna del catastrofismo, salvo poi prospettare un futuro in discesa, in quanto, quantunque frutto di inciuci, “la riforma è l’arma contro inciuci e ammucchiate del giorno dopo il voto”, diminuiranno le poltrone - magari ce ne sarà una sola! - ci sarà un risparmio di spesa  e uno snellimento nel legiferare, come se ci fosse bisogno di una legge quotidiana. Tutto questo può essere anche vero, ma c’è da dire se non sia un modo di puntellare dall’esterno - con argomentazioni  di comodo e surrettizie - quello che all’interno potrebbe non tenere!

 

Viviamo in stato di anomalia e vizio di fondo che induce a chiedersi se il rimedio non diventi peggiore del danno. Ma siamo anche a domandarsi se effettivamente tutti i mali a cui si penserebbe di rimediare a furia di semplificazione, accelerazione e risparmio derivino dalla Costituzione vigente o dall’uso o abuso che se ne è fatto.  Se insomma sia questione di musica o di suonatori! Visto che  tra i titoli per accreditare l’attuale riforma c’è il fatto che sia portata  in porto dopo 30/40 anni di proposte e tentativi, forse è il caso di ricordare che quando l’artefice di questa operazione di Palazzo e di vertice - Matteo Renzi - non era ancora nato, si ragionava di Costituzione in sé e di Costituzione reale, e cioè di un uso insufficiente e distorto della Carta.

 

Sembra che lacune e  limiti siano ora ascrivibili alla Carta stessa, per cui ci si fa un vanto di modificarla e stravolgerla, ratificando  gli abusi di fatto. D’altra parte, a ben vedere sempre da uomo della strada, non siamo già alla sperimentazione e applicazione del regime in via del varo definitivo? Si vuole assicurare la governabilità quando questa è in atto per vie non del tutto lineari; si vuole ovviare ad inciuci e trasformismi quando tutto - riforma compresa - è frutto di compromissione sistematica; si vuole semplificazione e accelerazione legislativa quando si va avanti a forza di decretazioni e voti di fiducia sulle ali di slogan funzionali alla propria insostituibilità: o così o il nulla!

 

Sono costatazioni e considerazioni da uomo della strada che valgono quello che valgono, soprattutto a fronte di una informazione ridotta a megafono dei  mantra del Presidente del Consiglio quando parla del “teatrino della prima Repubblica” forse da rimpiangere rispetto alla sua continua messa in scena. Ma sono motivo per sgombrare il campo e trovare aria respirabile per porsi davanti alla scelta di un sì o di un no compatibili e rispettosi l’uno dell’altro.

 

Ma nel caso che quest’uomo della strada si trovi ad essere anche uomo di fede,  viene da chiedersi in che modo la sua coscienza di cittadino credente possa intervenire  nel pronunciarsi in un referendum di questa portata. Di fatto ci sono i “cattolici del no”, che non vuol dire essere per il no in quanto cattolici in forza della propria fede, ma vuol dire che anche da cattolici condividono e avvalorano le ragioni per il no, salvo restando che altrettanto sia possibile fare quanto alle ragioni del sì, in modo che siano necessariamente alternativi ma non esclusivi. Forse una prospettiva di fede aiuta a relativizzare e far coesistere le possibili scelte su un terreno comune di coesistenza sociale rispettosa e autenticamente democratica, al di là di diktat e ultimatum da ultima spiaggia e al di là di argomentazioni di comodo e ad effetto.

 

Un articolo di Francesco Occhetta in La Civiltà Cattolica del 28 maggio 2016  (“La riforma della Costituzione”, pp.331-341) è stato letto subito come pronunciamento quasi ufficiale per il sì da parte della Chiesa, senza peraltro che questa volta ci sia stata nessuna reazione da parte di cristiani che in nome di una assoluta laicità  escludono qualunque riferimento alla fede, per quanto impegnati come cristiani nella promozione della giustizia e della pace. Per la verità, una contestazione simile forse sarebbe stata fuori luogo, anche perché non sono mancate pronte rettifiche riguardo alle strumentalizzazione a senso unico dell’articolo, che risulta di fatto possibilista. Anche se vi si può leggere un’apertura di credito per il sì, vi si possono ricavare motivi anche per il no.

 

Non si esita per esempio a riconoscere che, dopo una gestazione lunga e laboriosa, la riforma è nata come un aborto: “Nel giorno in cui si è chiuso il faticoso iter che ha impegnato il Parlamento, le critiche hanno preceduto l’analisi del testo e il voto è sembrato arrivare ‘per sfinimento’, al termine di un processo continuato per inerzia e lontano dal sentire dell’opinione pubblica”. Non vuol dire nulla tutto questo? Non è senza significato che subito dopo il voto del 12 aprile  il presidente Renzi sembra escludere qualunque scelta in contrario, semplicemente perché non si può dire no al taglio dei parlamentari, alla chiarezza tra Stato e Regioni, alla riduzione del numero dei politici e dei loro stipendi. Detto sì a tutto questo sono risolti i problemi di un Paese? Cosa c’è effettivamente in gioco?

