GALLERIA DOMENICANA





PROFETA SUO MALGRADO:
FRA' GIROLAMO SAVONAROLA
E LA SUA VICENDA INTERIORE


Premessa
Non sono uno storico, tanto da potervi presentare un quadro esatto della vicenda savonaroliana; ma sono convinto che dentro una storia ormai abbastanza definita ci sia spazio e motivo per comprendere la vicenda interiore dell'uomo e profeta fra Girolamo Savonarola, che ricordiamo nel quinto centenario di quel 23 maggio in cui fu impiccato e bruciato in piazza della Signoria.
Quando mi è stato proposto di parlare di lui mi sono chiesto come farlo, e sotto quale aspetto, data la complessità della questione savonaroliana e poliedricità del personaggio: l'opzione è stata di far parlare lui, tali e tanti sono i motivi e le circostanze in cui Fra Girolamo ha parlato di sé, in connessione con le vicende storiche: quasi una traccia di autobiografia.
E questo è forse il modo migliore per rivedere i tanti stereotipi, di cui Savonarola è diventato quasi il simbolo: oscurantismo, intransigenza, intolleranza, integralismo teocratico, millenarismo apocalittico, ecc... Ci sono le immagini dei piagnoni o dei devoti, depurate da ogni forza profetica; ci sono le immagini degli ideologi che lo tirano dalla propria parte come visionario, politico sprovveduto, profeta disarmato, scomunicato ribelle, vindice della libertà di coscienza, precursore di Lutero, teorico dello Stato totalitario, ecc.; ci sono poi le ricostruzioni degli storici di professione, che lo vivisezionano in lungo e in largo, ma che poi non lo lasciano vivo.
Uno di essi confessa: "Sono infatti pochi, negli ultimi decenni, gli studi sul Savonarola, mentre sono molti di più gli studi sul suo ambiente e sulla sua controversa eredità, e questa situazione ha determinato e determina una asimmetricità che rischia di lasciare immutata e storioraficamente invecchiata la figura del Savonarola... Occorre leggere Savonarola con Savonarola, come una necessaria tappa critica, accanto a quella di leggerlo nel suo contesto". Così lo storico Claudio Leonardi a conclusione del Seminario di studi del gennaio 1995. In effetti, più si parla del Savonarola come simbolo, e meno si lascia parlare il profeta che egli è stato "suo malgrado": si continua a parlare molto di lui a certi livelli, ma gli si impedisce di parlare alla gente, come era nella sua vocazione e nel suo stile, per risvegliare le coscienze.



In questa prospettiva assumiamo l'ipotesi di lavoro "Savonarola secondo Savonarola": è il tentativo di conoscere lui - il suo spirito, la sua personalità, la sua azione - dal suo stesso punto di vista. Ciò che lui aveva più a cuore era d'essere nella verità e d'essere credibile! Tanto da accettare, nonostante momentanei cedimenti, la stessa morte a conferma del fatto di non essersi ingannato e di non aver ingannato nessuno!
Nella sua seconda lettera al papa Alessandro VI, Girolamo Savonarola dice di essere messo sotto accusa per la sua "professione di profeta". Nessuno in verità - osserva -potrebbe dire d'averlo sentito proclamarsi profeta: "Al contrario - scrive - è vero che migliaia di persone potrebbero testimoniare giustamente d'aver io detto di non essere profeta, né figlio di profeta. Che se anche l'avessi detto, non vedo per quale ragione sarei da punire. Nessuna legge infatti condanna un qualsiasi uomo che dica di predire cose future in forza del divino spirito, a meno che con tale pretesto solleciti il popolo al male o semini eresie, cose che di me nessuno può dire, come è più che palese. Altrimenti nessun profeta potrebbe sorgere nella Chiesa: e così questo dono della profezia sarebbe allontanato dalla Chiesa". In questo senso Fra Girolamo è "profeta suo malgrado", sia in quanto investito dall'alto di questo compito, sia nei confronti di una Chiesa poco ben disposta, e sia anche davanti ad una società ostile.
Che non siano proprio qui il suo carisma e la sua missione storica?

1452
Il 21 settembre Girolamo Savonarola nasce a Ferrara, terzogenito di Nicolò e di Elena Bonacossi.
Il nonno paterno Michele, celebre medico, fu il suo primo maestro ed esercitò una notevole influenza su di lui, per il suo rigore morale ed il suo alto senso religioso. Dopo gli studi di grammatica Girolamo si iscrive alla facoltà delle Arti e medicina dello Studio di Ferrara. Forse sempre per influsso del nonno, si indirizza allo studio di S.Tommaso d'Aquino. Nella predica del 7 marzo 1498 dirà in proposito: "Io dirò di lui solo tre cose: io gli volsi sempre grande bene, e ebbilo in reverenzia infino al seculo... Io non so nulla, pure quel poco che io so, lo ho perché sono stato sempre nella sua dottrina. Lui era veramente profondo: e quando io voglio diventar piccolino, lo leggo, e parmi che lui sia uno gigante e io nulla". Ciò spiega la sua impostazione mentale.

1472
Compone la canzone "De ruina mundi" sulle condizioni della Chiesa contemporanea.
Il giovane Savonarola manifesta qui gli stessi sentimenti e quasi le stesse parole che userà poi, a distanza di tanti anni, nelle sue prediche e ancora alla vigilia della morte: c'è il tema o il motivo dominante di tutta la sua missione, uno schizzo della sua personalità.
Il linguaggio della poesia è molto violento ed esprime uno sdegno profondo verso la corruzione del mondo; rivolgendosi a Dio ("Rettor del mondo"), Savonarola fa un quadro assai pessimistico dell'umanità dei suoi tempi:

Vedendo sottosopra volto el mondo
Ed esser spenta al fondo
Ogne virtute e ogne bel costume:
Non trovo un vivo lume,
Né pur chi de' soi vizi se vergogni.
<...>
Quivi lussuria ed ogne preda abunda,
Che non so come il ciel non si confunda.
<...>
Felice or mai chi vive di rapina,
E chi de l'altrui sangue più se pasce,
Chi vedoe spoglia e soi pupilli in fasce
E chi di povri corre a la ruina!
<...>
La terra è sì oppressa da ogni vizio,
Che mai da sé non levarà la soma:
<...>
Al ben far ogn'om volta pur le spale;
Non è chi vada or mai per dritto cale.

Nella canzone però la corruzione non è vista dilagare solo nel "seculo": anche la Chiesa ne è colpita, e gravemente. Infatti tutta la terza stanza è dedicata alla curia papale e ad un suo esponente dalla vita particolarmente dissoluta, in cui i critici tendono ad identificare il cardinale Pietro Riario:

Deh! mira quel cinedo e quel lenone
Di porpora vestito, un istrione
Che 'l vulgo segue e il cieco mondo adora!
Non ti ven sdegno ancora
Che quel lussurioso porco gode,
E le toe alte lode
Usurpa, ha assentatori e parasciti,
E i toi di terra in terra son banditi?


Davanti a questo quadro di corruzione e di rovina, non c'è speranza di salvezza, se non nell'al di là, quando verrà ristabilita quella giustizia ormai impossibile sulla terra:

Se non che una speranzia
Pur al tutto nol lassa far partita,
Ch'io scio che in l'altra vita
Ben si vedrà qual alma fo gentile
E chi alziò l'ale a più legiadro stile.

E nel congedo, rivolgendosi direttamente alla canzone, Savonarola la invita a fuggire i palazzi dei potenti, dove certo le sue parole di severo rimprovero non sarebbero gradite:

E fa' che toa ragion a pochi dica,
Ché a tutto el mondo tu serai nemica.



