Vangelo insieme...



ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

(Nm 21,4 b - 9; Sal 77; Fil 2,6 - 11; Gv 3,13 - 17)
14 Settembre 2014


 

1)    Nicodemo preferisce colloquiare di notte – lui, un vecchio dottore della legge, con un giovane rabbì di Nazareth – per non compromettersi dinanzi ai colleghi. Nicodemo era convinto di sapere chi era Gesù e invece si sente provocato a ricominciare tutto da capo, a “rinascere dall’alto”, altrimenti non avrebbe potuto comprendere il mistero della salvezza accanto a quello della perdizione, il dono della speranza in risposta all’orizzonte della disperazione.

a)    Gesù addita a Nicodemo il simbolo del serpente di bronzo che, nelle vicende dell’esodo, permise agli ebrei di salvarsi dai morsi di serpenti velenosi. Come quel serpente innalzato sul palo, così Gesù stesso, crocifisso sulla croce, porta salvezza e redenzione a coloro che credono in lui. Gesù, inchiodato e innalzato sul Calvario, fino alla fine del mondo resta a braccia aperte, “perché chiunque crede in lui, non muoia, ma abbia la vita eterna”.

b)    Al tempo di Gesù, la morte in croce era intesa dagli ebrei come morte riservata al maledetto da Dio; era il supplizio estremo inflitto dai romani a chi era giudicato nocivo al bene comune. Ecco come è morto Gesù: appeso tra cielo e terra, perché – si pensava – rifiutato da Dio e dagli uomini, condannato dal potere religioso legittimo come nemico della comunità dei credenti, e dal potere imperiale come malfattore. Dovremmo ricordarlo, ogni volta che siamo tentati di ridurre la croce a simbolo religioso.

c)    Eppure, Gesù ha saputo trasformare la croce in luogo glorioso, in cui egli ha amato noi uomini fino all’estremo, luogo in cui è morto per noi, per donarci la salvezza. E questo perché la fine sulla croce non è stata per lui il risultato di una fatalità cieca; al contrario, è stata l’esito di un’esistenza vissuta nella libertà e per amore, perché solo l’amore di Dio, narrato da Gesù, può trasformare uno strumento di morte in fonte di vita. È in questo senso che l’evangelista commenta: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque creda in lui non muoia, ma abbia la vita eterna». E l’antifona al Vangelo fa eco: «Noi ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo». Scriveva il teologo Giuseppe Colombo: «Non è la croce a fare grande Gesù Cristo; è Gesù Cristo che riscatta persino la croce, la quale è propriamente da comprendere, non retoricamente da esaltare». È la croce che va letta attraverso l’amore vissuto da Gesù, non Gesù attraverso la croce!

2)    Nessuno è salito al cielo se non colui che è disceso dal cielo. Normalmente si incontrano persone che sono disposte a tutto per salire, per essere in alto rispetto agli altri, più in alto sono e più dominano, più in alto sono e più sono visibili, più in alto sono e più sono irraggiungibili. Dio no! Fa una scelta radicalmente diversa, opposta: il nostro Dio è un Dio che discende! Discende dai cieli per insegnarci che quello che conta non è vivere al di sopra degli altri per guardarli dall’alto in basso. Vivere per Gesù vuol dire condividere una condizione e di conseguenza porre la propria vita allo stesso livello di quella degli uomini; di più: Gesù preferisce guardarci dal basso in alto. Lo sguardo di Gesù è uno sguardo dal basso e proprio per questo è uno sguardo capace di vedere, di accorgersi dei poveri, della vedova che insieme a quell’unico spicciolo getta tutta la sua vita, di Zaccheo, la cui povertà stava nella mancanza di amici (e dal giorno dell’incontro con Gesù la sua vita è cambiata), degli infermi per poterli curare, dei discepoli per poterli servire alleviandogli le fatiche di una giornata lavando loro i piedi.