 

Per rispondere a simili interrogativi, ci è di aiuto: “Com’è noto, la legge costituzionale approvata dal Parlamento sarà sottoposta al voto del referendum confermativo di ottobre. L’appuntamento referendario è l’occasione per rifondare intorno alla Costituzione la cultura politica del Paese. Non si tratta di un voto favorevole o contrario al Governo, ma di qualcosa di più e di diverso, che riguarda l’identità della democrazia che i media e le parti sociali faticano ad affermare come la cultura costituzionale nel dibattito pubblico. Certo, a livello politico il voto avrà conseguenze sul Governo. Tuttavia è prioritario chiedersi: cosa deve essere una Costituzione?”

Come dire che il punto è altrove  e a questi chiari di luna non solo non si rifonda la cultura politica del Paese, ma si rottama quanto resta della identità della democrazia, che i media e le parti sociali faticano ad affermare come la cultura costituzionale nel dibattito pubblico. Non è un bel guaio e c’è in giro qualcuno che se ne preoccupa? Succede invece - come si legge nell’articolo - che “le ragioni partitiche che dividono rischiamo di prevalere sulle ragioni culturali e costituzionali che possono invece unire”. E se questo abuso viene perpetrato addirittura da un Governo, non per questo siamo autorizzati a fare altrettanto.

 

Ecco dove un Popolo di Dio che abbia a cuore il bene comune e la pace sociale avrebbe un suo contributo da dare, anche se questo può essere fatto criticamente sia nel versante del sì che in quello del no: sia all’interno della  riforma tutta da gestire e sia dentro la Costituzione vigente sempre da attuare come struttura della coscienza di un Popolo, guarda caso uscito anche questa volta da una lotta di liberazione. Siamo capaci da credenti - sia pure nella diversità di valutazioni e delle scelte e al di fuori di ogni fondamentalismo o manicheismo - di adoperarci per ricreare una capacità di confronto meno aggressivo e spesso ad eliminazione diretta di tutti i possibili “gufi”? In qualche modo ci sarebbe da entrare in un’ottica  di “Costituente permanente” per consentire una valutazione ragionata e autonoma, per non essere vittime di allettanti sirene nell’attraversamento di questa nuova Scilla e Cariddi.

 

A tale scopo sono orientativi i criteri di discernimento che Francesco Occhetta suggerisce nel suo articolo, con riferimento anche al cattolicesimo democratico presente nella “Costituente” storica:

1 - “Per votare a favore o contro la riforma, va anzitutto compresa la logica referendaria: l’elettore è chiamato a dare un giudizio sintetico e globale, avendo presente il testo vigente (quello che sarebbe confermato in caso di successo del No) e quello approvato dalla riforma Boschi, che sarebbe modificato dal Sì. Il giudizio sintetico e complessivo risulta non tanto dalla somma di dettagli, ma dalla valutazione della coerenza d’insieme nella volontà di ridurre i problemi esistenti. L’uno o l’altro giudizio non negherà la ragionevolezza della tesi opposta. Sarà piuttosto un parere favorevole o contrario sulle innovazioni del testo”.

 

2 - “Il secondo criterio di discernimento riguarda la coerenza e lo «sviluppo» costituzionale. Secondo questo spirito, occorre valutare se le innovazioni proposte si muovono dentro un disegno di sviluppo e di adeguamento ai tempi oppure di inopportuna demolizione del testo precedente. Anche il nuovo testo dovrà essere in grado  di accompagnare lo sviluppo del Paese a ritrovarsi intorno  ai principi della Cosotituzione secondo la tradizione del cattolicesimo democratico che l’ha originata”. 

 

3 - “Il terzo criterio di discernimento è l’attenzione al merito, che va oltre le personalizzazioni e le strumentalizzazioni politiche del testo. L’elettorato è chiamato a pronunciarsi sul dettato, certamente non neutro, per approvarlo o bocciarlo, e sulle soluzioni in esso contenute. Da questo punto di vista, il testo, al di là del voto finale, non ha una stretta connotazione politico-partitica, ma è il compromesso possibile di elaborazioni politiche diverse, sia per i vari emendamenti che ha recepito sia per l’eredità lasciata dalla Commissione di esperti del Governo Letta”.

 

Prima di arrivare alla conclusione riportata in IV di copertina, per dire che i giochi sono aperti, l’autore di Civiltà cattolica non nega di provare perplessità su singoli aspetti della riforma, ed invita a non sacralizzare  le soluzioni adottate, ricordando al tempo stesso che una moderna cultura di “manutenzione costituzionale” può consentire “successive modifiche migliorative che tengano conto delle critiche più motivate”. Ci sarà la necessaria disponibilità ed elasticità, o la riforma diventerà quel totem e quel tabù che si rimprovera d’essere per molti la ”vecchia” Costituzione da rottamare?

 

Forse più coscienza e responsabilità costituzionale da parte di Governo e dintorni non guasterebbe. Ma ad evitare che questa riforma sia figlia del Palazzo e frutto di inciuci vari - purché riforma sia! - abbiamo tra le mani il referendum e forse proprio il no sta a ricordare che disfunzioni e disaccordi non dipendono dallo spartito costituzionale ma dagli interpreti di turno, che non basta sostituire se non cambiano radicalmente.

 

ABS

 

.