Il 1/5/1474, ascoltando una predica a Faenza, rimane colpito dalle parole della Genesi (12,1) "Esci dalla tua terra". Il 24 aprile dell'anno successivo lascia segretamente la casa paterna e si reca a Bologna chiedendo di entrare nel Convento di S.Domenico.
Il giorno dopo ne dà notizia al padre con una lettera molto affettuosa. E' interessante notare come ci siano qui gli stessi sentimenti e quasi le stesse parole espressi nella canzone:
" Io non dubito ch'el vi duole assai de la partita, e tanto più quanto io mi son partito occultamente da vui: ma io voglio che intendiati l'animo mio e la volontà mia per queste littere, a ciò che vi confortati e che intendiati che io non mi son moso così puerilmente come alcuni si credeno... In primis, la rasone la quale me muove ad intrare ne la religione è questa: prima, la gran miseria del mondo, le iniquitate de li omini, li stupri, li adulterii, li latrocinii, la superbia, la idolatria, le biasteme crudele, che el seculo è venuto a tanto che più non si trova chi faccia bene."

1475
Compone la canzone "De ruina Ecclesiae", contro la "fallace / superba meretrice, Babilonia".
La canzone inizia rivolgendosi alla "Vergine casta", cioè alla Chiesa dell'"antiquo tempo", e lamenta che sia andato perduto il fervore dei santi e dei martiri, che non risuoni più la voce di predicatori ardenti di fede. Con immagini riecheggiate in prevalenza dall'Apocalisse ("le bianche stole... l'aquila...") mostra che ormai non vi sono più uomini virtuosi e giusti, vergini sante, chierici e vescovi pii, uomini casti, predicatori intrepidi.

Così dissi io a la pia Madre antica
Per gran desio ch'io ho di pianger sempre;
E Lei, che par che gli occhi mai non tempre,
Col viso chino e l'anima pudica
La man mi prese ed a la soa mendica
Spelonca mi condusse lacrimando;
E quivi disse: - Quando
Io vidi a Roma intrar quella superba,
Che va tra' fiori e l'erba
Securamente, mi ristrinsi alquanto
Ove io conduco la mia vita in pianto. -

Ecco quindi che "la Chiesa vera, cioè la congregazione di veri cristiani, li quali piangono sempre li peccati de li altri, e se dogliono di tanta ruina" è ridotta a vivere in una spelonca "perché li buoni sono pochi e poveri", impotenti davanti alla "superba", cioè all'ambizione degli ecclesiastici, che non temono il castigo di Dio. Davanti a questo e ad altri "infiniti gravi peccati":

La terra, l'aria e 'l cielo
Vendetta grida del suo sangue iusto:
El latte io vedo esusto
E lacerato in mille parte il petto,
Fuor de l'umil suo primo santo aspetto.

Seguono altre immagini dello scempio di cui la Chiesa è vittima, davanti al quale Savonarola invita a piangere i Patriarchi, gli Apostoli, gli Evangelisti, S. Paolo, i Martiri, gli Angeli e tutti i Santi:

Or pianga ogne pianeta ed ogne stella.
Se gionta è la novella
Là su, dove è ciascun di voi felice,
Ben credo (se dir lice)
Che avete doglia assai di tanto guasto:
Prostrato è il tempio e lo edificio casto.

Torna poi a rivolgersi alla Chiesa chiedendole se la "superba meretrice Babilona" ("cioè la superbia, la lussuria e la avarizia") può essere vinta; la risposta è:

E Lei: - Lingua mortale
Non pò, né lice, non che mover l'arme.
Tu piangi e taci, e questo meglio parme.

E il proposito di non lottare contro i mali della Chiesa, di piangere e tacere solamente, viene ribadito nel congedo:

Canzone, io non fo stima
Di scorpio ponto. Non pigliar impresa;
Se non serai intesa,
Forsi è meglio; sta' pur contenta al quia.
Dopoi che fa mestier che così sia.

Questo è dunque il Savonarola degli anni del noviziato: ben consapevole della corruzione della chiesa, ma deciso ad "attendere solamente alla perfezione spirituale, alla preghiera, alle contemplazioni, in una pace senza uguali". Si tratta però di una pace conquistata non senza travaglio interiore, dovendo vincere il desiderio, che fin da allora si affacciava al suo cuore, di combattere e di operare concretamente per il trionfo del regno di Dio sulla terra. Chiede quindi al Signore con preghiere continue che "gli facesse nota la via sulla quale camminare".
Ordinato sacerdote, forse alla fine del 1477 o nei primi mesi del 1478, nel 1479 fu nominato maestro dei novizi nel convento di S. Maria degli Angeli di Ferrara. Nell'aprile 1482 si riunisce a Reggio il Capitolo della Congregazione lombarda, durante il quale Savonarola conosce Giovanni Pico della Mirandola. Lo stesso Capitolo lo nomina lettore nel Convento di S.Marco a Firenze, dove dà lezioni sulla Sacra Scrittura, preoccupato più di stimolare ad una vita santa che di discutere questioni dottrinali.
Nelle sue letture della Bibbia dava spazio particolarmente ampio all'Antico Testamento perché esso gli appariva "non l'arca di un passato lontanissimo ma lo specchio del presente, la chiave del futuro" (Ridolfi) E' certamente in questi primi anni di insegnamento al Convento di S.Marco che bisogna situare la formazione inconscia della vocazione profetica di Savonarola.
In una sua annotazione in margine alla Bibbia scrive: "E' necessaria una conoscenza delle lingue e della storia, una continua lettura, una lunga familiarità: bisogna evitare di andare contro la ragione, contro le opinioni trasmesse dalla Chiesa e dai dottori; non piegare le Scritture ai nostri propri fini, perché allora si metterebbe l'intelletto umano al posto della parola divina. Ma chi guiderà il fedele in questo mare di pericoli, in questo labirinto inestricabile per la ragione umana? Lo guiderà la grazia divina. Si prepari dunque il fedele a leggere la Bibbia con grande purezza di cuore, con un lungo esercizio della carità, distogliendo il pensiero dalle cose terrene, giacché in questo libro non si può penetrare solo con l'intelletto, ma anche con l'anima e col cuore. Allora solamente si potrà camminare per questo mondo infinito delle Sacre Scritture senza pericolo e con quel lume necessario alla salute. Ma non a tutti è ugualmente concesso tale dono. Dio, di tanto in tanto, manda sulla terra uomini a cui prodiga un lume maggiore che agli altri, ed essi debbono rischiarare le menti oscure delle moltitudini. Tali sono i dottori della Chiesa, ai quali il Signore spesso parla in spirito, rivelando per diretta comunicazione le cose occulte, perché siano la guida e la luce dei fedeli".

Inizia la sua attività di predicatore presso il Monastero delle Murate (Avvento 1482) e la Chiesa di Orsanmichele (Quaresima 1483), e quindi sul pulpito di S.Lorenzo (1484).
Questa prima esperienza di predicazione fiorentina fu un insuccesso e una delusione, fino alla tentazione della rinuncia e dell'abbandono. Ad un amico che gli consigliava di cambiare tono e di correggere la sua pronuncia rispose che facondia ed eleganza del discorso avrebbero presto ceduto il passo alla "semplicità" e che il suo modo di predicare forse non piaceva ai sapienti, ma "agli uomini semplici e a qualche povera donna". Eco della crisi di questo momento e dei suoi motivi lo abbiamo nella predica del 18 febbraio1498, quando dice: "Ognuno che mi cognosceva già dieci anni passati, el sa che io non avevo né voce né petto né modo di predicare, anzi era in fastidio ad ogni uomo il mio predicare; ma, poiché el Signore mi ha dato questo dono, io lo accetto volentieri per suo amore; ma egli ci è uno gran peso insieme con questo dono".
Nell'agosto del 1484, la lotta scatenatasi per la successione al papa Sisto IV gli ispira la canzone "Oratio pro Ecclesia". Rivolgendosi Gesù, " dolce conforto e bene supremo di tutti i cuori angosciati", gli chiedeva di rivolgere lo sguardo a Roma sua sposa e di venire in soccorso alla Santa Chiesa Romana "che il demonio opprime". E' dello stesso periodo (1484) una illuminazione che riceve nella Chiesa di S.Giorgio e che decide ancor più della sua vita.
Comprese che sulla chiesa stava per abbattersi qualche flagello, perché potesse uscire dalla corruzione e passare ad un rinnovamento effettivo o riforma. Questa presa di coscienza diventa il presupposto di tutta la sua missione profetica. Nel suo posteriore Compendio di rivelazione, di cui parleremo, egli sembra porre questo evento a motivo conduttore della storia successiva: "Vedendo lo onnipotente Dio multiplicare li peccati della Italia, massime ne li capi così ecclesiastici come seculari, non potendo più sostenere, determinò purgare la Chiesa sua per uno gran flagello. E perché volse per la salute de li suoi eletti, acciocché innanzi al flagello fussi preannunziato; e essendo Firenze in mezzo la Italia come il core mezzo il corpo, s'è dignato di eleggere questa città nella quale siano tale cose prenunziate, acciocché per lei si sparghino neli altri luoghi, come per esperienzia vediamo esser fatto al presente. Avendo dunque tra gli altri suoi servi eletto me indegno e inutile a questo officio, mi fece venire a Firenze per commissione delli miei superiori".
Ora più che mai Savonarola si rende conto che la sua vita è investita, suo malgrado, di una missione: quella di offrirsi a Dio per annunciare al mondo, a partire da Firenze, la necessità di quel rinnovamento, per cui da questo momento in poi renovatio diventa la parola-chiave.
Il primo soggiorno fiorentino dunque - dal maggio 1482 al maggio 1487 - era servito a maturare la sua vocazione profetica di predicatore del rinnovamento e dei disperati, sempre più in simbiosi con la situazione storica di cui Firenze era espressione emblematica, come il core mezzo il corpo.