3)    Fil 2,6-9: Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato. Il significato profondo di questa festa è racchiuso in questa breve pericope paolina, che ci fa contemplare, quasi al rallentatore per meglio assaporarne il senso, il progressivo inabissarsi del Figlio di Dio nell’umiltà della condizione umana.

a)    L'unica parola che il cristiano ha da consegnare al mondo è la parola della Croce. Dio è entrato nella tragedia dell'uomo, perché l'uomo non vada perduto, con il mezzo scandalosamente povero e debole della croce. Per sapere chi sia Dio devo inginocchiarmi ai piedi della croce (Karl Rahner). Tra i due termini, Dio e mondo, Dio e uomo, che tutto dice lontanissimi, incomunicabili, estranei, le parole del Vangelo indicano il punto di incontro: il disceso innalzato, al tempo stesso Figlio dell'uomo e Figlio del cielo.

b)    Lo sguardo è invitato a fissarsi, inizialmente, sull’indicibile realtà divina del Verbo: il suo essere Dio come il Padre. E poi quel volontario svuotare annullare se stesso assumendo la nostra stessa natura umana, la condizione di ‘servo’. Non si ha tempo di riscuotersi dallo stupore, che Paolo incalza: “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte”. E non basta ancora: il Figlio dell’Altissimo giunge ad annichilire se stesso fino al punto di abbracciare la più infamante delle morti: quella di croce, la morte del ‘maledetto’ da Dio oltre che dagli uomini. Cristo si è abbassato, scrive Paolo, fino alla morte di croce; Cristo è stato innalzato sulla croce, dice Giovanni, attirando tutto a sé. Tra Dio e il mondo il punto di congiunzione è la croce, che solleva la terra, abbassa il cielo, raccoglie i quattro orizzonti, è crocevia dei cuori dispersi. Colui che era disceso risale per l'unica via, quella della dismisura dell'amore. Per questo Dio lo ha risuscitato, per questo amore senza misura. L'essenza del cristianesimo sta nella contemplazione del volto del crocifisso (Carlo Maria Martini), porta che apre sull'essenza di Dio e dell'uomo: essere legame e fare dono. Ha tanto amato il mondo da dare il Figlio. Mondo amato, terra amata.

c)    L’abitudine a vedere il Crocifisso nei nostri ambienti, ci ha fatto perdere molto di questa tremenda realtà. Dio che si rende abietto dinanzi alla sua creatura. No, non si capirà mai fino in fondo l’infinito amore di Dio, se non ci si lascia afferrare dalla durezza di questa immagine!

d)    Ma allora, perché si parla di ‘esaltazione’? Perché proprio in questo limite estremo, oltre il quale Gesù non poteva spingersi, possiamo contemplare che “Dio ha tanto amato il mondo”. Qui, sulla croce appare in pienezza la ‘gloria’ di Dio, cioè si svela il suo volto, il suo essere profondo: il suo essere Amore. Dinanzi a questa realtà sublime inconcepibile per la mente umana, c’è solo da piegare il ginocchio in un muto adorante, riconoscente atto d’amore.

4)    La giornata, per il cristiano, comincia con la preghiera e quindi con il segno della croce sopra la nostra persona, segno che per la sua ampiezza prende quasi tutto il nostro corpo. È necessario avere la consapevolezza che quello che tracciamo sopra di noi non è un segno di dolore, non è un segno di sofferenza, non è un segno di tristezza, non è un segno di tortura: è un segno d’amore, è il segno dell’amore!

a)    Tutta la nostra persona, tutta la nostra vita è abbracciata dall’amore di Dio. Resta che la croce è uno strumento di supplizio, però il Signore Gesù con il suo esempio, con il suo modo di vivere il dolore e la fatica ci ha detto che la croce può attuare una trasformazione: tutto quello che è odio può cambiarsi in amore, tutto ciò che è rabbia, rancore può cambiarsi in perdono: Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno. L’essenziale della croce non è la intensità della sofferenza che Gesù sopportò; quello che veramente conta della croce, è l’intensità dell’amore di Dio, che non ha esitato a fare del suo Figlio un dono per l’umanità, perché ogni uomo ottenesse la vita eterna.

b)    La chiesa oggi ci invita a guardare al di là della croce per contemplare quello che non si può misurare: la grandezza dell’amore che Dio in Gesù ha provato per ogni uomo. Per la sua Incarnazione, per il dono della sua vita Gesù ci mostra un Dio che si avvicina a noi, un Dio mosso da un unico desiderio, quello di vivere tutto della nostra condizione umana (eccetto il peccato). Dio, in Gesù, si è spogliato della sua divinità ed è venuto in mezzo a noi come colui che serve.

c)    Gesù è come se ci dicesse: il vostro dolore è il mio dolore, la vostra sofferenza è la mia sofferenza, la vostra morte è la mia morte. Gesù desidera in ogni tempo attraversare completamente la vita umana. Quello che salva la nostra vita non è la quantità di sofferenza che contiene la croce, ci salva l’amore, un amore talmente esagerato che è stato capace di annullare ogni distanza tra Dio e gli uomini.

 

 

Don Pietro Bordignon

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