Il 16 maggio 1487 è nominato Maestro di Studio a S.Domenico di Bologna. Comincia ad esercitare l'ufficio il 28 dello stesso mese.
L'ufficio di Maestro degli Studi fu esercitato per breve tempo da fra Girolamo che presto tornò all'attività apostolica per la quale era nato: la predicazione. Percorse l'Italia Settentrionale: fu a Brescia e a Pavia, e nella Quaresima 1490 a Genova. Da Pavia, prima di proseguire il viaggio per Genova, scrisse alla mamma. In questa lettera rivela il senso della sua predicazione: "Altro non so che fare: se altramente vi potessi aiutare, vi aiutaria; ma una volta essendo io libero, mi son fatto servo per amore di Iesù,el quale mio amore si fece omo e prese forma di servo per farmi libero; poi, in tutto cercò la gloria de la libertate de li figlioli de Dio. E però studio quanto io posso di servire a lui, e per niuna affezione terrena e carnale di non mi suttrarre da le fatiche, per suo amore volentiera lavorando nella soa vigna in diverse citade, acciò ch'io non solamente salvi l'anima mia, ma etiam quella de li altri, temendo etiam grandemente il suo iudicio, se io non facesse a questo modo; perché, se lui mi ha dato il talento, bisogna che io lo spenda in quello modo che a lui piace".
Il 29 aprile 1489 Lorenzo de' Medici, signore di Firenze, dietro suggerimento di Giovanni Pico della Mirandola chiede al Generale dei frati predicatori "che mandi a Firenze frate Hieronimo da Ferrara". In effetti, l'8/5/90 Savonarola partecipa al Capitolo della Congregazione Lombarda e viene assegnato di nuovo al Convento di S.Marco a Firenze, che raggiunge alla fine di maggio, con l'ufficio di Lettore. Il 1° agosto inizia la spiegazione del libro dell'Apocalisse: scelta senz'altro sintomatica della sua situazione spirituale.
A distanza di qualche tempo, pronunciando il sermone In Domino confido il Savonarola ricorda questo momento dicendo di aver cominciato allora ad esporre l'Apocalisse e a dire cose nuove in modo nuovo: nova dicere et novo modo.
"Ormai, fratelli carissimi, sono passati due anni e tre mesi... da quando in questo luogo ho cominciato a predicare l'Apocalisse, e cioè: a dire cose nuove e in modo nuovo. Questo tempo indica a me e a voi l'intento del lavoro che ho affrontato"
In effetti, a partire dal ciclo sull'Apocalisse qualcosa di nuovo nella predicazione savonaroliana. Fino ad ora il messaggio del Savonarola era generico, decontestualizzato, privo di riferimenti specifici a luoghi ed a persone: era un messaggio spirituale rivolto a tutti i cristiani in generale e a nessun gruppo o individuo in particolare. Dalle prediche sull'Apocalisse, il suo messaggio comincia ad assumere una concretezza che prima non aveva; i riferimenti si fanno più precisi; il contesto gradualmente si restringe per diventare alla fine, nelle prediche posteriori al 1494, esclusivamente fiorentino. E anche il modo di predicare è nuovo.



1491
Il 16 febbraio, giorno delle Ceneri, predica per la prima volta nel Duomo di Firenze.
Questo momento decisivo per i suoi rapporti con la città di Firenze, ma anche di crisi personale, è reso così dalla prosa forbita di R.Ridolfi: "Sotto le eccelse volte della cattedrale fiorentina echeggiò dunque per la prima volta, in questa quaresima del 1491, la gran voce del frate. E come la voce sua dovette alzarsi di tono per adeguarsi all'immensità dell'edificio e alla moltitudine degli uditori, così anche il contenuto delle prediche crebbe di forza e di ardimento; mentre di pari passo e conseguentemente crescevano ancora al predicatore il consenso e il concorso del popolo. Da questo quaresimale, e non prima, vogliano o non vogliano i biografi, egli s'avviò veramente ad insignorirsi, se non di Firenze, del popolo fiorentino" (cap IV).
Se quel pulpito rappresentava per lui una sorta di consacrazione, diventava però anche un patibolo per le nascenti e crescenti ostilità cui andava incontro.
Come stiano le cose in questo periodo e quale sia il suo stato d'animo lo possiamo capire attraverso una lettera scritta a Fra Domenico il 10 marzo 1491, nella quale cominciano a venir fuori le opposizioni da parte dei magnati: "Sotto questo aspetto la nostra faccenda non è senza pericolo, ma confido nel Signore che farà grandi frutti per la nostra parola, ed infatti mi consola ogni giorno e conforta la mia debolezza con la voce dei suoi spiriti: - Non temere; parla con fiducia qualunque cosa il Signore ispirerà, perché il Signore è con te; scribi e farisei combattono contro di te, ma non ce la faranno... Io spessissimo faccio presente il rinnovamento della Chiesa e le tribolazioni future, non in maniera assoluta, ma sempre con i fondamento delle Scritture; in modo tale che nessuno può riprendermi, se non chi non vuole procedere rettamente".

Secondo una antica consuetudine, il mercoledì di Pasqua, 6 aprile, predica al Palazzo, forse alla presenza dello stesso Lorenzo, ma senz'altro davanti a quei Signori, ormai divenuti ufficiali della tirannide medicea.
Erano proprio costoro - gli ottimati o il Palazzo - i veri oppositori del Frate: non per ragioni religiose, ma perché coscienti che il suo successo sarebbe stato a favore del Magnifico e di conseguenza ne sarebbe derivato un danno politico per loro. D'altra parte, come afferma P.A.Verde: "I difficili rapporti che il Savonarola aveva con i potenti sono da ritenere elementi occasionali utilizzati per attaccare più a fondo la collusione esistente fra Chiesa e potere allo scopo di dimostrare con maggiore forza la necessità di restaurare la Chiesa dell'interiorità, semplice e povera, delle origini".
Nonostante il maggiore riguardo rispetto alle prediche in Duomo, "l'audacia con la quale il Savonarola usava mettere il dito proprio nelle piaghe più sanguinanti e doloranti di tale tirannide sembra ancora oggi quasi insensata, anche se egli parlava, secondo il suo solito, in generale e senza nominare nessuno" (Ridolfi, cap. V). Pur convinto della inevitabilità della sua missione, Girolamo non era insensibile alle contrarietà e soprattutto alle critiche dei confratelli; ed ecco allora le sue crisi, di cui parla nel Compendium revelationis, soprattutto in riferimento alla predica del 27 aprile in Duomo, che egli stesso definisce "terrifica praedicatio": "Da poi, vedendo la gran contradizione e derisione che io avevo quasi da ogni generazione di uomini, molte volte come pusillanime mi proponevo di predicare altre cose che quello; e non lo potevo fare, perché ogni altra cosa che io leggevo o studiavo mi veniva a noia e, quando la volevo predicare, tanto mi dispiaceva, che io etiam venivo a noia a me medesimo. E ricordomi che la prima quadragesima che io predicai in Firenze in Santa Reparata, avendo già composta la predicazione della domenica seconda, la quale pure era di tale materia, deliberai di lasciarla e di non predicare più di tale cose. Testimonio mi è Dio di questo, che tutto el giorno del sabato e tutta la notte vigilai, infino alla mattina della domenica, e non potetti mai volgermi ad altro, tanto mi fu serrato ogni passo e tolta ogni altra dottrina eccetta quella; e senti' la mattina, essendo per la lunga vigilia molto lasso, dirmi: - Stolto, non vedi tu che la voluntà di Dio è che tu predichi in questo modo? - E così quella mattina feci una spaventosa predicazione" (pp.9-10).

Il 1492 rappresenterà lo sviluppo di questa svolta. Nella chiesa di S.Lorenzo predica la Quaresima: insiste sulla distinzione tra il predicatore gradito ai potenti e quello fedele alla Parola di Dio, destinato ad essere ucciso. Preannunzia il motivo dominante della sua futura predicazione: "Ecce gladius Domini super terram, cito et velociter". Sempre nel Compendium revelationis ricostruisce così questo periodo: "Ritornando dunque al proposito nostro, dico che queste cose future per la indisposizione del populo le prenunziavo in quelli primi anni con le probazione delle Scritture e con ragione e diverse similitudine. Di poi cominciai a allargarmi e dimostrare che queste cose future io avevo per altro lume che per sola intelligenza delle Scritture; e di poi ancora cominciai più a allargarmi e a venire alle parole formale a me inspirate da cileolo, e tra le altre spesso replicavo queste: - Haec dicit Dominus Deus: Gladius Domini super terram cito et velociter..." (pp.11-12)

L'8 aprile fa visita a Lorenzo de' Medici morente e lo benedice.
Qui si aprirebbe il controverso capitolo dei rapporti tra Savonarola e i Medici. Qualche parola di chiarimento la prendo da Lorenzo Polizzotto, che ha revisionato la tesi di matrice piagnona, secondo cui tra i due ci sarebbe stato un conflitto aperto e totale: "Non ci sono dubbi - scrive il Polizzotto - che il Savonarola vedeva tutta la questione dei rapporti tra lo Stato e il convento di S.Marco dal punto di vista del riformatore. L'assetto politico era considerato unicamente dal punto di vista della riforma da lui prospettata. Savonarola sapeva benissimo che l'opportunità di effettuare la riforma gli era stata data da Lorenzo e non dagli Ottimati fiorentini. Fin a quando Lorenzo era al potere, Savonarola poteva contare sul suo appoggio. Era negli interessi del Magnifico assicurare il successo del Savonarola così come era negli interessi del Frate schierarsi dalla parte di Lorenzo nella sua lotta contro gli Ottimati fiorentini. Portando avanti da S. Marco il suo programma religioso, il Savonarola era consapevole del fatto che avrebbe onorato e resa celebre Firenze e quindi avrebbe agevolato il compito di Lorenzo, che della riforma era promotore, di governare la città. La convinzione che l'assetto politico doveva essere favorevole alla riforma non abbandonò mai il Savonarola; anzi, lo indusse dopo l'espulsione dei Medici ad ingerirsi personalmente nei dibattiti politici della fine del 1494 ed a continuare ad occuparsi dello stato fino alla sua cattura e supplizio" (La missione di G.Savonarola in Firenze, p.13).
Il 21 ottobre pronunzia il sermone "In Domino confido", già ricordato, in cui esprime la fiducia che possa ripristinarsi la Chiesa primitiva: in questo discorso Savonarola sembra voler fare il punto sul suo itinerario profetico e mantenerlo aperto con una rinnovata fiducia in Dio, nonostante le contrarietà. Dopo le accennate premesse, Savonarola parla di una visione che in qualche modo descrive la parabola della sua missione: su un monte vede una città ben fortificata, ma poi "venire un terremoto e i cittadini non avere pace", per mancanza di fondamenta, e cioè di carità..". Scende a valle, ma anche qui trova rovine di una città distrutta "a causa della discordia e della malvagità dei cittadini".
Di qui l'idea di chiamare a raccolta i cittadini per vedere di riunire abbastanza pietre e ricostruire l'antica città: "E cominciammo a sradicare i rovi, a ripulire le fonti e a scavare pozzi, ma spesso arrivavano uomini, come è scritto di Isacco, e distruggevano quasi tutto. Andò così per molto tempo e, dal momento che molti si univano a noi, cominciammo a costruire".
Abbiamo qui una amara confessione di fra Girolamo: "Diventato triste e scoraggiato, desideravo cercare scampo nella solitudine e vivere per conto mio. E mentre così pensavo, ecco il re della città antica e dice: "Che fai?". "Signore, io volevo cominciare domani a costruire questa... Ora invece, perduta la speranza, penso di desistere". E lui: "Perché disperi?". Rispondo: "Perché 'sono scosse le fondamenta' (Sal 10,3), e questo molte volte; infatti molte volte hai preparato codesto terreno con le fonti e lo hai ripulito perché la città fosse costruita, ed essi hanno distrutto tutto". E il re: "Quale re vi è nel mondo che abbia dei servi che ama e non li esaudisca almeno una volta per la loro insistenza? Vieni e vedi".
Per compiere questa impresa ci vuole molta preghiera, "perché è assai difficile, soprattutto oggi - egli dice - ricondurre gli uomini alla vera vita: bisogna agire infatti su due piani, cioè su quello della esteriorità e su quello dell'interiorità" . Inoltre bisogna procedere con cautela, "poiché il popolo cristiano si è abituato meccanicamente alle azioni esteriori e per nulla all'interiorità, ed è difficile farlo cambiare". Per edificare la Chiesa primitiva è necessario riportare gli uomini "a cercare la luce con l'orazione e a prendere vigore e consolazione ascoltando le Scritture".

In maggio 1493 il papa Alessandro VI autorizza il distacco dalla Congregazione lombarda: nasce così la Congregazione di S.Marco, di cui Savonarola viene nominato Provinciale.
Egli parla a lungo di questo fatto in una lettera alla Priora di S. Domenico di Pisa il 10 settembre 1493, e lo presenta come "principio della nostra rinnovazione in una vita spirituale più perfetta che prima" ed in qualche modo mette in atto quanto aveva detto nel discorso "In Domino confido" sulle armi di questa battaglia, che sono: "fede viva, orazione continua, e umile pazienzia".
Dopo aver risposto con argomentazioni elle varie obiezioni, Savonarola si lascia andare a queste espressioni: "O, se io potessi ora mutare questa scrittura in voce! io vi farei intendere che il mundo è tutto in tenebre, e che oramai tutti li stati delli omini e delle donne sono depravati, e che è tempo di rinnovare el popolo de Dio. Tempo è, tempo è, tempo è di cominciare a vivere singularmente, perché questo modo generale oramai genera nausea allo onnipotente Dio...Tempo è di renovarsi e sprezzare li iudicii delli omini. Tempo è di combattere con li tiepidi e falsi fratelli". (p. 48).

1494
Predica la Quaresima in S.Lorenzo, commentando la Genesi.
Alla fine di agosto il re di Francia Carlo VII entra in Italia.
Il 26 ottobre Piero de' Medici si reca dal re e gli cede Pisa, Livorno, Sarzana, Sarzanella, Pietrasanta, oltre ad una notevole somma di denaro. A Firenze lo sdegno è grande ed il 4 novembre il Consiglio dei Settanta decide di inviare a Carlo VIII un'ambasceria con a capo il Savonarola. Piero torna a Firenze l'8 e ne fugge il 9, vista l'ostilità dei cittadini. Lo stesso giorno Savonarola ottiene da Carlo VIII che Firenze non sia saccheggiata. Da questo momento, per oltre tre anni, Savonarola è la maggiore autorità spirituale e politica di Firenze.

Dal novembre del 1494 il ruolo di fra Girolamo fu di primo piano come predicatore della riforma della Chiesa e come riformatore della vita morale e civile-politica di Firenze. Questa svolta è documentata dalla predicazione dell'Avvento (Prediche sopra Aggeo)
Nella predica fatta il 16 dicembre del 1494 parlò della necessità di pensare in termini nuovi l'istituzione dello Stato: "Secondo la diversità dei tempi, mutarsi e trovarsi novi modi di vivere non solamente non è inconveniente, ma è cosa necessaria... E bisogna mutare nuovo modo di vivere, e riformarsi, e rinovarsi la Chiesa di Cristo, e conseguentemente tu, Firenze, donde ha poi a uscire ogni bene". E ancora: " Due cose t'ho detto e dico di nuovo. La prima, che tu facci pace fra tutti e' tuoi cittadini; che male è questo? Vuoi tu dire che la pace sia male? L'altra, t'ho detto e ridico, che tu facci in questo tuo nuovo governo e pigli tale modo di riforma, che nessuno cittadino si possa far capo della città, acciò che tu non perda più quella libertà che Dio t'ha data e restituita".



Un rimprovero agli uditori fa capire l'animo del predicatore e la situazione che aveva davanti: "Tu mostri d'essere mio amico insino che la verità non ti tocca e non ti scuopre, ma, come io dico la verità, tu sei mio nemico. Io ti predico la pace e a quella ti conforto, ma, perché tu sei pieno di odio e di rancore, ella non ti piace e hai per nemico chi te la ricorda".
La predica del 21 dicembre- la XIX - è una autentica autobiografia, quasi a voler dimostrare - dice Savonarola - "che io conosco dove io mi ritrovo". Ed ecco come e dove si ritrova: "Non arei già voluto esser sacerdote per più mia quiete; ma per volere io fare sempre quel che mi era detto, ché così stimavo essere la mia libertà e la mia quiete, fui condotto al sacerdozio...cominciai coll'amo a pigliare qualche pesciolino, cioè colla redicazione a tirare qualche anima al porto e alla via della salute. E perché questo assai mi piacque, el Signore mi messe in nave e hammi condotto a pescare in alto mare.... Trovandosi in questo alto mare circondato da pericoli da ogni parte: "O Signore, dove mi hai condotto?...... Perché mi hai tu generato e fatto uomo di rissa e di discordia in tutta la terra? Io ero libero e quieto, Ora sono fatto servo d'ognuno... Mi disse el Signore: - El predicare, a che tu attendi, è cosa spirituale, ma bisogna ancora, attendendo principalmente allo spirito, fermare tutte quelle cose che conservino e mantenghino lo spirito e le cose con che lo spirito si governa. Così qui, volendo fare una città spirituale e che viva con rettitudine.. (pp.326-29).

Accusato di essere elemento di divisione, scandaloso propagatore di errori, con un Breve datato 21 luglio 1495 Savonarola fu convocato dal Papa a Roma per rendere ragione del suo atteggiamento ostile alla Curia Romana.
Egli risponde il 31 dello stesso mese: fa presente di non poter soddisfare l'ordine del Pontefice, che sarebbe anche suo desiderio, di andare a Roma, oltre che per ragioni di salute, anche per il fatto che "avendo il Signore, attraverso la sua opera, liberato quella città dal non indifferente spargimento di sangue e da molti altri danni, ed avvendola ricondotta a concordia e a sante leggi", uomini iniqui si sono dimostrati a lui contrari, e per quanto egli confidasse nel Signore sarebbe stato tentare Dio non prendere le dovute precauzioni. Se poi il Papa avesse voluto sincerarsi su quanto egli andava predicando sulle cose future riguardo al rinnovamento della Chiesa, gli avrebbe inviato un suo libro nel quale esponeva tutte queste cose.
Il libro non è se non quel Compendio di revelazione (agosto 1495) già ricordato.
Si tratta di una autodifesa - "per torre via molte calunnie delli avversarii" e per ristabilire la verità circa le profezie da lui proclamate. Ma al tempo stesso l'opera diventa una sorta di autobiografia interiore, un documento dell'itinerario spirituale di Profeta e riformatore del Savonarola.
La sua predicazione alla città nasce dalla viva percezione dei tempi, che lo costringe a proporre "continuamente al popolo" tre cose: "la prima, che la Chiesa se aveva a renovare in questi tempi; la seconda, che innanzi a questa renovazione Dio darebbe un grande flagello a tutta la Italia; la terzia, che queste cose sarebbono presto. E queste tre conclusioni mi sforzai sempre di provarle con ragione probabile e figure delle Scritture e altre similitudine ovvero parabole fondate sopra quello che si vede al presente nella Chiesa" (p.9).

L'8 settembre il Papa inviò un altro Breve nel quale accusava il Savonarola di eresia, di pronunciare nuovi falsi dogmi, di disobbedienza ed intimava a tre frati di S. Marco di trasferirsi a Bologna ed al Savonarola di rimettersi al giudizio di fra Sebastiano Maggi, attuale Vicario della Congregazione Lombarda.
Con tutto rispetto e ossequio, Fra Girolamo risponde al Papa di "dolersi fortemente del fatto che la malignità era arrivata al punto che alcuni non esitavano a suggerire cose false e interpretate in modo perverso anche al Sommo Pontefice e Vicario di Cristo in terra." Tra le accuse da cui si difende c'è anche quella secondo cui egli si direbbe "mandato da Dio": "che anche questo sia falso lo sanno tutti coloro che mi hanno ascoltato, che non ho mai delitto cose del genere. Inoltre, nei miei scritti,che tutti possono leggere, ho scritto che ero mandato dai miei prelati, come quasi tutti gli altri predicatori, ma mai ho detto d'essere mandato solo da Dio, come possono testimoniare migliaia di uomini".

Nello stesso tempo scrisse e diffuse l'epistola ad un amico - e cioè a tutti coloro che pativano scandalo per le calunnie a suo carico -. Si rammarica che l'amico sia portato a dubitare di lui, "come se tu non sapessi non essere cosa nuova che la verità evangelica sempre abbi avuta grande contraddizione... Nientedimeno, essendo tu assente e udendo ogni giorno dire molti mali senza alcuna defensione della verità, sono eccitato dalla carità, la quale io ti porto, in questa lettera defendere la verità e dimostrarti quanto sono frivole le calunnie delli nostri avversari".
La prima accusa da sfatare è quella d'eresia, infondata nei fatti e avvalorata solo dalla apparente autorevolezza di chi ostenta "zelo della verità": La seconda calunnia è "d'essere scismatico e inobediente alla Santa Chiesa". A Girolamo basta dire che egli predica non in conventicole, ma "nelle chiese, dove può convenire tutto il popolo". Riguardo poi al fatto di predire cose future, "sappiendo che Dio in ogni tempo per le necessità della sua Chiesa ha mandato li profeti", nessuno dovrebbe farsi beffe, se non è in cattiva fede.
Altra accusa è "che io ho guasta la città e che questo governo da me introdotto è un governo di pazzi". La risposta invita a considerare la qualità dei governi precedenti e inoltre a pensare cosa sarebbe successo senza quel governo "civile e politico".
E conclude: "Se dunque quelli che seguitano la dottrina che io predico acquistano pace, come pruova la esperienzia, è segno che ella è la legge divina e che o non predico altro che la legge evangelica, o dottrina che procede da Dio; e se li avversari di essa sono sempre inquieti, è segno che seguitano o errore delli empii e la dottrina delli tiepidi, animale e diabolica.
Non ti lassare adunque, per le contradizione che nui abbiamo, cavar fuori della via della verità, acciò che tu non sia di quelli delli quali dice il nostro Salvatore: credono quando non hanno contrarietà. Chi persevererà infino alla fine serà salvo". Un esempio di questa fortezza Fra' Girolamo lo offre con la sua obiezione di coscienza nei confronti del Papa che gli aveva intimato di non predicare: a questa disposizione egli si attiene per un certo periodo, ma non più a partire dalla Quaresima 1496, quando in Duomo espone i libri d Amos e Zaccaria prima, di Ruth e Michea dopo.
Il 23 e 24 febbraio pronuncia queste parole: "Se non facciamo adunque male, perché non volete che 'l si profeti? Orsù, Dio ha detto che profetiamo; vogliamo adunque obedire a Dio e non alli uomini e in prima vogliamo morire che non obedire a Dio. E se bene dovessi morire quassù in su questo pergamo o in ogni altro luogo dove si sia, prima vogliamo morire che lassare di profetare e non obedire a Dio. Che mal n'è seguitato dal nostro profetare? Abbiamo intonato nel mezzo di Firenze le profezie e la verità di Cristo, la quale di qui s'è sparsa per tutta Italia e ancora per molte altre provincie".

Dopo quello di Roma, interviene il divieto a predicare anche da parte della Signoria, che in un primo momento, forse per opportunismo politico, l'aveva consentito. Ma fra' Girolamo non desiste, e l'8 maggio, nella prima predica su Ruth e Michea elenca alcune ragioni per cui "bisogna dare la predicazione al popolo, per la quale le anime fruttificano... et maxime bisogna oggi la predicazione nella Chiesa, vedendosi molte mutazioni e pericoli, alle quali si richiedono provisioni, le quali non si intendono e non si possono conoscere per cognizione naturale, o per le Scritture". Ma la ragione di fondo è questa: "La principale causa dunque, perché entro quassù, è ch'io l'ho fatto per obedire. A chi? Alla Signoria? Nol credere. Io non sono anche obligato in questo a obedirli; perdonatemi. Ben, se' tu venuto per persuasione d'uomini? Nequaquam; non credere che io mi lasciassi in questo persuadere a uomo nessuno. Hai tu dunqua fatto per obedire a' tuoi superiori prelati? Non mi è stato detto da mio superiore prelato alcuno. Ma sappi che io sono venuto quassù per obedire a colui che è prelato dei prelati e Papa dei papi, e fammi fare cosa che è contra la mia natura.
Io mi staria volentieri nella mia quiete, ma non posso fare altro, perché mi bisogna obedire. E questo venire quassù non è come le altre volte, quando se ne acquistava onore e gloria: ora ne acquistiamo persecuzione. Sappi che ora questi comandamenti sono gravi, perché chi non gli obbedisce ne porta la pena; e le mie obedienzie ancora non sono leggeri, perché, come tu vedi, io ne acquisto odii, fastidi, vituperii e pericoli della morte; e chi di qua e chi di là dice male"(p.9).

Roma tentò la mediazione della disputa teologica accompagnata dalla offerta di nomina cardinalizia: nella predica del 15 agosto, Savonarola gridò fortemente: "un cappello rosso, un cappello rosso di sangue: ecco quello che desidero".

L'opposizione, sempre più accanita, sceglie allora la strategia dell'isolamento ed il 7 novembre ottiene un altro Breve papale, con cui si sopprime quella Congregazione di S.Marco che il Savonarola aveva ottenuta dallo stesso Papa nel '93.
Si imponeva di aggregarla ad una Congregazione tosco-romana e si minacciava di scomunica chi si fosse rifiutato. Fra' Girolamo non era direttamente e personalmente implicato, ma l'operazione mirava a lui, che raccoglie anche questa sfida mettendo mano alla penna e scrivendo l'"Apologia dei Frati della congregazione di S.Marco". Perché "tacere è cosa scellerata ed empia", quando sono in gioco il disprezzo di Dio e la rovina delle anime, e si potrebbe perciò essere rei "di trascuratezza per la verità e il pubblico bene": "Se essi infatti, per turbare la nostra pace non risparmiano né Dio né la religione, meno che mai sarà opportuno che li tolleriamo noi, che siamo impegnati a combattere per il culto di Dio e per la giustizia. Perciò veniamo ormai a esporre le ragioni dei nostri frati".

Il principio del 1497 è abbastanza favorevole al Frate e al suo movimento. Il 7 febbraio , ad opera soprattutto di "fanciulli" turbolenti e aggressivi guidati da fra Domenico, ha luogo il primo "bruciamento delle vanità" : pratica penitenziale in uso per inizio-quaresima.
Savonarola ne parla nella predica del giorno successivo, lasciando capire il senso che questa pratica aveva per lui, tutto teso ad una "canzone nuova", che sono le buone operazioni. Identificando i suoi oppositori con Golia, li apostrofa: "Il tuo Dio ti ha insegnato a combattere contra li buoni, ma non ti ha insegnato a vincere. Tu hai pur veduto questo carnasciale condurre le tue arme contro di te", e cioè le sue lussurie, l'oro, l'argento, il dio-denaro. E più avanti: "Vuoi tu cantare una canzone nuova? Va' alla semplice, rinnuovati come si faceva nella primitiva Chiesa, lascia li odii, innuovati. Ognuno onori Cristo... Li fanciuli hanno abbruciate le canzone vecchie e levato via molte cose vecchie e hanno cominciato a cantare una canzone nuova" (Prediche sopra Ezechiele, 8 febbraio 1497, p.138). Quindi, non semplice furia iconoclasta, semmai momentaneo eccesso di trionfalismo!

La nuova Signoria, avversa, interdice ogni predicazione, facendo eccezione per il giorno dell'Ascensione: il 4 maggio 1497 il Savonarola sale sul pulpito ma ne deve discendere per gli schiamazzi e gli insulti che gli rivolgono i Compagnacci .
Fra Girolamo sospende ogni tipo di predicazione e scrive l'Epistola a tutti gli eletti di Dio e fedeli cristiani datata l'8 maggio, qualche giorno prima che Alessandro VI firmasse il Breve di scomunica il 12. In questa epistola diceva: "Gli uomini reprobi hanno fatto beffe di nui, di poi ci hanno apposte molte calunnie, dicendo nui essere ingannatori, ipocriti, eretici e simili altre calunnie, le quale non trovando poi in nui in verità, si sono sforzati per molte vie distorte di farci escomunicare o interdire senza causa".

Il decreto di scomunica fu letto nelle chiese di Firenze il 18 giugno. Il 19 giugno Savonarola scrive un'altra lettera A tutti li cristiani e diletti di Dio contra la escomunicazione surrettizia nuovamente fatta, dove dice tra l'altro:
"Non crediate donque, dilettissimi, che tale escomunicazione siano di alcuno valore, né appresso Dio né appresso la Chiesa; le quale sono fatte per false suggestione di uomini, per fare male e per fare contro a Dio e contro ala verità; e però non potendo trovare iusta causa di farmi escomunicare, hanno suggeste al Papa le false per vere, dicendo che io semino perniciosa dottrina e eresie, conciosiaché tutto el mondo è testimonio che io predico solo la dottrina di Cristo, non nelli cantoni, ma nelle chiese, dove si possono adunare tutti li cristiani. E se questa dottrina da me predicata, anzi dallo Spirito Santo, è come li avversari hanno suggerito, dogma perverso; stiansi loro con quella che gli piace, che noi per questa deliberiamo di morire".

Ancor più in quei mesi il Frate attese alla compilazione del Dialogus de veritate prophetica convinto - come scrisse al fratello Alberto - di dover dimostrare a Roma che egli combatteva insieme con Dio e che l'avversione non si rivolgeva di fatto contro di lui ma contro Cristo stesso.
Il "Dialogo sulla verità profetica" - scritto a cavallo tra il 1497 ed il 1498 - si presenta come libera invenzione letteraria di dialogo, quasi una rivisitazione delle proprie scelte di vita. Un Fra Girolamo Savonarola allo specchio della verità, senza più l'illusione di una autodifesa ormai impossibile e vana.
Nella finzione letteraria, egli incontra personaggi misteriosi, che gli si presentano con buone notizie, "mentre innocente è vessato da tante persecuzioni": quindi nel momento più critico della sua vita. Alla loro domanda se sia lui "quel Girolamo di cui si dicono in giro tante cose" egli risponde:"Quel povero piccolo uomo che vedete, ecco sono io", auspicando che sul suo conto non venissero imbastite tante calunnie.
Questi uomini si presentano per chiarire se per caso egli non stia ingannando gli altri e anche se stesso. Fra Girolamo si sottopone al confronto "per trattare con pace e con gioia delle sue illuminazioni e perché possa spiegare in che modo ritiene di non ingannarsi".
Tutto questo nel dialogo introduttivo del Libro I, mentre nel Libro IX, l'ultimo, si viene a sapere che questi interlocutori sono i sette doni dello Spirito Santo -"non uomini, ma dei carismi" - i cui nomi rispondono al significato dei doni e le cui iniziali formano la parola VERITAS, che è il tema di fondo di tutta l'opera, e forse di tutta la vita del Frate.
Ritornano, in maniera più ragionata e sistematica, i temi trattati nella predicazione del momento: quelli dell'autoinganno, dell'impacciarsi del governo della città, del rinnovamento delle anime e della vita cristiana, del flagello o della predicazione delle cose future, in particolare quello della scomunica, a proposito della quale dice: "Ma più volte ho già risposto a queste obiezioni; inoltre molti uomini buoni e dotti hanno chiarito con i loro scritti che questa scomunica è nulla, e in loro presenza è inutile ripetere... Nessunno deve meravigliarsi, o turbarsi per il fatto che noi non rispettiamo e non temiamo tale sentenza di scomunica, che noi abbiamo dimostrato chiaramente nulla". E a chi gli chiede che male ci sarebbe a rispettarla, Girolamo risponde: "Un danno gravissimo...Questa non sarebbe umiltà vera e genuina, bensì asinina, piegando sotto un peso tanto ingiusto...Perché dovrei dissimulare? Perché esitare? Perché non dire cose che sono chiare e ben note a tutti?...E non sai tu da quali persone questa scomunica è stata procurata e impetrata?".
Alla fine è lo stesso Girolamo a porre un interogativo: "Perché dunque io soffro tante persecuzioni?". "Perché sei servo di Cristo", gli viene risposto. E Girolamo conclude: "Io godo di soffrire per il suo nome contumelie e morte". E' come il sigillo della sua vita e della sua azione!

Quasi contemporaneamente al Dialogo - tra gennaio e marzo 1498 - scrive il Trattato circa el reggimento e governo della città di Firenze, composto ad instanzia delli eccelsi Signori al tempo di Giuliano Salviati Gonfaloniere di Giustizia.
Nel Proemio egli offre uno spaccato della sua predicazione e delle opere che l'hanno punteggiata: "Avendo io predicato molti anni per voluntà di Dio in questa vostra città, e sempre proseguitate quattro materie: cioè, sforzatomi con ogni mio ingegno di provare la fede essere vera; e di dimostrare la simplicità della vita cristiana essere somma sapienza; e denunciare le cose future, delle quali alcune sono venute e le altre di corto hanno a venire; e, ultimo, di questo nuovo governo della vostra città; e avendo già posto in scritto le tre prime (cioè Triumphus crucis, il De simplicitate christianae vitae e il De veritate profetica)..., resta che noi scriviamo ancora della quarta materia, acciò che tutto il mondo veda che noi predichiamo scienzia sana e concorde alla ragione naturale e alla dottrina della Chiesa".
Nella sua passione innovatrice, egli intenderebbe "dichiarare come e quanto e quando si aspetta a uno religioso a trattare e impacciarsi delli Stati seculari". Non lo fa per ragioni di brevità; ma noi possiamo ugualmente ricavare dal suo discorso come egli interpreta di fatto il rapporto città-profezia. Tutta la sua riflessione di "profeta disarmato" non si perde in questioni teoriche di tecnica del potere, ma verte su un dato "effettuale": il governo concreto della città, qualcosa di umano e di storico, che però riflette e ripete in qualche modo lo stesso governo di Dio sul mondo e nella storia. Egli non si preoccupa del "Principe", ma della "conversazione umana": infatti, "se qualcuno non avessi cura del ben comune, non poteria stare la conversazione umana e tutto il mondo anderia in confusione".



All'inizio del 1498 l'ambasciatore fiorentino a Roma informò la Signoria che l'assoluzione del Savonarola dalla scomunica era subordinata all'entrata della Repubblica di Firenze nella Lega. I piagnoni incitavano fra Girolamo a riprendere la predicazione. L'11 febbraio salì di nuovo sul pulpito dando inizio alla predicazione quaresimale, che intendeva proseguire spiegando il libro dell'Esodo.
Ecco come si presenta: "Parlo adunque a te, Signore mio, e dico che tu m'hai messo in un gran mare. Io non veggo più il porto, e non posso tornare addietro, e non voglio tornare anche se io potessi. Io non posso e non voglio. Io non posso perché tu non voi; io non voglio perché tu non voi; perocché io non posso né voglio resistere alla tua volontà. Io sono contento a stare in questo loco dove tu m'hai messo, ma ben ti priego, Signore mio, che tu stia meco" (Prediche sopra l'Esodo pp.4-5).
Nelle prediche del 18 e 25 febbraio il Savonarola torna sulla scomunica: "Orsù, vediamo adunque un poco che cosa è questa. Io vi dico che Cristo è conesso noi, e che io vi mostrerò che più presto e' vuole stare cogli scomunicati di questa sorta che con voi che dite siate benedetti... Io per me voglio essere con Cristo, e confessarlo, e essere con questi scomunicati... e se per fare bene s'ha a essere scomunicato, io voglio stare con gli scomunicati. Tu sai bene questa scomunica quello ch'ella vuole fare,e con che intenzione è stata trovata, e a che fine, e quanta destruzione sarebbe del ben vivere e del comune a ubbedirla..."(ib p.26).

Il 26 febbraio il Papa con due Brevi al Capitolo della Cattedrale e alla Signoria, minacciò la città di interdetto, qualora la predicazione del Frate non fosse stata interrotta. Di rimando Savonarola si esprime così: "O persecutori de' buoni e della verità, che domando io a voi, tepidi? che domando io a voi, cittadini cattivi? perché fate voi tante persecuzioni? O Roma, che ti domando io? Io voglio una bolla da potere ben vivere: questo è quello che io vorrei da voi; ma s'attende più presto qua a procurare bolle che sieno contra el ben vivere, e che lo gettino per terra. E però se tu vedi venire da Roma nulla, di' che ella è procurata di qua. Ma voi non vedete che viene la morte?" (p.120).

Il 1° marzo il Savonarola annuncia che dal giorno successivo non avrebbe più predicato nel Duomo ma in San Marco. Il 3 Marzo scrive un'altra lettera ad Alessandro VI. In essa si presenta in questo modo: "Beatissimo Padre, essendo ufficio del cristiano difendere l'onor di Dio, la fede di Cristo e la rettitudine del ben vivere, e veduto io le pecorelle essere per il malo esempio di molti pastori in tutto fuor della via, e predicando per questo la verità dell'Evangelio, confermando e fortificando la fede, insegnando la vita cristiana, prenunziando per divina ispirazion le cose future acciò che gli uomini si riducessero a penitenza, dando opera con ogni diligenza di nutrire la pace di questa città, ed avendo per tale cagione sostenuto e sostenendo molte persecuzioni dagli uomini cattivi, non meritavo certo che Tua Beatitudine mi fosse, come ella è ed è stata sempre, in questa cosa contraria. Ma sì bene che mi prestasse ogni aiuto e favore".

. Disegnando un modello di pastore, Savonarola presenta in qualche modo la propria fisionomia spirituale: "Bisogna, dico, offerire se stesso a Cristo, e anche volere per lui morire, e metterli la vita per la sua verità. Tu sai bene che e' non c'è scomunica nessuna e che la non vale nulla; e tu hai paura, per udire la verità e defenderla, perdere li beneficii. E io ti dico che non solo i beneficii per la verità di Cristo, ma tu li debbi mettere ancora la vita"(ib. p.346).

Il Savonarola si dimostra convinto e conseguente con queste posizione quando si adopera per la convocazione di un Concilio, progetto però presto abbandonato. Il 17 marzo la Signoria chiede al Frate di sospendere la predicazione. Il papa, dal canto suo, per chiudere "il caso Savonarola" minaccia di agire sugli immobili e sulle mercanzie dei fiorentini presenti in Roma qualora egli non venga ridotto al silenzio e inviato a Roma. Il 18 marzo fra Girolamo pronuncia l'ultima sua predica.
La predica è tutta una preghiera: "O Signore, tu vedi che se noi vogliamo del pane, el ci bisogna combatterlo con spada. Non possiamo avere el pane del verbo tuo. Se vogliamo la predica, el viene la escomunica, che non vuole; el ci bisogna adunque combattere il pane con la spada... O Signore, io ti raccomando tutti coloro che vogliono vivere bene. Signore, adiutagli, cavagli fuora delle mani de' cattivi. Io ti raccomando tutto il popolo cristiano, che tu li mandi giù del lume tuo: e massime ti raccomando il tuo popolo fiorentino, e sì ti priego che tu li dia la tua benedizione".

In preghiera Savonarola traduce anche il suo sentimento riguardo alla prova del fuoco provocata da fra Domenico da Pescia: "Tu sai, o Signore, che io non ho intrapreso questa prova per presunzione; tu sai, che tu se' stato tu. Questo popolo ha creduto a me, per essere io mandato da te. Io ti priego dunque questa mattina che tu voglia dimostrare a questo popolo che tu se' quello che regni in cielo e in terra, acciocché credino che tu mi hai mandato, e per questo mutino vita, e tutto sia a tua laude e gloria. Signore esaudisce questa mattina e mostra che noi abbiam detto la tua verita".

L'8 aprile (domenica delle Palme) dopo il vespro fra Mariano Ughi che sta andando a predicare in S.Maria del Fiore viene cacciato, poi la folla dà l'assalto a S.Marco. La Signoria alle 22 manda un bando che impone al Savonarola di lasciare entro 12 ore i confini della Repubblica. Un altro bando impone a tutti i secolari di lasciare il convento, sotto pena di essere dichiarati ribelli.
Gli assalitori riescono ad entrare nel convento e c'è una vera e propria battaglia, nella quale, secondo il Landucci sarebbero cadute più di cento persone, fra morti e feriti (soprattutto fra gli assalitori). Arrivano i commissari e i mazzieri della Signoria con l'ordine che Savonarola si presenti in Palazzo. Fra Girolamo si confessa e si comunica, poi si congeda dai frati. Fra Domenico si unisce a lui. I due vengono portati via dalle guardie, legati come malfattori, in mezzo agli insulti e alle percosse della folla. Alle ore otto di notte vengono chiusi in prigione: Savonarola nell'Alberghettino, nella torre di Palazzo, fra Domenico altrove. Fra Silvestro si consegnò, o fu consegnato, di prima mattina. Verso la fine del primo processo, cominciato la sera stessa della cattura, il Savonarola sotto tortura e con il braccio oramai slogato, si piegò al volere dei giudici e confessò di essersi ingannato e di aver ingannato i suoi seguaci per impadronirsi di Firenze.

Il 21, il 23 e il 24 aprile si svolsero gli interrogatori del secondo processo. Inatanto, in prigione, fra Girolamo scriveva una Regola del ben vivere, portava a termine l'Expositio ac meditatio in psalmum "Miserere", mentre dopo l'8 maggio compose l'Expositio in psalmum "In Te Domine, speravi".
Nella meditazione sul "Miserere"cogliamo il suo stato d'animo del momento: "Sventurato che sono, abbandonato da tutti, avendo offeso il Cielo e la terra, dove andrò'. Dove mi rivolgerò? Presso chi mi rifugerò? Chi avrà pietà di me? Non oso levare gli occhi al Cielo perché ho peccato gravemente contro di esso. Rifugio sulla terra non ne trovo perché per essa sono uno scandalo. Che farò? Mi dispererò? Oh no! La misericordia è in Dio, la pietà è nel mio Salvatore".
Questo stesso motivo di "spes contra spem" è ripreso nella esposizione del salmo "In te Domine speravi", un immaginario dialogo fra Tristezza e Speranza

Il 19 maggio arrivarono i due commissari inviati da Roma, Francesco Remolino e fra Gioacchino Torriani Generale dell'Ordine, che nei giorni seguenti procedettero al processo ecclesiastico.
Ancora con la tortura, costoro ottennero un'altra confessione di colpevolezza. I tre imputati furono dichiarati colpevoli di eresia e fomentatori di discordia, furono privati del privilegio che sottraeva i chierici alla giurisdizione dei tribunali secolari. Furono quindi consegnati al braccio secolare, che, prendendo atto della sentenza pronunciata dal tribunale ecclesiastico, li condannò alla morte mediante impiccagione prima e rogo poi.



Il giorno designato - 23 maggio 1498, esattamente 500 anni fa - i tre condannati poterono ascoltare la Messa. Fra Girolamo, nel ricevere la Comunione, ancora una volta pregò e disse: "Signore, ti chieggo perdono in quello che ho offeso questa città e questo popolo, di cose spirituali e temporali, e così di ogni altra cosa che io per me non conoscessi aver errato. E umilmente a tutte quelle persone che sono qui circumstanti chieggo perdonanza; e preghino Dio per me che mi faccia forte in su l'ultimo fine e che el nemico non abbi possanza sopra me".

All'uscita dal Palazzo, i tre furono spogliati dell'abito domenicano. Quando fra Tommaso Sardi di S.Maria Novella gli strappò l'abito di dosso, Fra Girolamo disse: "O abito santo, quanto t'ho desiderato! Dio mi ti dette, e insino a ora t'ho conservato immacolato; e ora io non ti lascerei, ma tu mi sei tolto!". Il Vescovo di Vasona Benedetto Paganotti, già frate di S.Marco e stimatore del Savonarola, gli dichiara di separarlo dalla chiesa militante e dalla trionfante. Savonarola lo corregge dicendo: "Solo dalla militante; l'altro non sta a te". L'impari confronto continua fino alla fine!

Quei tre corpi che si consumano sul rogo in Piazza della Signoria lasciano intravedere le tre figure del Golgota: qualcosa di ugualmente inquietante, che non potrà essere messo a tacere né con ripetute scomuniche né mediante canonizzazioni di rito. Prima d'essere - ed oltre ad essere - vicenda storica, quella di fra Girolamo è vicenda interiore e personale di un profeta, che richiederebbe interpreti credibili anche ai nostri giorni, come passione e testimonianza di una verità vissuta, creduta ed amata fino al martirio. Quella che si sprigiona da quel rogo è la forza della coscienza totalmente serva della Parola di Dio, ma assolutamente libera davanti agli uomini ed alla stessa Chiesa!
In questo senso Girolamo Savonarola continua ad essere profeta scomodo suo malgrado: continua ad essere tormentato dai critici e dagli storici e dall'opinione pubblica, ma per fortuna continua a tormentarci perché si diventi coscienze veramente libere davanti ad ogni sistema di potere! Più che se stesso egli difende e vuole una Chiesa profetica dentro la storia, capace veramente di cogliere i segni dei tempi e di rinnovarsi: di lasciar trasparire le sue origini e la sua destinazione nel vivo della vicenda umana della storia!
Profeta suo malgrado, dunque, anche perché continua ad essere segno di contraddizione nei secoli.

Pistoia, 5 maggio 1998



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